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La Redazione

 

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DUE TWIN TOWERS DI SCHEDE ELETTORALI

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A cura di Das schloss
Il 13 Aprile 2006
66 Views

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DI MAURIZIO BLONDET

Un lettore mi chiede: «cosa ne pensa di quanto di anomalo è successo in queste elezioni?».
Sondaggi ed exit poll (concordi tra loro da anni) ribaltati come nelle elezioni finte di Bush, non abbastanza da cambiare il vincitore ma abbastanza da rendere il Paese quasi ingovernabile. I risultati che cambiano con un trend costante nel corso dello spoglio, cioè una crescita-decrescita costante delle coalizioni e non oscillazioni.
I risultati che dovevano essere definitivi entro le 20 e quasi non lo sono ancora, lo scrutinio elettronico che rallenta anzichè accelerare lo spoglio (il Lazio è stato l’ultimo a dare il risultato definitivo alla camera, alle 3.30 della notte).
E l’arresto dopo 43 anni (!) di latitanza di Provenzano.Si parlava, ora non più, ma vedremo poi i fatti quando si voteranno le leggi, di una sorta di governo di unità nazionale, secondo me per escludere quelle forze sia da una parte che dall’altra che si oppongono ai poteri forti della finanza e della politica internazionale (le parti contrarie all’ultra-liberismo, a Bush e a Israele che si trovano in entrambi gli schieramenti).
Da Vespa sia quelli della Margherita che dell’UDC avevano una sola domanda preoccupata: «cosa penserà la finanza internazionale?».
Testuali parole.
Magari sono solo coincidenze…

Confesso che, non avendo trascorso le mie giornate davanti alla TV, mi erano sfuggite alcune «anomalie» dello spoglio di cui parla il lettore.
Può trattarsi di casualità: il caso esiste, dopotutto.
Ma è anche vero che sono state alcune «anomalie» iniziali a farci intuire che l’11 settembre era qualcosa di diverso dall’attentato islamico della versione ufficiale.
La caduta perfettamente verticale e simmetrica dei due immensi grattacieli, per esempio: qualcosa di troppo netto, perfetto e televisivo per non lasciare il sospetto che l’apparenza dell’evento fosse stata «preordinata» – con cariche esplosive da demolizione – per essere spettacolare.
Ora in Italia abbiamo due Torri gemelle di schede elettorali: eguale altezza, perfetta simmetria, metà e metà.
Di nuovo qualcosa di «preordinato per apparire?».
O stiamo esagerando in dietrologia?
Il fatto è che un amico che abita a Washington ci esprime gli stessi sospetti del lettore.
E ci invita a dirigere l’attenzione sull’agenzia americana di sondaggi ingaggiata da Berlusconi per la campagna.
E’ la Penn, Schoen & Berland Associates (PSB).
Ora, la PBS come agenzia di sondaggi è essa stessa «anomala».

Nel marzo 2005, dunque in data non sospetta, l’analista Jonathan Mowat (1) indicava la PBS come un nodo della vasta rete di consulenti ed esperti di agitazione e sovversione che hanno creato lo «scenario democratico» in Serbia contro Milosevic, e in Georgia e Ucraina contro i regimi sostenuti da Mosca.
Un organo di quell’apparato che Mowat definisce la «nuova Gladio»: l’organizzazione «stay-behind» rielaborata nella nuova dottrina americana («Revolution in military Affaire») che con metodi non-violenti persegue – come guerra psicologica – gli stessi scopi delle forze armate americane.
Cosa sia questa nuova Gladio lo spiegava il 26 novembre 2004 Ian Travor, l’inviata del Guardian a seguire la «rivoluzione arancio» ucraina, con le folle di giovani che «spontaneamente» erano scese in piazza per la «democrazia».
«La campagna è una creazione americana, un esercizio sofisticato e brillantemente concepito di marketing di massa e di politica del marchio all’occidentale che, in quattro Paesi in quattro anni, è stata usata per salvare elezioni con brogli e rovesciare regimi discutibili…L’operazione, che consiste nel fabbricare (engineering) la democrazia con urne elettorali
e disobbedienza civile, è così ben collaudata che i metodi sono diventati maturi come procedura standard per vincere le elezioni altrui».
Gli strumenti psicologici di questo tipo di operazioni sono stati messi a punto molto tempo fa da sociologi di un tipo particolare.

Già dal 1967 il Tavistock Institute di Londra (clinica psichiatrica e anche laboratorio di guerra psicologica, diretta da psichiatri che hanno il grado di generale o colonnello) concentrava le sue ricerche sul modo di provocare «cambi di paradigma», di indurre stati d’animo collettivi in certe società-bersaglio.
Specificamente, attraeva quegli studiosi il fenomeno degli «swarming adolescents» (adolescenti in torma, in orda o sciame) che agitavano i concerti rock: queste torme potevano essere utilizzate per destabilizzare politicamente interi Stati, dirigendo la «rebellious hysteria» delle torme verso i bersagli da destabilizzare.
La spontanea rivolta giovanile che nel 1967 fece cadere il governo De Gaulle e diede inizio al «maggio ’68» pare essere stata una precoce applicazione del metodo.
E’ noto che all’Università di Trento, un giovane Francesco Alberoni sociologo studiava lo «Stato nascente» dei gruppi giovanili (forma nostrana della «rebellious hysteria») insieme a Curcio, Franceschini e agli altri fondatori delle prime Brigate Rosse: quelle movimentiste, non le successive a cellula clandestina ed omicida.

Nel novembre 1989, all’università dell’Ohio, si inaugura un «Programma per l’innovazione sociale nella gestione globale».
In quest’ambito, nel ’91, Howard Perlmutter, docente di «architettura sociale» alla Wharton School e allievo del Tavistock, esemplifica nel concetto di «video rock a Kabul» la metodologia da applicare per destabilizzare culture tradizionali e renderle così «aperte alla civiltà globale».
Sottolinea anche la necessità di «costruire reti impegnate a livello internazionale» che si colleghino con «organizzazioni a vocazione locale» per creare «eventi» che, benchè «locali», troveranno «un’immediata risonanza internazionale attraverso i mass-media».
Peter Ackerman, un altro sociologo, perfeziona processi e concetti.
Essenziale il concetto di «swarming» (azione in sciami; «swarm» è uno sciame, specialmente di vespe arrabbiate) che è – nota Mowat – comune sia alle operazioni militari che non-militari nella nuova dottrina americana.
Nel 1994 Ackerman pubblica il suo saggio capitale, «Strategic non-violent conflicts», in cui teorizza fra l’altro che «le nuove tecnologie si stanno democratizzando», sì che «rendono possibile un’assemblea digitale decentrata» capace di buttare giù regimi rigidi e dittatoriali.
Basterà dotare l’orda, lo sciame giovanile arrabbiato, di cellulari e internet ed altro materiale hi-tech, e della preparazione psicologica necessaria per vincere la paura, scendere in piazza, deridere il regime con graffiti e piccole recite stradali e così via (2).
Nel giugno 2004 Ackerman parla di tutto questo al Dipartimento di Stato.
Ma le tattiche e i metodi che promuove sono diventati politica americana già da molto tempo.
Già sono nati gli enti – privati, «culturali» e «senza scopo di lucro» – che forniscono metodi consulenze (e denaro) per la «spontanea fabbricazione della democrazia» all’estero.
Mowat li elenca.

Albert Einstein Institute
Finanziato da George Soros, è diretto dal colonnello Robert Helvey (ex ufficiale della DIA, l’intelligence militare) e da Gene Sharp; sociologo di Harvard.
Sharp ha scritto un manuale, «The politics of non-violent action», tradotto in 27 lingue, dal serbo al cinese all’italiano.
Gene Sharp è anche l’autore di un vecchio manuale di resistenza civile ad una possibile invasione sovietica – il manuale di Gladio, si può dire – che è stato tradotto ovviamente in italiano: «Verso un’Europa inconquistabile» (1989), con introduzione di Gianfranco Pasquino: sociologo di Bologna e della John Hopkins University, direttore de Il Mulino (cui collaborano Panebianco
e Paolo Prodi), potenziale candidato della Rosa nel Pugno, già senatore della sinistra cosiddetta indipendente: insomma uno dell’area Prodi, più che di Berlusconi.
Un «amico» di Washington con casacca di sinistra, come Giuliano Amato.

International Center for non-violent conflicts.
Diretto da Jack DuVall (ex ufficiale dell’Air Force) e da James Wollsey (ex capo della CIA e neocon), «sviluppa e incoraggia l’uso di strategie fondate sui civili, non militari, per stabilire e difendere la democrazia e i diritti umani nel mondo»; Beninteso, «fornisce addestramento e consiglieri sul campo» a questo scopo.

The Arlington Institute.
Ha lo scopo dichiarato di «contribuire a ridefinire il concetto di sicurezza nazionale in termini molto più larghi e inclusivi, introducendo nell’equazione della difesa… i salti di paradigma sociale».
Freedom House, finanziato da George Soros, con presidente Woolsey.
La sue azioni e consulenze per la «democrazia» hanno fatto espellere questa ONG da diversi Paesi dell’Est.

National Endowment for Democracy.
Creato nel 1983 per «fare apertamente ciò che la CIA fa in segreto», ha filiato il National Democratic Institute for International Affairs e l’International Republican Institute, che agiscono o appaiono come due facciate dei due partiti USA.
Ma per un unico scopo.
Tutti questi enti hanno avuto una parte molto attiva nell’agitazione democratica che ha fatto cadere Milosevic, nelle rivoluzioni colorate nell’Est post-sovietico, e anche in Birmania, Venezuela (contro Chavez) e Messico.
Sempre allo scopo di fabbricare democrazie filo-americane.
Ma dobbiamo tagliare l’interessantissimo rapporto di Mowat.

Arriviamo alla società di sondaggi assoldata da Berlusconi, così come la descriveva Mowat nel 2005:Penn, Schoen & Berland Associates.
«Ha giocato un ruolo da pioniera nell’uso delle operazioni di sondaggio, specialmente ‘exit polls’, per facilitare i rivolgimenti politici» [«democratici», ndr.].
La sua missione primaria è creare l’apparenza che il gruppo messo al potere in un Paese-bersaglio goda di ampio appoggio popolare.
Il gruppo ha cominciato a lavorare in Serbia quando il suo fondatore, Mark Penn, era il primo consigliere politico di Clinton [dunque «di sinistra», ndr].
Nell’ottobre 2000, con una lettera riportata sul sito web della ditta, così Madeleine Albricht, il ministro degli Esteri di Clinton, lodava le attività dell’impresa: «il vostro lavoro con il National Democratic Institute e l’opposizione jugoslava ha contribuito direttamente e in modo decisivo al recente successo della democrazia in quel Paese… è forse la prima volta che i sondaggi hanno svolto un ruolo così essenziale nel determinare ed assicurare gli obiettivi [USA] di politica estera».
La PSB ha condotto anche gli exit poll per le elezioni della nuova «democrazia» ucraina, per conto dell’OCSE, e con ampa risonanza televisiva mondiale.
La Albricht è oggi presidente del National Democrayic Institute.

Nello stesso sito si può leggere un articolo intitolato «Defeating dictators ad the ballot box» (sconfiggere i dittatori con le urne): «strategi internazionali, consulenti politici e mediatici – come noi siamo – hanno svolto un ruolo essenziale dietro le quinte (proprio così: behind the scenes) delle votazioni in Serbia e Zimbabwe, aiutando i partiti d’opposizione a elaborare strategie e messaggi e ad organizzare una campagna efficace e credibile … L’introduzione delle tecniche più avanzate di comunicazione e di creazione dell’immagine è un’arma potente come gli aerei, le bombe e la tecnologia di spionaggio» (sic).
La PBS ha fatto adeguati «exit poll» anche in Venezuela per l’opposizione a Hugo Chavez, predicendo ovviamente (e sbagliando) la sconfitta di Chavez, ma in modo da creare la «percezione» opposta.
L’opposizione era finanziata dal National Endowment for Democracy.
Stessa operazione in Messico nel 2000, dove gli esperti dell’agenzia sono stati definiti «delinquenti politici».
Notevole la lista dei clienti della PSB.
Fra Siemens ed American Express, Texaco e De Beers, Citigroup e BP, brilla la Goldman Sachs.

Goldman Sachs.
Singolare coincidenza: proprio due giorni prima delle elezioni, sul «Riformista» di D’Alema, Gian Carlo Padoan – l’economista di fiducia di D’Alema – scriveva un articolo in cui difendeva, se non Berlusconi, l’Italia dagli attacchi al governo del Cavaliere che in quei giorni avevano scatenato l’Economist e il Financial Times.
Diceva in sostanza Padoan: gli stessi attacchi erano stati il preludio, nel 1994, al saccheggio dell’economia del nostro Paese da parte dei passeggeri del «Britannia» e di Goldman Sachs.
Non basta: anche allora c’erano al potere in Italia le stesse figure istituzionali (Ciampi e Draghi), diceva Padoan.
Ed oggi, a quei gruppi che deridono Berlusconi fanno gola banche ed ENI (3)…
Questo solo per dire che le cose sono un po’ più complicate di quel che sembrano.
Perché è troppo semplice pensare che la PBS abbia fatto un servizio a Berlusconi.
Forse si è fatta pagare dall’ingenuo impresario («amico dell’America» e accecato dal non aver capito che oggi l’alleato è il vero avversario) ma per fare un lavoro utile ai suoi referenti del Dipartimento di Stato, del partito Democratico e delle banche d’affari USA.
O che non sia riuscita a far molto in ogni caso.
Dopotutto, l’Italia non è la Serbia né l’Ucraina: alle elezioni siamo abituati, c’è troppo controllo sociale per poter manipolare «l’apparenza» sì da farla apparire sostanza.

Ma resta in piedi l’ipotesi del nostro lettore: che il pareggio-spaccatura sia stato preordinato per agevolare il governo di larghe intese che darà quel che resta di buono in Italia ai poteri forti internazionali, tagliando fuori le «estreme» che nei due schieramenti sono ostili alla finanza globale.
Ma allora, perché il sonoro «no» di Prodi (Goldman Sachs) alla grande coalizione?
Forse la spiegazione è ovvia: Prodi non ha bisogno di fare un accordo di legislatura con il Polo.
Basta che ne aspetti lo sfaldamento, che può ritenere inevitabile, ed accogliere i transfughi democristiani.
Forse solo il futuro può chiarire dubbi e sospetti.
Resta il dispiacere che l’area di D’Alema (che pare aver capito chi è il nemico principale) sia uscita indebolita dal voto.
E restano quelle due torri di schede elettorali: così uguali, così simmetriche, così «anomale».

Maurizio Blondet
Fonte: www.effedieffe.com
Link:http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1086&parametro=politica
13.04.06

Note

1) Jonathan Mowat, «The new Gladio in action?», Online Journal, 19 marzo 2005.
2) Alla luce di questi studi sull’utilizzo dello «swarm» giovanile può porsi qualche domanda inquietante sui veri mandati delle violentissime manifestazioni di piazza del G8 a Genova (dove i più violenti erano individui stranieri, benissimo organizzati), e dell’ancor più violento, immotivato e indecifrabile attacco di un gruppetto no-global in Porta Venezia a Milano (10 marzo 2006, a un mese dalle votazioni). Anche questi erano «swarms» in azione.
3) Gian Carlo Padoan, «Sinistra, non gioire per l’Economist», Il Riformista, 8 aprile 2006.

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