FOUCAULT, IL GOVERNO DI S E DEGLI ALTRI: L'IMPORTANZA DI SAPER PARLAR FRANCO

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DI ROMANA DE MICHELI

Michel Foucault durante il corso al Collège de France tenuto tra gennaio e marzo nel 1983, organizza nuove riflessioni che proseguono la sua analisi sulla governamentalità.
Il corso prende avvio da una ricognizione sul lavoro fino a quel momento svolto, proiettandolo verso prospettive di studio ed editoriali che la scomparsa dell’autore, l’anno seguente, hanno per sempre lasciato inespresse.
Le riflessioni così globalmente reinterpretate vengono a comporre una storia del pensiero dislocata su tre assi di analisi che rappresentano al tempo stesso un ribaltamento dell’approccio di studio: alla storia delle conoscenze occorre sostituire l’analisi storica delle forme di veridizione; alla storia delle dominazioni l’analisi storica delle procedure di governamentalità; alla teoria del soggetto l’analisi storica della pragmatica di sé e delle forme che ha assunto.
È attraverso questa procedura di slittamento che la storia del pensiero di Foucault ha analizzato alcune esperienze: di follia, malattia, criminalità e sessualità.

Dopo questo inquadramento generale del discorso, l’autore introduce quello che sarà il fulcro delle sue lezioni, e cioè il concetto di parresia, la verità o, meglio, i suoi percorsi. Questo concetto rimarrà centrale per l’intero corso delle sue lezioni fino alla riflessione conclusiva sul rapporto tra filosofia e retorica, inserito in questa vasta “ontologia dei discorsi” di cui la parresia fa parte.

L’autore, attraverso una riflessione sul pensiero di Kant che rappresenta un preludio al suo ragionamento, ripropone l’idea della filosofia come “la superficie d’emergenza della propria attualità discorsiva”, attualità a cui la filosofia deve attribuire senso e valore. L’attualità di Kant a cui Foucult si riferisce, il tempo di queste sue riflessioni, è la rivoluzione (il testo analizzato “Was ist Auflklarung” viene scritto nel 1784). Kant non si riferisce all’avvenimento rivoluzionario in quanto tale (guerra, morte, distruzione) che sarebbe anzi da scongiurare, quanto invece allo spirito rivoluzionario, alla partecipazione d’ispirazione e d’intenti, all’entusiasmo che nel momento di sovversione diventa eccezionalmente contagioso. Inoltre il riferimento serve a Foucault per inquadrare il proprio ragionamento entro una cornice storico/filosofica ben precisata, e cioè quella illuminista, una fase di decompressione dalle istituzioni di assoggettamento, una fase in cui il fervore intellettuale vuole spazio per dire liberamente il vero.

Il concetto di parresia, traducibile letteralmente con l’espressione “dire-il-vero”, nella sua accezione più generale (nel significato di parlar franco e di libero accesso di tutti alla parola) mantiene uno spettro semantico variegato che attraversa, da protagonista, tutto il discorso filosofico classico, includendo di volta in volta contesti e sensibilità differenti. E’ ad ogni modo possibile individuare alcune restrizioni del significato più generale per arrivare a comprenderne le specificità politiche. L’autore segue infatti gli spostamenti e gli slittamenti del campo semantico attraverso la rilettura di Euripide e Tucidide (v secolo a.C.) prima, di Platone, Senofonte e Isocrate (prima metà del IV secolo a.C.) poi. Vengono così individuati quattro aspetti politici che nel passaggio tra V e IV secolo a.C. assumono forme e significati più precisi.
Nella sua etimologia e nel suo uso corrente il concetto rinvia a due significati: “il libero accesso di tutti alla parola” e “la franchezza con la quale si dice tutto”. La parresia politica è invece legata ad un preciso contesto di regolazione e controllo dei processi decisionali e di discussione pubblica, o ad ogni modo ad un organizzazione almeno consuetudinaria che regola i privilegi del diritto di parola (ovvero la democrazia).

In secondo luogo la struttura di questo contesto, affinchè funzioni, deve concedere a tutti il diritto di prendere parola (quello che i greci chiamavano “isegoria”).

Se tutti possono prendere parola c’è però un terzo elemento che definisce un atto di parresia: l’esercizio di un certo ascendente politico di alcuni sugli altri. L’arena politica viene così definita attraverso una tensione che può arrivare ad essere anche pericolosa: il coraggio di incorrere consapevolmente in questo pericolo dichiarando (e pur di dichiarare) il vero, rappresenta il quarto ed ultimo elemento caratterizzante.

Con i filosofi del IV secolo il significato della parresia politica viene traslato: il campo politico non è più solo rappresentato dalla democrazia, il dire-il-vero svolge una funzione necessaria e universale all’interno dell’intero arco delle forme politiche; il carattere” uniformemente” positivo della nozione cade in una certa ambiguità di valore poiché emerge il suo doppio, e cioè l’adulazione, l’atteggiamento che si contrappone per natura alla volontà di dire-il-vero; si assiste inoltre ad un allargamento di prospettiva che arriva ad includere le sensibilità individuali su cui poggiano i sistemi di governo (dal governo degli altri a quello di sé); infine con la rottura tra retorica e filosofia (e cioè tra adulazione e parresia), sarà quest’ultima ad essere indicata come l’unica in grado di resistere all’interno di ogni regime, alle tentazioni del suo doppio (l’adulazione) e alla responsabilità di guidare non solo il popolo ma anche le anime di coloro che governano.

Dall’illuminismo in poi la ragione diventa protagonista, la razionalità politica prende il sopravvento fino a confluire nell costituzione della ragion di stato. Attraverso la riflessione conclusiva sul rapporto tra retorica e filosofia l’autore propone una prospettiva che intende liberare il giogo a cui la ragione viene costretta nella formazione e nel mantenimento dello stato, una prospettiva che indichi la strada rivoluzionaria che porta a riappropiarsi del valore filosofico del concetto di parresia. Per la prima volta, un’anno prima della morte, dopo una carriera intellettuale intensissima Foucault esprime, oltre il ragionamento critico che aiuta a smontare pezzo per pezzo la realtà che ci circonda per meglio conoscerla, una via per provare a ricorstruirla, pezzo per pezzo.

Spunti di riflessione

Il concetto di parresia presentato da Foucault ricopre un campo semantico vasto. Il corso al college, nella sua ricchezza, ne è la dimostrazione.
Il discorso circoscrive fin da principio il significato della parresia entro la cornice (istituzionale o consuetudinaria) del diritto di parola, della parresia politica. Ciò nonostante questo stesso discorso non dimentica di integrare nella sua analisi considerazioni su particolarità che se da una parte si riferiscono direttamente alle dinamiche che animano l’arena politica, dall’altra portano in causa anche aspetti personali e individuali: è il caso ad esempio della riflessione sul coraggio che caratterizza un autentico atto di parresia.

Parresia democratica e autarchica sono due facce della stessa medaglia. L’analisi della governamentalità (che si esercita attraverso la parresia) e l’analisi sulla soggettivazione (che la parresia attiva) si compenetrano a vicenda. Secondo l’autore la parresia politica è il fondamento della democrazia e, viceversa, la democrazia è il fondamento della parresia. Nella democrazia d’altra parte, più che in ogni altro regime politico, il processo di soggettivazione degli individui diventa parte integrante dei meccanismi di disciplinamento. Se l’evoluzione dei sistemi politici sembra disegnare una geografia di accentramento delle risorse del potere, il disciplinamento individuale e spontaneo, messo in pratica da una serie di processi di soggettivazione, ne è il fondamento.

Vengono utilizzate immagini di circolarità che di volta in volta re-inscrivono le relazioni tra i diversi oggetti (la democrazia e la parresia, il governo di sé e degli altri, i processi di accentramento e le dinamiche di soggettivazione) in una prospettiva di studio particolare.
Il concetto di parresia compare nella cosmologia del pensiero foucaultiano come lo strumento del potere o (per meglio dire) del governo, di sé e degli altri. Il significato di questo dire-il-vero, tracciato attraverso l’analisi dei testi greci, viene restituito nella sua complessità non soltanto semantica, ma anche e soprattutto circa la natura stessa dei sentimenti che porta in gioco. Proprio all’interno della complessità di certi sentimenti sta l’anello di congiunzione tra il sé e gli altri e proprio a tale complessità sono riferite le immagini evocate dalla vita di Ione: per ottenere la parresia e fondare la democrazia ad Atene Ione dovrà attraversare una serie di “rituali di verità e di veridizione” estremamente complicati e dolorosi. Le difficoltà per un pieno svolgimento della trama sono quindi tutte legate alla parresia politica. D’altra parte sono gli aspetti più personali e intimi (familiari) della vita dei protagonisti ad incarnare le difficoltà e le non-verità da superare per arrivare all’obiettivo.

Che fine fanno i ragionamenti (e le speranze) dell’autore 30 anni dopo? Cosa è cambiato da allora? Cosa ha opposto e oppone resistenza alle speranze foucaultiane circa la possibilià di riscoprire il valore rivoluzionario della filosofia (quello che le permetterebbe di parlar franco dalla superficie d’emergenza della nostra attualità discorsiva?)
Tentando un’attualizzazione di queste riflessioni emergerebbero innanzitutto alcune particolarità rispetto al periodo storico in cui parlava Foucault (agli albori dell’era digitale).

Negli ultimi trent’anni l’individualismo ha incontrato e abbracciato la tecnologia, il mercato globale li ha sposati: l’individualismo viene promosso dalla tecnologia, ma a sua volta la tecnologia viene incalzata dall’individualismo. Su questo scenario che fine fa (e ha fatto) il concetto di “parlar-franco” e l’intimità che esso presuppone?

Il processo di soggettivazione implica, almeno nei casi di un pieno e consapevole svolgimento del sé e delle sue potenzialità, un prezzo da pagare. E’ quello che io credo Foucault intenda con la sua riflessione sul coraggio che un atto di verità presuppone (o dovrebbe presupporre) in ambito politico. Che fine ha fatto questo prezzo da pagare?

Gli anni ottanta hanno posto le basi di una nuova fase economica innanzitutto, e quindi politica, ma anche e soprattutto culturale. La rivoluzione digitale ha sconvolto gli scenari accelerando improvvisamente i ritmi di vita dell’intero globo. Allo stesso modo la globalizzazione (permessa dalla rivoluzione digitale) ha imposto una concentrazione degli spazi.

L’impossibilità di un evoluzione sociale (e psicologica) che riuscisse a stare dietro a questi cambiamenti ha prodotto fratture profonde. D’altra parte queste fratture, che nascondono sostanzialmente dei bisogni, hanno svolto un ruolo fondamentale nella nuova economia globale dal momento che ogni bisogno va a costituire un possibile mercato. Moltiplicandosi le fratture si sono di conseguenza moltiplicati i bisogni, e così anche i mercati. La bolla speculativa globale ha invaso gli ambiti più intimi e gli aspetti più personali della vita di ciascuno. Fino ai bisogni meno tangibili, fino alle profondità più emotive.

Risulta centrale per l’economia globale poter scardinare quanti più bisogni possibili, e cioè trovarli (o eventualmente indurli) scavando fin dentro le profondità umane e quindi inserirli in un meccanismo di compensazione che però, per quanto possibile, non li esaurisca mai del tutto, in rispetto ai principi della massimizzazione dei profitti.
Occorrerebbe a mio avviso soffermarsi a riflettere anche sul significato del concetto di surplus applicato agli andamenti del mercato consumistico (orami globale) dei bisogni. Per assicurare la massimizzazione dei profitti occorre infatti essere certi di poter soddisfare pienamente la domanda, occorre mettersi in condizione di produrre un surplus che garantisca il profitto massimo. Cosa può significare per gli individui e la loro emotività (la domanda) subire un surplus di bisogni (l’offerta)? Quale prezzo impone questo surplus?

All’interno del panorama dei bisogni che si moltiplicano trova spazio, a mio avviso in primissimo piano, il bisogno di intimità e fiducia reciproca con le persone più prossime, una rete che, a differenza di quella del web, non ci metta solo in contatto virtuale con gli altri, ma anche e soprattutto in contatto reale con noi stessi. Riuscire a rimanere in contatto con se stessi (quello che chiamerei il governo di sé) rappresenta una condizione fondamentale per soddisfare i propri bisogni senza per questo dover alimentare un qualche mercato.

Il bisogno di intimità da questa prospettiva risulta centrale dal momento che rappresenta il cuore di una delle maggiori lacune dei processi storici che viviamo nell’era digitale. In questo contesto si sono andate sviluppando una miriade di dinamiche identitarie incentrate sulle strategie relazionali che possono soccorrere il bisogno di intimità. All’interno della vasta gamma di strategie rimane centrale l’abilità di saper cogliere l’attenzione dell’altro per instaurare un rapporto privilegiato di fiducia (e non a caso… dal momento che viviamo una densità abitativa virtuale esponenzialmente alta).

Inoltre, tra i vari modelli stereotipati di vita sociale che la cultura occidentale della pubblicità offre, molti al giorno d’oggi rivelano una caratteristica importante e quasi costante: la disinvoltura.
Se la parresia veniva definita da Foucault a partire da alcune caratteristiche quali la possibilità di esercitare un certo ascendente sugli altri e la libertà di dire tutto, attraverso uno slittamento di significato essa si può rintracciare anche al giorno d’oggi, anche se ormai priva al suo interno di discorsi di verità. Il mercato ha trasformato a mio avviso la parresia che Foucault voleva filosofica nella capacità di mostrarsi sempre sicuri e disinvolti, ovvero la risposta sbagliata ad un bisogno innato (piuttosto che la risposta appropropriata ad un desiderio indotto), e cioè quello di intimità e contatto con altre persone.

In particolar modo il mondo giovanile che vive sotto l’etichetta delle tante culture underground ha fatto del parlar-franco la propria bandiera rivoluzionaria, e d’altra parte la rivoluzione tecnologica e le logiche di mercato hanno assorbito il potenziale di queste culture per incanalarlo verso la mercificazione.

Le possibilità di emancipazione dalle strategie economiche risultano per altro quasi nulle dal momento che i processi di soggettivazione funzionali ad un’educazione e ad un disciplinamento spontaneo degli individui hanno lasciato poco spazio libero. Attraverso un’illusione il dire-il-vero diventa economico e alla portata di tutti (dai rappers nel ghetto ai commentatori dell’ultima di champions in tv): dalla possibilità di esercitare un certo ascendente sugli altri alla possibilità di creare rapporti di dipendenza, dal coraggio di dire tutte le verità alla disinvoltura di fare qualsiasi cosa. Si tratta ovviamente dell’illusione che permette all’ingranaggio di continuare a girare, un’illusione che impedisce al meccanismo di esaurirsi.

Un tempo il bisogno di intimità era minore, perchè soddisfatto da un regime di vita diversa entro cui le relazioni erano poco mediate dalla tecnologia: sperimentare un contatto diretto con altri esseri umani in maniera continuativa e intensiva (maggiore convivenza e interazione) di certo non creava problemi di solitudine, o almeno non nella stessa misura e nelle stesse forme dell’epoca della digitalizzazione di tutto (e anche delle emozioni). Dover pagare per soddisfare un bisogno profondo che un tempo non si avvertiva in maniera così lancinante costituisce una condizione di subordinazione e sottomissione generazionale. Il mercato offre però una soluzione: la possibilità di acquistare la strategia relazionale che meglio ci proietta sullo schermo del pc e sullo scenario della propria vita, si tratta di un’offerta all inclusive, comprendente tutto un corredo di beni materiali e immateriali tra i quali la parresia occupa un posto da protagonista.

Insomma si può comprare anche una personalità: non la si acquisterà mai una volta per tutte in maniera definitiva, occorrerà pagare sempre, talvolta anche cambiare prodotto, in una prospettiva di libera dipendenza volontaria, poiché si tratta di un mutuo inesauribile sulla felicità.

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Romana De Micheli

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