DI JAMES HOWARD KUNSTLER
Clusterfuck Nation
Guidare lungo le strade provinciali di Cleveland, Ohio, era come sfogliare un libro di immagini che ripercorrevano i giorni dell’ascesa dell’impero industriale fino alla sua decadenza. Laddove le demolizioni non avevano distrutto ogni cosa – molte cose erano scomparse – si scorgeva il residuo di una società molto diversa da quella attuale: era come se fossimo stati momentaneamente trasportati su un altro pianeta dove una diversa razza umana era venuta a sbrigare i propri affari.
La qualità che caratterizzava le rovine di questa società perduta era la fierezza espressa dai suoi edifici. Anche le industrie più modeste o le fabbriche costruite prima del ventesimo secolo erano abbellite da decorazioni o motivi, la cui ragione altro non era se non ispirare bellezza – torri, tende, medaglioni, cartucce – come a voler confermare che siamo orgogliosamente uniti nella grande impresa di rendere la Terra un posto migliore. Ciò ovviamente non valeva solo per Cleveland, ma per l’intera nazione. O almeno, così è stato per un po’. Interessante era anche osservare l’atteggiamento mutevole da parte della collettività a partire dalla metà del ventesimo secolo, in particolar modo durante la seconda guerra mondiale, dove lo stile adolescenziale causato da un’economia fiorente si era sostituito a quella determinazione tipica di un luogo dedito alla produzione di ogni cosa. Il ricordo della Grande Depressione era considerato niente più che un disordine metabolico, e lo spirito del posto si trasformava da uno stato di esuberante interesse nei confronti della propria crescita personale ad una pura determinazione nel restare vivo e potente. Questa fase non durò a lungo.
A partire dagli anni 1970, i sintomi di una nuova malattia erano diventati evidenti. La produzione si stava delocalizzando, così come i redditi e la sicurezza familiare. Un velo di tristezza esistenziale stava avvolgendo l’intera città, come un sinistro sintomo di una vitalità declinante esaltata dagli organi di produzione. Le acciaierie e le fabbriche di automobili stentavano. Il fiume Cuyahoga prese addirittura fuoco, come se anche il fato si stesse prendendo gioco della città. I principali commercianti al dettaglio se ne stavano andando altrove – in particolare nelle zone periferiche oltreconfine – dove già molti cittadini stavano scappando. La parte di popolazione che rimaneva in città era composta per lo più da quelle persone appena arrivate, scappate da una situazione contadina molto simile al servilismo della gleba ed arrivate in città da appena una generazione, nel tentativo di migliorare il loro status lavorando nelle fabbriche che ora, improvvisamente, stavano chiudendo. Sembrava una specie di truffa, e ne erano giustamente infuriati.
In quei giorni, osservare ciò che rimaneva della città sul lago – al pari di molte altre città situate sui laghi o lungo i grandi fiumi presenti nell’entroterra statunitense – era come osservare un luogo il cui passato obsoleto poteva avere varie interpretazioni ma comunque nessuna prospettiva di futuro. La maggior parte degli sforzi tesi ad uno “sviluppo economico” di queste città industriali tentano di imitare quel glorioso passato, ma nessuno di questi tentativi ha avuto successo per la semplice ragione che quel periodo fa ormai parte del passato. Possiamo invece più realisticamente proporre un nuovo futuro di cui essere fieri, che non sia però quel tipo di futuro che siamo così impegnati a progettare nelle nostre tecno-grandiose fantasie delle nostre macchine “individualiste”.
Essendo io un realista, sono anche un sostenitore della presa di coscienza dei fatti reali, e la realtà in cui ora ci troviamo è quella di una contrazione che era prevedibile, soprattutto per le nostre città. Una delle principali ragioni per cui città come Cleveland (e Detroit, Milwaukee, St. Louis, Kansas City …) non riescono a proporre un nuovo sviluppo è perché sono già troppo grandi. Essendo cresciute troppo già molto tempo fa, si sono rivelate incompatibili con la realtà del futuro – specialmente per quanto riguarda la realtà delle risorse energetiche – ed è stato tentato tutto fuorché accettare l’unica vera soluzione, ovvero ridimensionarsi in organismi più piccoli e meglio proporzionati.
Il trend che ha preso piede da allora fino al famoso scoppio della bolla immobiliare ha puntato sulla continua espansione fino ai lontani confini della frontiera suburbana, metodo questo che ha reso le nostre città simili a delle stelle morte ed implose – fredde ed inerti al centro e circondate da inutili macerie che sconfinavano fino ad un infinito irraggiungibile.
Ci stiamo ora addentrando nella fase del futuro, fase che io chiamo “la lunga emergenza”, che ci forza a concepire le nostre società in modo differente. Le nostre città e i nostri paesi sono sorte in determinati posti in quanto considerati luoghi strategici. Cleveland sorge lungo le rive di un importante fiume che sfocia nel più grande mare interno del mondo (il quale ha il meraviglioso vantaggio di essere acqua fresca). Alcuni insediamenti umani resteranno lì, molto probabilmente per una combinazione di inerzia mista ad obbligo, ma non esisterà più un’amministrazione al pari di quelle passate che hanno reso grande questa città, in grado di produrre, ad esempio, il centro civico di Daniel Burnham con i suoi giganti palazzi di giustizia delle Belle Arti, le banche e le torri municipali.
Allo stato attuale, questa nazione disintegrata è tristemente distratta da Web 2.0, iPads, Avatar, Facebook e da quegli spettacoli della TV pieni di celebrità idiote, per non parlare del disastro della disoccupazione, i pignoramenti, le estorsioni sanitarie, la bancarotta, le depredazioni aziendali e gli sprechi della politica. Sappiamo che dobbiamo andare da qualche parte. Sappiamo che la storia ci sta mettendo da parte. Ma non abbiamo idea di come iniziare. E stiamo spendendo la maggior parte delle nostre energie mentali incantati a guardare nello specchietto retrovisore, l’ultimo posto dove dovremmo guardare.
La confusione è dilagante, e peggiorerà ancora prima di migliorare di nuovo. Non sto dicendo tutto questo perché sono arrabbiato ma perché è ciò che credo rifletta la realtà dei fatti, ed avere la giusta cognizione della nostra condizione ci servirà per capire le stranezze che incontreremo.
La confusione genererà moltissime idee, molte delle quali incongruenti con la realtà – specialmente quelle che coinvolgeranno la panacea seduttiva della tecnocrazia. Ma la nostra redenzione arriverà da un ritorno alla praticità, alle cose che sappiamo fare con le nostre mani. Il problema è che non lo sappiamo ancora, e proveremo ogni cosa prima di capire che è lì la soluzione.
Titolo originale: “Where Have We Been; Where Are We Going?
“
Fonte: http://kunstler.com/
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15.03.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di DANIELA DI PINTO