GIARDINI URBANI: IL FUTURO ALIMENTARE?

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DI WILL DOIG
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È facile scherzarci su, ma, mentre sempre più fattorie vengono in centro città, il cibo locale assume un nuovo sapore

Con le bici penny-farthing,
i baffi a manubrio e un panciotto a quattro tasche, l’ascesa dell’agricoltura urbana potrebbe aver quasi raggiunto il feticismo di fine ‘800. Oggi si possono trovare
allevamenti di galline sui tetti, capre nei cortili di San Francisco e cavolini di Bruxelles negli spazi abbandonati di Cleveland.

Ciò si adatta perfettamente alla
tendenza atavistica ricercata dagli intellettuali anticonformisti è anche quello che la rende adatta a essere messa in ridicolo. (
“Portlandia” ci ha fatto sopra qualche bella battuta.) Ma l’agricoltura di città potrà mai riuscire a fare il salto di qualità da passatempo prezioso a componente importante dei sistemi alimentari delle nostre città, non solo per i cercatori di novità e i consumatori locali impegnati, ma anche per le masse di persone in cerca di risparmio?

Non voglio dire una frase del tipo ‘Questo

è il futuro della coltivazione‘”, ha detto il cofondatore

di Gotham Greens, Viraj Puri, seduto di fronte al suo laptop

a Greenpoint, Brooklyn, a qualche passo da centinaia di filari di lattuga

Probabilmente non sostituirà

mai l’agricoltura convenzionale. Ma può

avere un suo ruolo.”

Se la serra in cui siamo seduti ci

può dare una qualche indicazione, si può dire che non sembra

assolutamente di essere nell’Ottocento.

Gotham

Greens è una fattoria

idroponica di 15.000 piedi quadrati sul tetto di un magazzino di Brooklyn.

Ha avuto il suo primo raccolto a giugno, e si aspetta di produrre 100

tonnellate di cibo per anno. I raccolti (soprattutto la lattuga) crescono

in file di tubazioni di plastica bianca, le radici vengono massaggiate

da acqua riciclata, sotto i fari per la crescita e i ventilatori controllati

da un sistema centrale computerizzato. Il sistema raccoglie i dati dai

sensori lungo tutta la stanza e regola di conseguenza l’ambiente. Questa

produzione viziata alla finirà sui menu dei ristoranti e sugli scaffali

di negozi come Whole Foods.

Due anni fa Forbes predisse che, dal 2018, il 20 per cento del cibo consumato

nelle città degli Stati Uniti sarebbe stato coltivato in luoghi come

questo. Si può dire con certezza che non avverrà. Adesso la produzione

urbana rappresenta una fetta minuscola del sistema alimentare. Ma ci

sono vari scenari possibili che potrebbero rendere questo cibo più

comune nelle cucine cittadine del futuro.

Molti di questi scenari stanno diventando

più probabili ogni giorno che passa. Se i prezzi dell’energia

dovessero salire, il viaggio medio di 1.500 miglia dei pompelmi per

arrivare nei frigoriferi potrebbe farlo diventare un cibo più conveniente.

Le siccità stanno divenendo più comuni, e l’agricoltura idroponica

che non usa il suolo adopera una frazione dell’acqua rispetto all’agricoltura

convenzionale e può essere facilmente impiantata negli ambienti urbani.

E c’è sempre l’evento imprevisto del Cigno Nero: i “victory

gardens” della Seconda Guerra Mondiale resero l’agricoltura

urbana una realtà, anche se temporanea, per milioni di persone nei

primi anni ’40.

Ma anche se questi scenari dovessero

presentarsi, non avrebbe ancora più senso coltivare solo sulla

terra più conveniente fuori dalla cerchia urbana, invece che nella

confusione della città? Dipende di quale città si parla. L’impresario

finanziario John Hantz ha trascorso gli ultimi anni riunendo progetti

per un’enorme

fattoria proprio a Detroit,

non solo per far crescere il cibo, ma anche alzare il valore dei terreni.

Abbiamo bisogno di scarsità” a Detroit, ha detto

alla rivista Fortune. Ossia, la Detroit spopolata ha troppa terra.

Trasformare centinaia di acri intorno alla città in terreno per la

coltivazione, questa è la sua teoria, renderebbe la terra più scarsa

(e più verde), alzando il valore dei beni immobili. Toglierebbe anche

le mani della città dalle proprietà dilapidate. È un schema abbastanza

rustico, che alcuni sospettano sia nient’altro che presa violenta

di terra da parte del settore immobiliare. Ma Hantz ora ha il pallino

dell’interesse della città.

C’è un’altra ragione per coltivare

cibo in città. Puri dice che lui e il suo partner hanno scelto Brooklyn

per varie ragioni: aiuta a creare lavoro, rendere più verde la

zona e cos’ si evita di fare la spola avanti e indietro per il paese.

Non abbiamo scelto Brooklyn perché

era figo“, insiste. Ma Brooklyn è figa, e se non lo

fosse non verrebbe usata da aziende di tutti i settori, dalla salsa alla birra alle felpe ubique. E fino a che non avremmo oltrepassato il

picco del petrolio o saremmo nel mezzo di una crisi idrica, per molte

persone l’attrazione principale del comprare legumi coltivati in città

sarà il fatto che sono vegetali che sono stati coltivati in città.

Questo può valere se la città è Brooklyn, Seattle o Montreal. Questo

è il motivo per cui l’imballaggio del Gotham Greens è corredato

non meno di tre volte dalle varianti della scritta “New York City”,

quattro se si conta la stessa “Gotham“.

Perché è un fatto che il

consumo locale è qualcosa per cui le persone sono disposte a spendere

di più, e non si trovano altri prodotti locali nella zona. Ma l’agricoltura

che è così “locale” è qualcosa con cui altre persone non vogliono

avere nulla a che fare. Nelle elezioni municipali di novembre a Vancouver,

l’agricoltura urbana è diventata un terreno di scontro politico che

è stato utilizzato dal partito di opposizione di centro-destra NPA,

che ha messo in ridicolo i fondi pubblici destinati ai i campi di grano

e ai polli. Il finanziamento era minimo (e una parte non era stato speso),

ma non importava, l’agricoltura urbana è stata considerata uno modo

strampalato di fare i liberali mentre si è sovvenzionati dalla città.

Le stesse persone che si stavano

opponendo ai campi di grano e ai polli erano contrarie anche alle piste

ciclabili a Vancouver “, ha detto Peter Ladner, che quattro

anni fa era a capo del NPA come candidato a sindaco. Da allora è diventato

un sostenitore dell’agricoltura urbana, e dice che tutta la questione,

anche per le piste ciclabili, sta diventando una battaglia culturale

che è più vasta rispetto a quella delle sole fattorie urbane, ma riguarda

la definizione di progresso. “Noi abbiamo una forte componente

asiatica a Vancouver, e c’è un grande preoccupazione [per l’agricoltura

urbana] fra gli immigranti che si stanno trasferendo qui da luoghi dove

ci sono polli e maiali che girano per strada“, dice. “Si

sono spostati qui per migliorare le loro vite e avere un’esistenza urbana

e sofisticata. E si chiedono, ‘Perché

stiamo ritornando a questo?’ Per molte persone il progresso vuole dire

trovare un bel prato liscio.”

Le persone che stanno idealizzando

l’agricoltura urbana hanno una scelta, una scelta tra negozi i di generi

alimentari e i mercati verdi, tra auto e biciclette“, ha detto

Richard Longworth, un membro di lungo corso al Chicago Council on

Global Affairs. L’anno scorso Longworth scrisse un pezzo provocatorio per Good Magazine intitolato “Lasciamo

perdere le fattorie urbane. Abbiamo bisogno di un Walmart“,

abbattendo l’idea che tali fattorie possano spronare l’economia come

riescono a fare le aziende tradizionali. “Quello che io obietto

è l’esagerazione sulla loro realtà

e il potenziale“, dice. “Ci sono molte persone in questo

paese che semplicemente odiano le megafattorie, ma questi tizi stanno

dando da mangiare al mondo intero. L’agricoltura per il consumo locale

ci può fare niente.”

Può essere vero. Ma l’agricoltura

urbana può crearsi un percorso di successo sostenibile, creando

un tipo nuovo di sottosistema all’interno del più grande sistema alimentare,

uno che sia più grande delle boutique ma più piccolo di Big Agra.

Una società chiamata BrightFarms sta cercando per prima di implementare un

metodo del genere, uno che si collochi appena sopra i negozi che vendono

la produzione in proprio. BrightFarms costruisce serre sui tetti

dei supermercato e gestisce gratuitamente le attività di coltivazione.

In cambio, il negozio sottostante firma un contratto a lungo termine

per comprare il cibo che viene prodotto. BrightFarms stima che

può raccogliere fino a 900.000 libbre di produzione per acro ogni anno.

È una soluzione che sembra progettata per le città, luoghi con abbondanza

di tetti ma poca terra.

La mancanza di spazio sul terreno è

ciò che un giorno o l’altro potrebbe rendere le fattorie verticali

una realtà economica. Ma per ora, le torri di grandi dimensioni che

hanno filari di mais sono assolutamente fantascienza. Ciononostante,

l’agricoltura di città sembra pronta per una fioritura che sia qualcosa

di più di un capriccio. Se il 2011 è stato l’anno in cui le piste

ciclabili sono diventate il manifesto di una Nuova Urbanistica, le fattorie

urbane potrebbero esserlo per il 2012

**********************************************

Fonte: Urban gardens: The future of food?

21.01.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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