DI CHEMS EDDINE CHITOUR
Mondialisation.ca
“Possano tutti gli uomini ricordarsi
che sono fratelli! Abbiano in orrore la tirannia esercitata sulle loro
anime, come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto
del lavoro e dell’attività pacifica!”
Voltaire (Preghiera a Dio)
In un importante testo che vanta più
di tre secoli ma che non fa una piega, Voltaire fa un appello alla tolleranza
fra gli uomini. Scriveva:
“Non
è più dunque agli uomini che mi rivolgo, ma a te, Dio di tutti gli
esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi: se
è lecito che delle deboli creature, perse nell’immensità
e impercettibili al resto dell’universo, osino domandare qualche cosa
a te, che tutto hai donato, a te, i cui decreti sono e immutabili e
eterni, degnati di guardare con misericordia gli errori che derivano
dalla nostra natura.
Fa sìche questi errori non generino la nostra sventura. Tu non ci hai donato
un cuore per odiarci l’un l’altro, né
delle mani per sgozzarci a vicenda; fa’ che noi ci aiutiamo vicendevolmente
a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera. Fa’ sì
che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli
corpi, tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le nostre usanze
ridicole, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre
opinioni insensate, tra tutte le nostre convinzioni così
diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te, insomma che tutte
queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati “uomini”
non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione. Fa’ in modo
che coloro che accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino
coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro che coprono
i loro abiti di una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino
coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera […]
Fa’ che coloro il cui abito è tinto in rosso o in violetto, che dominano
su una piccola parte di un piccolo mucchio di fango di questo mondo,
e che posseggono qualche frammento arrotondato di un certo metallo,
gioiscano senza inorgoglirsi di ciò
che essi chiamano “grandezza” e “ricchezza”, e che
gli altri li guardino senza invidia: perché
tu sai che in queste cose vane non c’è
nulla da invidiare, niente di cui inorgoglirsi”.(1)
I fondamenti di questa “macchina
diabolica”: la mondializzazione neoliberista.
Come può essere spiegata la
disfunzione (anomia) del mondo attuale a tutti i livelli: crollo monetario,
guerre di tutti contro tutti, impoverimento del mondo, la sprezzante
ricchezza di un’oligarchia finanziaria, si dice per esempio che in
Francia gli eletti del “CAC 40”(Compagnie des Agences de Change)
si sono spartiti 45 miliardi di euro nel 2010, un anno di profonda scarsezza
per tutti gli altri. Bisognerà parlare in seguito del disastro ecologico.
In questi tempi di “disgregazione dei valori”, che si pensavano
immutabili, molte certezze hanno vacillato a causa del neoliberismo.
Il capitale simbolico che è stato accumulato durante lustri, crolla
tutto d’un pezzo sotto i colpi di maglio del mercato del liberismo,
frutto di una mondializzazione senza etica. Le identità si perdono
sotto la pressione di un Occidente neoliberista che ordina, cataloga
e detta la norma, tutto ciò a vantaggio di una “macdonaldizzazione”
della cultura. A suo tempo, Tocqueville in un testo di una chiarezza
e una lucidità straordinarie se non addirittura profetico, scriveva:
“Io vedo una folla
innumerevole di uomini simili ed uguali che girano senza sosta su loro
stessi per procurarsi dei piccoli e volgari piaceri, con cui riempiono
la loro anima. Ognuno di essi, isolato,
è come straniero al destino di tutti gli altri: i suoi figli, i suoi
amici più prossimi, sono per lui tutta la specie umana; in quanto
al resto dei suoi concittadini, è
vicino ad essi ma non li vede; li tocca e non li sente del tutto; non
esiste che in sé stesso e per lui solo, e se gli resta ancora una famiglia,
si può dire che non abbia più una patria”.(2)
Tocqueville aggiunge che “i vizi
dei governanti e la stoltezza dei governati dominano”. Io penso, scrive,
che la specie di oppressione da cui i popoli democratici sono minacciati
non assomiglierà a niente di ciò che l’ha preceduta nel mondo. È
un ritratto spietato della realtà contemporanea, composto più di 150
anni fa… Si sa, il neoliberismo ha fatto di tutto per minimizzare
il segnale d’allarme dell’IPCC in inglese: Gruppo Intergovernamentale
di Esperti sul Cambiamento Climatico) sull’imminenza dei cambiamenti
climatici. Un proverbio indiano ci spiega come l’uomo demolisca metodicamente
la natura. “Quando l’uomo avrà pescato l’ultimo pesce, ucciso
tutto gli animali, abbattuto l’ultimo albero, inquinato l’ultima
goccia d’acqua, può essere che si renderà conto che il denaro non
è commestibile”. In merito a ciò che gli scienziati designano come
l’“overshoot day”, “il giorno del superamento”
, ciò che ci allarma è che questo giorno si avvicini di anno in anno.
Noi viviamo attualmente come se avessimo un quarto del pianeta. È normale
in queste condizioni che tanto la dipendenza dagli idrocarburi quanto
l’utilizzo anarchico di prodotti chimici pericolosi si traducano in
cambiamenti climatici di volta in volta più frequenti, imprevedibili
e devastanti soprattutto per l’umanità che vive nel Sud del mondo.
(3)
“Il mondo economico, s’interroga
Pierre Bordieu, anziano professore del Collegio di Francia, è veramente
come lo vuole il discorso dominante, un ordine puro e perfetto, che
procede implacabilmente secondo la logica delle sue conseguenze prevedibili
e pronto a reprimere tutte le mancanze con le sanzioni che infligge,
sia in maniera automatica, sia – più eccezionalmente – attraverso
l’intermediazione del braccio armato, il FMI o l’OCSE. Il movimento
reso possibile dalla politica di deregolamentazione finanziaria punta
a mettere in discussione tutte le strutture collettive capaci
di ostacolare la logica del mercato puro: nazioni, gruppi di lavoro,
con, per fare un esempio, l’individualizzazione dei salari e delle
carriere […] Così si instaura il regno dell’assoluta flessibilità,
con il reclutamento sotto contratto a tempo determinato o interinale
e con “i piani sociali” a ripetizione”. Per Pierre Bourdieu,
il liberismo sembra un programma di “distruzione delle strutture collettive”
e di promozione di un nuovo ordine fondato sul culto “dell’individuo,
solo, ma libero”. (4)
Il filosofo Dany-Robert Dufour cerca
di mostrare che, lontani dall’essere usciti dalla religione, siamo
caduti sotto l’impero di una nuova religione conquistatrice, il Mercato
o il “money-teismo”. Inoltre, cerca di rendere espliciti i dieci
comandamenti di questa nuova religione, molto meno proibitrice che incitatrice,
il che produce dei potenti effetti di distruzione dei simboli
come dimostra il terzo comandamento:
“Non pensate, spendete!”
Viviamo in un universo che fa dell’egoismo, dell’interesse personale,
dell’amore per sé stessi il suo primo principio.
“Distruttore dell’essere con gli altri, dell’essere sé
stessi, scrive Dany-Robert Dufour, ci ha condotti a vivere in una Città
perversa. […] Depressioni, disturbi dell’identità, suicidi e perversioni
si moltiplicano. Al punto che il mercato non vuole più
l’essere umano così com’è.” (5).
Jean-Claude Paye approfondisce
l’argomento quando scrive: “Noi non siamo più
in una società di controllo. Non si tratta più
di controllare e modellare i corpi al fine di renderli adatti alla macchina
economica, ma di attaccarsi al loro essere fissando le modalità
di sfruttamento dell’individuo”. Jean-Claude Paye va oltre e
pensa che l’uomo non appartenga più a sé stesso, ma sia di
proprietà dell’impresa:
La dissociazione della
proprietà di sé stessi si rivela come un paradigma della
post-modernità. Non solamente è
il risultato dell’azione dello Stato che afferma la sua nuda proprietà
sulle nostre esistenze, ma può anche prendere configurarsi come un
contratto, come per esempio quello imposto ai suoi impiegati dalla firma
cinese Foxconn che impedisce ai suoi dipendenti di suicidarsi raccomandando
loro di “amare la propria vita”. […]
“Come nuda proprietà l’immagine umana
è patrimonio delle autorità costituite. Il malato non ha più
che l’utilizzo, lo sfruttamento del proprio corpo e a condizione che
sia la trasparenza della proprietà
esercitata dal potere. La possibilità
di ridurre quest’ultimo a una carne senza parola permette questo smembramento.
Quando egli vende la sua forza lavoro, il salariato, proprietario delle
merce forza lavoro, ne cede il valore d’uso al datore, il quale se
ne assicura lo sfruttamento durante la giornata di lavoro”.
(6)
Questa mondializzazione distrugge tutto
al suo passaggio, identità, culture e tradizioni che hanno trascorso
secoli per sedimentarsi. Pierre Bourdieu parla del neoliberismo come
un sistema che ha come scopo primario anche quello di disfare le strutture
collettive. L’individuo-soggetto si ritrova solo, non avendo più
strutture organizzate per difenderlo, come i sindacati. Egli diventa
allora o una vittima consenziente di un sistema o si ribella, è allora
entra in guerra con la propria struttura (impresa o Stato), da qui i
notevoli tassi di suicidio a France Telecom. Jean-Claude Paye
afferma che l’individuo non appartiene più a sé stesso ma alla struttura
che lo impiega e lo formatta come vuole. In Cina l’impresa impedisce
ai suoi dipendenti di suicidarsi non come un imperativo morale, ma come
una perdita di forza lavoro che l’impresa “ha comprato” reclutando
il personale. Si va anche oltre, Jean-Claude Paye ci dice che anche
il tempo dopo il lavoro appartiene indirettamente all’impresa nel
senso che il dipendente è sempre sotto l’influenza della sua impresa
anche al di fuori del lavoro:
Il salariato vende così
al padrone l’usufrutto della sua forza lavoro e ne conserva formalmente
la nuda proprietà. […] I lavoratori non sono più
in grado di opporsi al deterioramento della loro forza lavoro, così
che la loro nuda proprietà è rimessa in discussione. La possibilità
per il proprietario di minacciare l’integrità
del lavoratore risulta dall’intensificazione del
“dispendio nervoso” e soprattutto dalla creazione di un lavoro invisibile
che supera il quadro della giornata di lavoro. Il lavoro visibile si
sdoppia in un lavoro invisibile, che
è necessario per interiorizzare le nuove limitazioni imposte dall’impresa
[…] Lo sviluppo considerevole del lavoro invisibile
è tale che tende ad accaparrarsi l’intera vita del lavoratore […]
Il dominio si chiama partenariato e allo sfruttamento si dà
il nome di gestione delle risorse umane […] La proprietà, che fa
da ostacolo al godimento degli altri, diviene godimento dell’altra,
ovvero di quella dello Stato e dell’impresa”.
(6)
Da dove verrà
la salvezza?
Possiamo lasciare che i valori umani
si volatilizzino in una o due generazioni,così difficilmente elaborati
nel corso dei secoli precedenti? Edgard Morin con la sua abituale lucidità
scrive:
Non si tratta di concepire
un modello di società, ma di cercare ossigeno nell’idea di utopia.
Dobbiamo elaborare una Via, che non potrà
che formarsi dalla confluenza di molteplici vie riformatrici, e che
condurrebbe alla decomposizione della corsa folle e suicida che ci porta
all’abisso. […] La resistenza a tutto ciò
che degrada l’uomo a causa dell’uomo, all’asservimento, al disprezzo,
alle umiliazioni, si nutre dell’aspirazione, non al migliore dei mondi,
ma ad un mondo migliore. Questa aspirazione, che non ha cessato di nascere
e rinascere nel corso della storia umana, rinascerà
ancora”. (7)
Sempre sotto il segno dell’Appello
all’umanità, Badi Baltazar scrive:
Questo
è un appello all’umanità delle donne e degli uomini del XXI
secolo. […] Un appello a coloro che come me avvertono questa stessa
impressione sgradevole che tutto sia muore, che lo Stato di Diritto
non sia più tale, che l’Umanità
corra a testa bassa su di un’autostrada senza uscita, che la nostra
cattiva fede e le nostre menzogne siano infinite e che si stia affermando
questa insidiosa rassegnazione a consumare un mondo che va a male. Le
parole che sfileranno sotto i vostri occhi hanno come bersaglio le vostre
coscienze, che voi siate prede o predatori, indignati o dignitari. […]
Che siate Europei, Africani, Asiatici o Americani […]
è arrivato il tempo di unire le nostre forze, di trovare dentro di
noi il coraggio di esorcizzare le nostre paure, di sentirsi uomini fra
gli uomini e di proiettarsi in un avvenire comune. […] Un mondo nel
quale i cittadini possano realmente prendere parte alle decisioni politiche,
liberi di esprimersi, liberi di andare e venire come gli pare. Un mondo
nel quale l’uomo e la natura siano infine il centro delle preoccupazioni,
in cui i desideri siano subordinati ai bisogni. Lo spirito, oggi, dimostra
del buon senso, partecipa della bellezza e soprattutto e sempre più
vitale. […] Non potremo cambiare il mondo esterno senza cambiare il
nostro mondo interiore. In una parola, realizzarsi per realizzare. […]
Naturalmente, questa presa di coscienza individuale induce ad una responsabilità
morale. (8)
Il Dalai Lama apporta a sua volta la
sua luce di umanità:
Il fine di tutte le
principali tradizioni religiose non
è quello di costruire dei grandi templi all’esterno ma quello
di creare dei templi di bontà e di compassione
all’interno, nel nostro cuore. Tutte le grandi religioni hanno questa
capacità. Più noi avremo coscienza del valore e dell’efficacia delle
altre tradizioni religiose, più profondo sarà
il rispetto e la venerazione che porteremo loro. Ecco il buon cammino
da seguire se vogliamo promuovere una vera compassione e uno spirito
di armonia fra le religioni. Io faccio appello a una rivoluzione spirituale.
La rivoluzione spirituale che io auspico non
è una rivoluzione religiosa. Si tratta piuttosto di un riorientamento
radicale delle nostre preoccupazioni egoistiche abituali all’interno
della nostra comunità, di una condotta che tenga conto degli interessi
degli altri insieme ai nostri. […] Ciò
non significa che sarà necessario coltivare i nostri valori spirituali
perché non scompaiano automaticamente. Al contrario, ognuno di essi
richiede una risposta specifica. Ma quando la dimensione spirituale
è trascurata, è inutile aspettarsi una soluzione durevole. Trasformare
il proprio spirito, questo è secondo me la spiritualità. […] La
rivoluzione spirituale deve nascere dall’interno, dal desiderio profondo
di trasformarsi per diventare un essere umano migliore.
È per questo che dobbiamo lavorare e in questo modo che una rivoluzione
spirituale potrà avvenire. […] C’è un passaggio magnifico nella
Bibbia che ci esorta a trasformare le spade in vomere d’aratro. […]
È la compassione a essere il fondamento della pace. E la pace non significa
solamente l’assenza di violenza o di guerra. La pace
è più di questo. La pace, la vera pace,
è, credo, il frutto della compassione. (9)
Appunto, a proposito del “cambiamento
interiore”, si può citare un versetto del Corano: “Dio non trasforma
una società se non quanto i suoi membri trasformano sé
stessi” (Sura n° 13 Le Tonnere-Versetto 11). Nei suoi scritti
l’Emiro Abdelkader prende nettamente le distanze dalla nuova visione
“secolarista” del mondo, secondo la quale gli affari umani dipendono
dal dominio esclusivo della ragione. In una visione profetica, l’Emiro
scriveva nell’El Maoukef:
Piuttosto che interrogare,
noi siamo interrogati sull’avvenire dell’uomo in generale e su quello
dell’Occidente in particolare dal momento che dominerà
il mondo materiale. Questo Occidente
è malato della sua intelligenza. Per quanto sapiente non riesce a cogliere
una verità essenziale tanto è vero che
è assetato di potere e di conquista ed
è accecato dall’illusione della sua potenza, venerando il denaro
come Dio. Dimentica pertanto di privilegiare l’essenziale, cioè
lo spirito. Se giunge a guarire la sua intelligenza, se ammette che
questo è il più perfetto dei mondi, allora raggiungerà
la perfezione assoluta. La sua felicità
sarà allora a livello della sua scienza, ovvero una scienza che illumina
tutti gli stati dell’essere. In caso contrario, la sua tristezza
sarà al livello della sua ignoranza. Ed
è il suo spirito sordo e cieco che lo porterà
a questa fine. (10)
Il mondo va nonostante la materia domini
lo spirito, e noi non dobbiamo condannarci come scrive Voltaire nella
sua “Preghiera a Dio”, citata nel preambolo. Il mondo si “mercantilizza”
sempre di più. Il neoliberismo attacca tutto ciò che gli resiste.
Vuole fabbricare l’uomo nuovo, l’automa che resiste solo alle pulsioni
materiali di consumo multiforme (cibo, media sempre più nuovi
che creano nuovi bisogni; un portatile che potrebbe durare benissimo
cinque anni si cambia dopo soli due anni, creando uno spreco sfrenato
in termini di energia e di aggravamento dei cambiamenti climatici).
Il neoliberismo si dirige solo ai consumatori e non a quelli che fanno
lavorare i propri neuroni (Non pensate, spendete! Questo è lo slogan
di questa doxa della mondializzazione).
Tutta la mondializzazione senza
etica, “il money-teismo”, la religione del denaro, è così
messa all’indice. Bisogna rivalutare l’uomo e invitarlo a trasformarsi
dal suo interno. L’Emiro Abdelkader per primo aveva puntato il dito
sul dilemma dell’Occidente circa la sua potenza materiale che ha schiacciato
l’umanità dell’uomo occupandosi solo del suo “mondo esterno”,
ma non del suo mondo interno.
L’uomo saprà, come esortano questi
saggi, superare la sua dimensione materiale per andare verso l’assoluto?
Si pone così il problema dell’etica legata allo sviluppo, che è
al centro del dibattito in questo inizio di XXI secolo.
Note:
1. Voltaire, Trattato sulla tolleranza,
capitolo XXIII.
2. Alexis de Tocqueville,
La democrazia in America, Libro I, vol. II (Parte IV, capitolo VI).
3. Chems Eddine Chitour, Le Néolibéralisme: destruction
du collectif et atomisation de l’humain
4. Pierre Bourdieu L’essence du
néolibéralisme, Le Monde diplomatique, marzo 1998.
5. Dany-Robert Dufour, Les désarrois
de l’individu-sujet, Le Monde diplomatique 02 2001
6. Jean-Claude Paye, La fine della proprietà
di sé
7. Edgard Morin, Ce que serait
«ma» gauche, Le Monde, 22 maggio 2010
8. Badi Baltazar, Appel à l’humanité
9. Dalai Lama, Des temples de bonté dans
nos cœurs… 15 maggio
2011.
10. L’Emir Abdelkader, “El Maoukef”,
Les Haltes.
Fonte: Où va le Monde?
Appel aux vivants
15.09.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di M. L. SABATINO