Di Mario Moncada di Monforte per ComeDonChisciotte.org
Nella speranza che la già avviata globalizzazione delle genti possa essere il futuro di pace del nostro pianeta e con l’ingiustificata paura di una improbabile alleanza tra marxisti e banchieri che riesca a prendere il controllo di tutti i paesi in un “grande reset” dei terrestri, la realtà attuale è, più semplicemente, l’eterno conflitto fra i gruppi umani che si contendono il potere qua e là per il mondo.
La situazione non è diversa in Israele dove lo spietato razzismo dei sionisti, non solo contro i Palestinesi ma anche contro gli Ebrei che non ne condividono l’arroganza, suscita la reazione di quanti sono ancora fedeli ai valori ideali dell’Ebraismo.
Infatti, da decenni ormai, il contesto israeliano è tale da far esprimere con queste accorate parole lo scrittore David Grossman sul quotidiano la Repubblica del 20 settembre 1998:
“Quanti in Israele, oggi, conducono davvero la vita che avrebbero voluto fare? Come ha potuto la realtà israeliana diventare, più di qualsiasi altra cosa, una malinconica combinazione di compromessi, ansie, disinteresse e fatalismo?…… Come è successo che quasi ogni grande gruppo nel paese, religiosi, laici, coloni, sostenitori del movimento Peace Now, immigrati dalla Russia e dall’Etiopia, ultraortodossi, disoccupati e arabi israeliani, si considera una minoranza perseguitata sotto un regime ostile? Perché così tanti israeliani avvertono che tra loro e il paese si sta formando un profondo abisso di estraneità?…..
La sensazione di aver perso un’occasione trapela incessantemente, e assieme a lei la consapevolezza che qualcosa di raro e prezioso si allontana, ti scivola per sempre tra le dita. Ed è forse il motivo della poca simpatia e comprensione che nutriamo per gli altri israeliani, per chi non appartiene al nostro gruppo, mentre con rabbia o scherno ci riferiamo alle loro vere e tangibili sofferenze.
Come se il nostro continuo e ostinato rifiuto di riconoscere il dramma dei palestinesi sia filtrato alla fine nell’intimo di nostri apparati, ostruendo completamente il buon senso, l’istinto naturale e il sentimento semplice della grande famiglia. Per assurdo sembra si possa definire nient’altro che antisemitismo il danno cagionato dagli ebrei a loro stessi in Israele…..
Un popolo intero vincola il proprio futuro e la sua unica chance di uscire da questa trappola, solo per accondiscendere agli aggressivi impulsi messianici di alcune misere centinaia di fanatici che insistono per vivere a Hebron, Nablus e Gaza…..
…..ora qualcosa in me sta morendo. Non mi appartiene più la sensazione rarefatta, la scintilla che mi ha sempre regalato la vita qui; con tutto il biasimo e il dolore, provavo sempre gioia e persino orgoglio per l’appartenenza ad un’impresa umana che era così unica e singolare, così fiduciosa nel futuro…...”.
Grossman, che vorrebbe per il suo Paese “una vita normale”, descrive anche così quello che accade:
L’inquietante ambiguità che ha accompagnato il governo del Likud si è riflesso nel tessuto sociale nazionale, facendo affiorare comportamenti deplorevoli come falsità, frodi, il disdegno totale verso il mantenimento di impegni ed accordi, prepotenza, arroganza, un ossessivo interesse per le apparenze.. Le forze distruttive venute a galla con l’assassinio di Rabin e rafforzatesi in seguito alla politica provocatoria e istigatrice di Netanyahu minacciano l’esistenza stessa di Israele.
la Repubblica, Roma, 19 maggio 1999
Questi dolenti sfoghi sono una perfetta rappresentazione della tragedia umana che si vive in Israele. Quale arrogante sionista può avere l’impudenza di contestare l’autenticità del dolore di Grossman, che nella sporca guerra contro i Palestinesi ha anche perduto un figlio?
Purtroppo, nel silenzio della stampa mondiale, i contrasti fra Israeliani e Palestinesi e fra gli stessi Ebrei continuano ad essere in estrema tensione e non promettono nulla di buono per l’eterna speranza ebraica di raggiungere la “terra promessa”.
Di Mario Moncada di Monforte per ComeDonChisciotte.org
Mario Moncada di Monforte. Laureato in giurisprudenza e specializzato in tecniche amministrative presso l’Università Bocconi di Milano, Mario Moncada di Monforte si è formato professionalmente e culturalmente presso la Olivetti di Ivrea, dove ha lavorato per undici anni in quella particolare atmosfera creata dall’umanesimo di Adriano Olivetti e dall’impegno civile e culturale di Paolo Volponi. Introdotto ad Ivrea agli studi sull’Ebraismo, religione della famiglia Olivetti, ha approfondito gli studi di geopolitica ed ha pubblicato numerosi saggi che guardano con attenzione ai problemi del rapporto fra l’Occidente e il mondo arabo e, in particolare, ai problemi determinati dal modo d’essere dello Stato d’Israele.
13.04.2022
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org