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DI SHARON SMITH
Counterpunch

I milionari di Wall Street hanno passato mesi in lutto per le perdite derivanti da investimenti sopravvalutati in modo ridicolo. Eppure questi personaggi simili a cheerleaders del libero mercato rimangono beatamente ignari delle dimensioni della crisi a cui dovranno far fronte le vere vittime dello sbocciante declino globale che hanno entusiasticamente attivato.

Per i 3 miliardi di persone che sopravvivono con meno di 2 dollari al giorno, la spirale dei prezzi globali del cibo vuol dire lottare per il più basico dei diritti umani – il diritto a mangiare. Riso, pane e tortillas rappresentano la dieta principale per questa metà della popolazione mondiale. Nel 2007, il prezzo dei cereali è cresciuto del 42% e quello dei prodotti caseari dell’80%, secondo i dati delle Nazioni Unite, e l’inflazione è ancora aumentata negli ultimi mesi.

Come riporta l’Observer del 6 aprile: “La carenza di scorte globali del riso che ha fatto lievitare il prezzo di una delle più importanti fonti di nutrimento del 50% nelle due ultime settimane sta da sola innescando una crisi internazionale.” Nelle ultime settimane, forti carestie hanno provocato violente rivolte in Burkina Faso, Camerun, Egitto, Indonesia, Costa d’Avorio, Mauritania, Mozambico, Senegal e Haiti. Sei giorni consecutivi di scontri hanno stravolto Haiti la settimana scorsa. Haiti è la nazione più povera dell’emisfero Ovest, dove l’80% della popolazione vive con 2 dollari al giorno e la dieta tipica di un adulto arriva a 1640 calorie, 640 calorie sotto la media stabilita dal Programma Alimentare Mondiale. Gli Haitiani sono cresciuti stancamente sostentati da quella che è diventata la dieta più comune: creta, sale e verdure che ora scarseggiano. “I manifestanti comparano il bruciore del proprio stomaco vuoto con quello che darebbe la varechina o l’acido della batteria.” Riporta il Guardian del 9 aprile.

Il 4 aprile, migliaia di haitiani affamati hanno protestato nella città del sud di Les Cayes, provando a dar fuoco alla stazione di polizia della Nazioni Unite mentre rubavano riso dai camion. La rivolta si è presto estesa anche alla capitale, Port-au-Prince, dove in migliaia si sono riuniti di fronte al palazzo presidenziale chiedendo a gran voce le dimissioni del presidente, voluto dagli USA, Rene Preval. Fortunatamente per Preval, le forze di pace delle Nazioni Unite sono pronte quando c’è bisogno di disperdere imponenti manifestazioni con gas lacrimogeni e pallottole di gomma. La brutale repressione ha permesso a Preval di evitare la stessa fine che aveva fatto Jean-Claude “Baby Doc” Duvalier, il dittatore, sostenuto anch’esso dagli USA, rovesciato da una rivolta popolare nel 1986.

Preval non ha fatto niente per stabilizzare i prezzi del cibo che schizzavano alle stelle o per aiutare chi stava morendo di fame e mise in chiaro in un intervento televisivo del 9 aprile che non aveva nessuna intenzione di farlo ora. In una situazione simile a quella di Maria Antonietta, Preval richiama i cittadini di Haiti: “Le manifestazioni e le distruzioni non faranno abbassare i prezzi e non risolveranno i problemi del Paese. Al contrario, ciò porta alla crescita della miseria e disincentiva gli investimenti stranieri.”

In Egitto, dove proteste e scioperi sono illegali, migliaia di lavoratori tessili con i lori sostenitori si sono ribellati in Mahalla el-Kobra contro gli alti prezzi del cibo e le basse retribuzioni il 6 e il 7 aprile. La polizia stava occupando la centrale tessile pubblica di Misr per prevenire lo sciopero che i lavoratori avevano in programma, ma i manifestanti hanno risposo dando fuoco agli edifici e lanciando mattoni alla polizia che rispondeva con gas lacrimogeni. La repressione della polizia non ha messo fine ai disordini ma li ha solo alimentati.

Circa il 40% degli egiziani sopravvive con meno di 2 dollari al giorno, quando il prezzo del pane esente dai sussidi è aumentato di 10 volte negli ultimi mesi e il prezzo del riso è duplicato in una sola settimana. Il salario minimo nazionale è rimasto invariato dal 1984, a 115 pound egiziani al mese. I lavoratori di Mahallah richiedevano una salario minimo di 1200 pound al mese, che lascerebbe comunque una famiglia di 4 persone nella condizione di vivere sotto la soglia di povertà dei 2 dollari al giorno.

La rivolta dell’ultima settimana a Mahallah è l’ultimo episodio della lotta di classe che sta scuotendo dalle basi la classe operaia egiziana. L’editore del Middle East Report Joel Beinin si scaglia contro il crescente movimento di protesta: “Questo è potenzialmente il movimento con la base popolare più diffusa in dissenso con il regime alla quale Mubarak abbia mai fatto fronte. Alla combinazione di repressione, apatia e smobilizzazione politica che ha sostenuto l’autocrazia in Egitto per più di mezzo secolo starebbe forzatamente mancando qualcosa, rendendo le cose sempre più difficili al regime di Mubarak, se non fosse per i colleghi capitalisti che continuano a fare affari come se niente fosse.” Infatti, il Primo Ministro Ahmed Nazif è corso a Mahallah l’8 aprile per annunciare che garantirà un salario bonus di un mese ai lavoratori e affronterà le loro richieste sulla sanità e gli stipendi.

La fame sta aumentando anche negli Stati Uniti. L’ingordigia sfrenata e senza regole di più di trent’anni di neoliberismo che hanno causato devastazione nei Paesi più poveri del mondo sta ora portando alla divisione delle classi nei Paesi più ricchi. La prosperità del Nord del mondo non si può poggiare per molto tempo ancora interamente sul Sud.

In realtà, la crescente povertà in America è passata in secondo piano nei media Statunitensi, che si occupano principalmente di Wall Street e della Casa Bianca. Il 7 aprile, per esempio, il Tribune Newspaper pubblica ridicolmente un articolo sulla sfortuna di quella piccola fetta di americani che devono limitare le proprie esorbitanti abitudini di spesa. L’articolo mette in mostra la “tragedia” di un’agente di ipoteca in difficoltà per poter continuare con il trattamento di Botox [tossina botulinica contro le rughe n.d.t.] per il quale spendeva regolarmente 1800 dollari. “Vorrei continuare il trattamento del Botox e potermi permettere di andare a cena fuori” dice la donna al reporter, che lo riporta senza ironia.

L’inflazione del cibo negli USA ha raggiunto livelli mai visti in decenni, soprattutto sui prodotti principali come il latte, cresciuto di più del 17% nell’ultimo anno; il riso, la pasta e il pane cresciuti più del 12% e le uova cresciute del 25%. Dato che la perdita del posto di lavoro è una delle principali cause di questa recessione, 28 milioni di persone, una cifra senza precedenti, è dipendente dai buoni alimentari per sopravvivere quest’anno. Una persona su 6 nella Virginia dell’Ovest, una su 10 in Ohio e nell Stato di New York fanno affidamento sui buoni alimentari per sopravvivere. In Oklahoma un bambino su 3 ha dovuto far affidamento ai buoni almeno una volta nell’ultimo anno.

I “diritti” dei buoni alimentari sono lontani dall’essere generosi nella società più ricca del mondo ed è inutile dire che la maggior parte delle persone che risente di questo rincaro dei prezzi del cibo non ha diritto a nessun aiuto. D’accordo con le linee guida pubblicate dal Ministero dell’Agricoltura degli USA nel proprio sito web, una famiglia di 4 persone ha diritto ai buoni alimentari solo se il proprio reddito mensile netto è uguale o inferiore a 1721 dollari. Questa stessa famiglia avrebbe poi diritto a un massimo di buoni alimentari per 542 dollari, lo stesso che nel ’96. Il sussidio medio è di circa 1 dollaro a pasto a persona. 800 mila aventi diritto, la maggior parte dei quali anziani o handicappati, riceve il l’aiuto minimo di 10 simbolici dollari al mese, secondo il New York Times.

I principali economisti hanno solitamente descritto la crisi globale come una carenza di cibo, però la carenza è stata fortemente alimentata dalle crudeli leggi del libero mercato. In molti casi non si tratta di improvvisa scarsità del cibo, ma semplicemente del denaro che serve per pagarlo. Il Direttore Esecutivo del Programma Alimentare Mondiale Josette Sheeran ha recentemente dichiarato riguardo all’Africa subsahariana: “Stiamo assistendo a carestie nelle città più di quanto si fosse mai visto prima. Spesso il cibo è disponibile nei negozi però la gente non può permetterselo.”

Il settore agricolo e alimentare rappresenta in questo momento il secondo settore più redditizio del mondo, soltanto dietro a quello farmaceutico. Anche la casa automobilistica Mitsubishi, che controlla anche la seconda banca a livello mondiale, è diventata una delle maggiori produttrici di carne bovina al mondo, dimostrando a che livello il capitale si sta muovendo verso il settore agricolo. Il documento sullo sviluppo globale della Banca Mondiale del 2008 ne parla entusiasta, commentando:”Il settore dell’Agrobusiness privato si è fatto più vibrante. Nuovi, potenti attori sono entrati sulla scena ed hanno forti interessi economici per avere un prosperoso settore agricolo e voce in politica.”

Però come l’agrobusiness ha spazzato via i piccoli agricoltori americani negli anni ’80, così sta succedendo ora in tutto il mondo. Come scrisse nel 2006 l’attivista per una giustizia globale Vandana Shiva, in India “senza una regolamentazione del mercato dell’agricoltura le grandi corporazioni possono trarre profitto dalla vendita di sementi e comprare prodotti a prezzi stracciati chiudendo i contadini nella morsa del debito. Questo fu il processo con il quale sono scomparse le piccole famiglie di contadini negli USA, in Argentina ed in Europa.”

In questo momento la legge di domanda e offerta stabilisce che il nuovo mercato dei biocarburanti dovrebbe ridurre la produzione di mais per il consumo alimentare del 25% negli USA, provocando volontariamente una carestia e un incremento del prezzo del mais. Speculatori si stanno accaparrando i terreni coltivabili convinti che il prezzo di queste terre aumenterà in fretta. Intanto, gli investitori di tutto il mondo stanno scappando dal dollaro in calo comprando beni come riso e grano, alimentando la macchina speculativa e spingendo i prezzi dei beni principali troppo in alto per i più poveri.

I programmi neoliberisti hanno perso già da molto tempo rispetto agli occhi della maggioranza della popolazione mondiale, anche se i suoi primi sostenitori sono stati gli ultimi a rendersi conto della dura realtà. L’ultimo Prospettive sull’Economia Mondiale, pubblicato dal Fondo Monetario Internazionale l’ultimo autunno, rileva una crescita della disuguaglianza nei Paesi più ricchi: “Tra i Paesi più avanzati, la disuguaglianza è diminuita solo in Francia. La recente esperienza (dell’aumento della disuguaglianza) sembra indicare un cambio di rotta rispetto al generale declino delle disuguaglianza dalla prima metà del XX secolo.”

Il FMI rimane ottimista sul futuro del neoliberismo: “dal 2002 fino adesso, l’economia mondiale ha sfruttato il suo miglior periodo di crescita dalla fine degli anni ’60 e principio dei ’70, anche perché l’inflazione è rimasta controllata. Non solo la recente crescita globale è stata forte, ma l’espansione è stata condivisa da molti Paesi. La volatilità della crescita è crollata.”

Nelle ultime settimane sembra che i personaggi di spicco neoliberisti che prendono le decisioni si stiano rendendo conto che le diffuse carestie innalzano il livello della protesta e potrebbero creare problemi ai governanti di tutto il mondo. Il presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick recentemente è apparso preoccupato nel sito web dell’organizzazione: “33 Paesi fronteggiano un forte malcontento sociale dovuto all’innalzamento dei prezzi di cibo ed energia.”

Forse questi intoccabili secchioni creatori di linee politiche potrebbero suggerire, seguendo la loro lunga tradizione borghese, che i poveri comincino ad alimentarsi con etanolo. E i lavoratori statunitensi che ora stanno dondolando sopra il baratro neoliberista dovrebbero considerare di seguire i propri fratelli e sorelle in giro per il mondo e ricominciare a lottare.

Sharon Smith è l’autrice di “Women and Socialism” (Le donne e il socialismo) e “Subterranean Fire: a History of Working-Class Radicalism in the United States” (Fuoco Sotterraneo: la Storia del radicalismo della classe operaia negli USA). Può essere contatta all’indirizzo: [email protected]

Titolo originale: “Growing Hunger. Let Them Eat Ethanol!”

Fonte: http://www.counterpunch.org/
Link
11.04.2008

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di EPICUREO

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