DI CAROLYN BAKER
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Gli ultimi giorni del genere umano
Il regista Alfonso Cuaron ha adattato il romanzo futuristico di P. D. James del 1993 [Children of Men, che significa appunto “Figli degli uomini” n.d.r] scritto nello stile di George Orwell, in un film sensazionale che molta gente non vedrà – non oserà vedere, dato che raffigura il mondo in cui tutti noi temiamo di essere catapultati a gran velocità. Quel mondo del 2027 è uno in cui la gente della mia età potrebbe esserci o no, ma se potessi scegliere preferirei passare.
Il thriller/mattone futuristico di Cuaron si discosta quasi immediatamente dagli Stati Uniti dato che nei primi cinque minuti del film ci viene detto che insieme ad una pletora di altre nazioni, sono crollati, mentre “L’Inghilterra resiste”. Tutti gli altri imperi moderni sono andati in frantumi, e rimangono soltanto le ultime tracce del vecchio impero britannico dato che milioni di profughi e migranti da tutto il mondo, sperando di sopravvivere, inondano il paese, che è stato diretto per rimanere relativamente calmo e prospero. Per cui è stato disposto un enorme apparato di sicurezza interna per riunirli e recluderli. Nel frattempo, l’inquinamento ha reso sterile l’umanità, e il bambino più giovane sulla Terra ha già diciotto anni. In questo mondo tetro e patologicamente grigio, non solo i gruppi terroristici abbondano e la guerriglia urbana prevale, ma ai cittadini vengono offerte gratuitamente pillole per il suicidio dalla Shakespeariana marca farmacologica, Quietus.Circondato dal caos fiorente di questo mondo futuristico il protagonista del film, Theo, viene rapito da un’organizzazione terroristica, i Fishes [pesci, ndt], guidata da una sua ex, Julian, un’attivista irriducibile che fa pressione su di lui per aiutare uno dei loro membri a lasciare il paese – una giovane donna nera, Kee, che è particolarmente preziosa politicamente per i Fishes perché, sorprendentemente, è incinta.
Theo si imbarca in una missione per soddisfare la richiesta dei Fishes – un viaggio che lo porta attraverso la campagna inglese, in precedenza conosciuta per la sua bellezza e serenità, ma che adesso, sebbene ancora misteriosamente bucolica, è costellata di ammassi di corpi umani in fiamme. Per quanto il film non lo dica direttamente, possiamo assumere che questi siano i cadaveri dei profughi giustiziati – una deduzione logica basata sulla dettagliata descrizione di tali atrocità nel film.
Infine, Theo e Kee arrivano a Bexhill, un campo profughi gigante, una specie di Guantanamo sul mare triste e nebbiosa, dove si verificano incessanti scontri a fuoco tra l’esercito inglese e i terroristi. È a Bexhill, in una stanza fredda e sporca simile ad un attico, che Kee dà i natali ad una bambina. In fuga senza tregua alla ricerca di una barca che li porti ad una nave chiamata “Tomorrow” [“Domani”, ndt] e lontano dagli orrori di Bexhill, Theo e Kee, trasportando e nascondendo la piccola, navigano, un’infernale battaglia dopo l’altra, in un frenetico tentativo di scappare.
La coreografia di Cuaron degli scontri a fuoco è freddamente autentica, ricordando il Vietnam di Stanley Kubrick in “Full Metal Jacket” o la Bosnia in “Harrison’s Flowers”, e risuona non solo attraverso le orecchie dello spettatore, ma nel corpo intero. Ancora nel travaglio di una cacofonia di proiettili che esplodono si inizia a sentire il debole pianto di un bambino che gradualmente aumenta di volume finché diventa evidente a tutti che il bimbo più giovane sulla Terra non è altri che l’infante che urla in loro presenza. A questo punto Cuaron ci regala ciò che credo sia il momento più commovente e avvincente del film – circa un minuto di abbietto silenzio in cui tutto il fuoco cessa e gli uomini e le donne, tutti ugualmente confusi, guardano Theo, Kee e la bambina che piange. Per quel prezioso momento nel tempo la guerra si ferma, e la vita di un nuovo essere umano cattura i cuori e le menti di un’armata di adulti che la circondano mentre si affannano ad ammazzarsi l’un l’altro. Il fuoco senza pietà riprende rapidamente, ma non senza una scena mozzafiato di quiete pacifica nella quale i deliri di distruzione guerrieri sono paralizzati dalla realtà che ti ferma il cuore del pianto di un bambino. Nell’orrendo, grottesco mondo di Bexhill del 2027, quel pianto sbigottisce umani in guerra, anche se solo per pochi secondi, con la loro umanità, la preziosità della vita, e un mondo che erano arrivati a credere perduto per sempre.
Malgrado un riferimento alle “pandemie del 2008”, ciò che “Figli degli Uomini” non ci ha mostrato sono le certezze future come l’indicibile caos climatico conseguenza del riscaldamento globale, le abbiette fame e malnutrizione causate dalla carestia e dalla sempre più scarsa disponibilità di cibo nel mondo, le orribili conseguenze dell’esaurimento degli idrocarburi, o un Armageddon economico globale. Quindi, in quel senso, le sue descrizioni non sono accurate come avrebbero potuto, ma l’autenticità delle conseguenze di altri problemi come l’inquinamento, la guerra, la depressione e la disperazione sono quantomeno agghiaccianti nella loro plausibilità.
Con il mondo che resta sulla soglia di un’incessante guerra globale per le risorse, il trionfo del fascismo negli Stati Uniti, e più sconfortante di tutto, una comunità di politici e la cittadinanza dentro l’impero che sono assolutamente incurabili nel loro rifiuto di accettare queste realtà e di trovare le cause alla loro radice, “Figli degli Uomini” non avrebbe potuto essere più puntuale. Ci offre un’immagine repellente di un futuro che non deve succedere ma che è garantito se gli uomini continuano con il loro rifiuto infantile – scegliendo letteralmente di essere “bambini” piuttosto che “uomini” e donne maturi.
Carolyn Baker
Fonte: http://carolynbaker.org
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15.01.2007
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di STIMIATO