Estratto di vischio per il trattamento del cancro avanzato

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L’estratto di vischio per endovena è stato valutato in 21 pazienti con tumori avanzati resistenti ai trattamenti convenzionali attraverso uno studio di fase 1 condotto da ricercatori del John Hopkins Kimmel Cancer Center. La ricerca ha documentato una migliore qualità della vita e un certo controllo della malattia.
L’estratto è stato somministrato per via endovenosa tre volte alla settimana con dosi crescenti e i ricercatori hanno concluso che la dose sopportabile è di 600 mg. I pazienti sono stati osservati per circa 15 settimane e, alla fine di questo periodo, gli autori dello studio hanno riscontrato che i tumori in tre partecipanti erano diminuiti di dimensioni. Tramite un questionario i pazienti hanno anche riportato un miglioramento generale della qualità della vita, mentre gli effetti indesiderati più comuni riferiti sono stati affaticamento, nausea e brividi e sono stati considerati gestibili.

Il vischio per via endovenosa ha dimostrato tossicità gestibili con il controllo della malattia e una migliore qualità della vita in questo gruppo di pazienti, che avevano già ricevuto più terapie antitumorali”, ha affermato Channing Paller, MD, professore associato di oncologia che ha guidato il gruppo di ricerca aggiungendo che “ulteriori studi di fase II in combinazione con la chemioterapia sono il passo successivo”.
Altre revisioni sistematiche precedenti a questo lavoro scientifico hanno confermato simili benefici effetti del vischio in termini di riduzione del tumore e di miglioramento della qualità della vita in pazienti oncologici. Inoltre, gli autori scrivono che: “è stata osservata una tendenza verso la stabilizzazione dei marcatori tumorali a dosi più elevate, suggerendo che dosi più elevate avrebbero potuto portare a risposte migliori se fossero stati trattati pazienti meno gravemente malati.”

Il vischio è una pianta semiparassita con diversi principi attivi che variano a seconda della specie dell’albero ospite e, sebbene ci siano prove a sostegno dell’efficacia di questo tipo di trattamento per migliorare la qualità della vita dei pazienti con cancro (effetti immunomodulanti, effetti citotossici diretti verso cellule tumorali con induzione dell’apoptosi mirata solo verso le cellule tumorali, riduzione degli effetti collaterali della chemioterapia e della radioterapia) il suo utilizzo continua ad essere molto dibattuto e controverso.

Attualmente, infatti, gli estratti a base di vischio non sono approvati per i trattamenti oncologici negli Stati Uniti dalla FDA, ma sono contemplati nella farmacopea omeopatica e sono offerti nelle cliniche di cura integrative. Invece in Europa, soprattutto nei paesi di lingua tedesca, preparati a base di vischio sono più frequentemente prescritti nel trattamento del cancro, sia come unico trattamento che durante la chemio o la radioterapia. In genere vengono somministrati per via sottocutanea, ma l’iniezione sottocutanea locale è limitata a causa del dolore e del gonfiore nel sito di inoculazione.
Per aumentare i livelli di dose, si è fatto allora ricorso alla somministrazione endovenosa “off-label”. Prima dello studio statunitense sopra citato, infatti, già in uno studio retrospettivo su 4.695 pazienti con cancro trattati in Germania tra il 2003 e il 2013, il 62% aveva ricevuto il trattamento per via endovenosa e l’applicazione era stata descritta come sicura (gli autori di quel lavoro avevano raccomandato studi prospettici per valutare ulteriormente l’efficacia del vischio).
Sempre in Germania
sono stati pubblicati vari altri interessanti studi e i medici che utilizzano preparati a base di questa pianta riferiscono tutti quanti risultati sui propri pazienti in termini di migliore umore, migliore appetito, migliore energia (la fatigue, la tipica stanchezza che accompagna molti pazienti oncologici, risulta molto contenuta, se il vischio è usato fin da subito).

Il cancro rappresenta una delle principali cause di morte del mondo e le diagnosi sono tragicamente aumentate negli ultimi anni, anche nelle prime età della vita. È una patologia complessa e sistemica che impone una riflessione su tutte le possibili cause e che va gestita tenendo conto non solo degli aspetti organici, ma anche di quelli psicologici e sociali. Se, infatti, vogliamo vincere davvero questa battaglia, non si può prescindere da un approccio globale che rispetti anche l’unicità di ogni persona. È quindi necessario unire i saperi e integrare tutte le risorse disponibili perché le medicine complementari come la Medicina Tradizionale Cinese, l’Agopuntura, l’Omeopatia, l’Omotossicologia, la Fitoterapia, la Medicina Antroposofica possono dare un contributo determinante per migliorare lo stato di salute e la qualità della vita in generale e, indubbiamente, anche gli esiti clinici delle persone con tumore.

La medicina ufficialmente riconosciuta e praticata in occidente, infatti, non ha tutte le risposte e, malgrado decenni di ricerca, si può tranquillamente scrivere che le terapie convenzionali non sono ancora riuscite ad averla vinta sul cancro, anzi i trattamenti usati continuano a presentare una tossicità non ignorabile. Dunque, serve ampliare lo sguardo a strategie terapeutiche centrate non solo sulla malattia specifica, ma sulla persona. Soprattutto è indispensabile cominciare anche a valorizzare la parte sana dei pazienti dedicando la giusta attenzione alla dietetica, all’attività fisica, alla parte mentale e spirituale, alle ginnastiche respiratorie e, in generale, allo stile di vita scegliendo, di volta in volta, gli strumenti più idonei a seconda dei bisogni di ogni singolo individuo, della sua specifica condizione e della sua unicità.
Questo significa anche che altre figure, altre competenze, altri operatori dovrebbero entrare in gioco accanto ai medici che applicano i trattamenti standard e, purtroppo, siamo ancora ben lontani da questo approccio interdisciplinare che richiederebbe un vero e proprio cambio di paradigma. Il processo di integrazione dei saperi richiede tempo e fatica, ci sono delle isole felici in cui questo avviene già, ma in generale c’è ancora tanta strada da fare perché l’integrazione deve essere, prima di tutto, nella testa delle persone, nella cultura. Solo così si potrà andare oltre le prese di posizione verso un sapere davvero completo.
Soltanto integrando tutte le conoscenze in una visione olistica dell’uomo (e rispettandone sempre le personali scelte in merito ai possibili percorsi di cura da intraprendere in caso di malattia) si può portare lo stesso a un tasso di salute ed evoluzione che sia consono alla sua dignità.
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VB

 

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