DI MIKE WHITNEY
Information Clearing House
Le riserve aziendali salgono a 1,9 trilioni di dollari, ma niente su cui investire.
Sono passati due anni e mezzo dal collasso Lehman Brothers e i consumatori americani battono ancora in ritirata.
Giovedì scorso, la Fed (ntd. Federal Reserve) ha reso noto il rapporto sui “flussi di cassa”, che mostra che il debito delle famiglie è sceso a 13,3 trilioni di dollari durante il quarto trimestre (4Q). Ma l’importante proporzione debito-entrate rimane sensibilmente sopra gli standard, al 120,9%. Ciò significa che i consumatori dovranno tagliare ancora di più le loro spese.
Durante gli anni del boom (2000-2007) il debito delle famiglie è più che raddoppiato, approfittando del credito conveniente e facilmente reperibile per l’acquisto dei mutui, il rifinanziamento delle case e il mantenimento del tenore di vita. I proprietari delle case sono riusciti a togliere (all’incirca) 500 miliardi di dollari all’anno dal loro patrimonio familiare in aumento, da spendere a loro piacimento.
La domanda stimolata dalla smania di credito ha aumentato il livello di occupazione e ha creato un circolo vizioso di rimuneratività e di crescita. Ma adesso il processo si è invertito, scatenando un’ondata di pignoramenti, bancarotte e inadempienze. I consumatori hanno ridotto le spese per 11 trimestri consecutivi per rattoppare i loro stati patrimoniali dopo aver subito gravi perdite durante la crisi.
La perdita di leva finanziaria delle famiglie può avere un impatto devastante sull’economia, in quanto la spesa per consumi rappresenta il 70% del Prodotto Interno Lordo (GDP). Per fortuna, l’amministrazione Obama ha avviato un pacchetto di incentivi fiscali pari a 787 miliardi di dollari per porre rimedio al crollo delle spese nel settore privato, altrimenti l’economia sarebbe scivolata in una crisi a lungo termine.
La spesa governativa (i deficit) ha tirato fuori l’economia dalla recessione, ha ridotto il grosso gap di produzione e ha aumentato il livello di occupazione con circa 2 milioni di posti di lavoro.
Gli economisti si basano sul rapporto sui flussi di cassa per valutare la salute dei consumatori, ma a volte i dati possono essere fuorvianti. Per fare un esempio, il capitale netto delle famiglie è passato da 2,1 trilioni di dollari a 56,8 trilioni di dollari alla fine del quarto trimestre, ma di fatto tutti i guadagni hanno riguardato il mercato azionario, senza alcun effetto sulle abitudini di spesa della gente che non investe in azioni. Come osserva Randall Forsyth di “Barron” (ndt. la principale rivista finanziaria americana): “Bisogna giocare alla lotteria se si vuol vincere.”
Eppure, il presidente della Fed, Ben Bernanke, interpreta l’ascesa dei prezzi azionari come un segno dell’efficacia del suo programma di acquisto obbligazioni (QE2). Come l’ex presidente della Fed, Alan Greenspan, Bernanke crede che “l’effetto ricchezza” possa sollevare la spesa e condurre alla ripresa. Purtroppo, i fatti non confermano le dichiarazioni di Bernanke. Mentre gli incentivi fiscali hanno aumentato l’attività economica e l’occupazione (stando a 2 diversi rapporti rilasciati dall’indipendente CBO – Congressional Budget Office), il QE2 non ha fatto che inflazionare i prezzi azionari. Non c’è niente nel rapporto sui flussi di cassa che suggerisca qualcosa di più rispetto a una normale ripresa ciclica a seguito di una profonda recessione. In altre parole, il QE2 ha fallito.
Lo strumento principale della politica della Fed è costituito dai tassi di interesse. Il QE2 è un tentativo di spingere i tassi sotto zero tramite acquisti di Titoli di Stato su larga scala. E, per certi versi, questo funziona. Grazie alla ripresa col contagocce del sistema bancario di Bernanke, le azioni sono salite del 12% nel quarto trimestre. Ma prezzi azionari più alti non hanno prodotto né investimenti né spese maggiori, solo più liquidità che si muove intorno ai mercati finanziari. Il problema è che il QE2 manca di un meccanismo di trasmissione che fornisca incentivi all’economia reale. Non aumenta gli stipendi, non accresce il credito e non elimina gli stati patrimoniali in rosso delle famiglie. Aggiunge solo raffiche di elio alla bolla dei capitali netti. Ciò è evidente nel rapporto sul Credito al Consumo della scorsa settimana, così come nel rapporto sui flussi di cassa. Il rapporto sul Credito della Fed ha mostrato che – a parte i prestiti studenteschi e i prestiti auto sub-prime – il credito al consumo sta ancora calando. Di fatto, la concessione di prestiti o non ha subito variazioni o è diminuita presso le banche commerciali, le compagnie finanziarie, le unioni di credito, le casse di risparmio, le aziende non finanziarie e i pool di debiti securitizzati. In sostanza, non c’è nessun segnale che indichi che la politica della Fed sta aiutando le famiglie a ridurre il loro debito o a ricominciare a spendere a livelli precrisi. In altre parole, il QE2 non sta aprendo la via a un’altra espansione del credito.
C’è da considerare poi ciò che riporta il Bloomberg Businessweek:
“Questi americani comuni che hanno un lavoro si preoccupano di tenerselo stretto e si aspettano aumenti scarsi se non nulli man mano che la ripresa avanza poco a poco. Per le famiglie con un reddito più alto, è un’altra storia, afferma Michael Faroli, un ex economista della Federal Reserve, ora economista americano a capo del JPMorgan Chase a New York: ‘Sono le uniche che traggono il maggior beneficio dalla ripresa della Borsa e che hanno ricominciato a spendere.’
…Feroli stima che il 20% dei percettori di reddito più alto renda conto di circa il 40% della spesa pubblica. Dean Maki, economista americano a capo della Barclays Capital a New York, colloca questo dato più vicino al 50%.”
Quindi, sì, l’ascesa dei prezzi azionari ha fatto del bene ai ricchi, che hanno ripreso le gite da Tiffany e le cene nei ristoranti di fascia alta. Ma per tutti gli altri è stato un fallimento. Le cose potrebbero cambiare solo se il QE2 alzasse agli stipendi o tirasse fuori dalla crisi i prezzi degli immobili. Ma non funziona in questo modo.
Riporto di seguito un pezzo di una articolo del Wall Street Journal che getta un po’ di luce sulla storia della perdita di leva finanziaria, evitata dalla maggioranza dei media:
“Nel 2010 le famiglie americane si sono accollate il carico di debito più basso degli ultimi sei anni (…) Le inadempienze su mutui e carte di credito hanno giocato un ruolo fondamentale nell’abbassamento del debito delle famiglie, sottolineando l’entità delle difficoltà finanziarie che affliggono le famiglie degli Stati Uniti. Nel 2010 le banche commerciali hanno annullato 118 miliardi di dollari in mutui, carte di credito e altri debiti al consumo, ha dichiarato la Fed. Cioè più della metà della flessione totale del debito famigliare di 208,8 miliardi di dollari, che comprende anche nuovi mutui e carte di credito. ..
Molti consumatori hanno ancora una lunga strada davanti a sé prima di fare ordine nelle loro finanze. Alcuni economisti ritengono che una proporzione sana tra debito famigliare e reddito disponibile sarebbe pari o inferiore al 100%.” (“Le famiglie registrano il debito più basso in 6 anni”, Wall Street Journal).
Perciò, le famiglie stanno riducendo il loro debito ma ciò che è interessante è capire come ci stanno riuscendo. Attraverso le inadempienze. È ciò che riporta un articolo precedente del Wall Street Journal firmato da Mark Whitehouse:
“Il carico di debito in diminuzione rievoca immagini di una nazione che tenta di pentirsi dopo un decennio di dissipatezza, pagando scrupolosamente i mutui e i saldi delle carte di credito. Può anche essere vero in certi casi, ma non è certo la norma. In realtà, si stanno facendo molti più passi avanti abbattendo i debiti tramite inadempienze sui mutui e non onorando le carte di credito (…) in media, la gente non sta pagando per niente i propri debiti. Anzi, gli inadempienti rendono conto dell’intero declino, mentre tutti gli altri in realtà non hanno fatto che accumulare altro debito causando la peggiore crisi e recessione degli ultimi decenni.” (“Il pezzo della settimana: l’inadempienza, non il risparmio, riduce il debito americano”, Wall Street Journal)
Oh oh. Quindi i consumatori si stanno comportando da inadempienti invece di pagare i loro debiti. Il che significa più pignoramenti e bancarotte con conseguenti perdite maggiori nelle banche e, forse, un’altra operazione di salvataggio finanziario. Aumenta anche la probabilità che i prezzi azionari e all’ingrosso diminuiscano drasticamente con il rallentamento dell’attività, scatenando un altro periodo di deflazione. Riuscirà dunque il QE2 a invertire questa tendenza e a scatenare un’ondata di investimenti e di spese modificando la curva dei rendimenti dei Titoli di Stato americani? Non c’è da giurarci. Basta dare una scorsa all’articolo di Mark Whitehouse per capire cosa sta succedendo:
Quindi, perché gli enti non stanno reinvestendo il loro gruzzolo di 1.9 trilioni di dollari ora che la Fed ha abbassato i tassi al 0% e Bernanke sta supportando i mercati con il QE2?
La causa è la mancanza di domanda. L’alchimia finanziaria e le ondate di speculazione hanno mascherato il misero rendimento dell’economia di primo grado che diventa più anemica ad ogni ciclo d’affari. Le imprese non sono più in grado di trovare mercati produttivi in cui investire la loro eccedenza di capitale, perciò l’intero sistema sta rallentando. E, quando i risparmi aziendali non vengono riciclati nell’economia mediante gli investimenti, la domanda si esaurisce. È ciò che sta succedendo ora.
I riformatori possono distogliere l’attenzione dal problema centrale puntando il dito contro la deregolamentazione, i bassi tassi di interesse e un eccesso di “risparmi stranieri”, ma resta il fatto che le riprese si indeboliscono sempre di più, il livello di disoccupazione rimane elevato più a lungo e i tracolli diventano più catastrofici. Tutto ciò mette in evidenza un sistema instabile e sclerotico danneggiato dalla sovrapproduzione e dal sottoconsumo, che sta pian piano cedendo alla stagnazione. Il rallentamento persistente sta aggravando l’ineguaglianza fiscale, stimolando gli antagonismi di classe e fomentando l’inquietudine sociale. Marx diceva che “il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso.” Gli 1,9 trilioni di dollari infruttiferi degli stati patrimoniali aziendali dimostrano che Marx aveva ragione.
Titolo originale: “Maybe Marx Was Right After All…”
Fonte: http://www.informationclearinghouse.info
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15.03.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA URONI