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La Redazione

 

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DOVE METTIAMO I SOLDI, OVVERO L’ORO COME BASE PER LA SOVRANIT

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A cura di supervice
Il 24 Agosto 2011
107 Views
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DI YURI GAVRILECHKO
Strategic Culture

Il default degli Stati Uniti evitato
il 2 Agosto, e i seguenti pesanti ribassi dei mercati azionari mondiali
(dopo l’innalzamento del tetto del debito e il declassamento dell’affidabilità del credito USA da AAA ad AA+) hanno stimolato analisi sulla nuova ondata di crisi e sulle conseguenze del modello neoliberista, divenuto la causa principale degli attuali problemi economici e politici.

Mai come oggi molti paesi si chiedono: “Dove mettere le nostre riserve monetarie?” e “Come assicurare la nostra sovranità?”. Queste due domande sono oggi più correlate di quanto si potesse immaginare qualche decennio fa. La crisi ha reso chiaro che nessuna economia può esistere senza politica, e viceversa. Ciò è vero su scala globale….Default senza il default: prime conseguenze

L’innalzamento del tetto del debito USA di almeno 2100 miliardi di dollari ha spostato il problema al 2013, quando sarà necessario alzarlo ancora. Il 1 e 2 Agosto entrambe
le camere al Congresso hanno approvato la legge sul debito statale e
Obama l’ha immediatamente firmata, spostando il default tecnico di altri due anni. La reazione dei mercati arriva due giorni dopo: il 4 Agosto è un nuovo “Martedì Nero”, segnato dal maggiore declino dell’azionario e delle materie prime da dicembre 2008, in piena crisi. Gli indici USA crollano del 4-5%, il petrolio (Brent) perde il 5,3%. Si torna alle quotazioni di fine 2010, cancellando tutta la crescita del 2011. In quattro giorni l’indice S&P 500 perde l’ 8,4%, giù del 10% dal massimo di Aprile.

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In una settimana, dal 29 settembre
al 6 ottobre 2008, l’indice S&P 500 perse il 25,6%. Nei due mesi di maggio e giugno 2010 perse il 17%. Se la tendenza prosegue è
garantita una nuova fase nella crisi. Probabile che gli USA, come hanno
fatto col debito, decidano di ritardare il collasso, forse con la terza fase di QE.

Alla fine della presidenza di Bush
figlio il debito USA era al 70% del PIL. Oggi è al 94%, massimo storico e secondo il Fondo Monetario Internazionale sarà al 99,5% a fine 2011.

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Innalzare il tetto del debito
ha solo rimandato il default, per consentire agli USA la vecchia politica di “esportare la crisi”.

Il 10 agosto i ribassisti hanno attaccato ancora i mercati (1). Il panico ha preso anche il settore bancario, e tutto questo potrebbe portare la crisi nell’economia reale.

Le agenzie di rating continuano
ad “attaccare” i paesi ove la situazione finanziaria sta peggiorando.

Il 6 agosto hanno colpito gli Stati Uniti e il 10 sono passati alla grande economia francese con notizie non confermate che Fitch avesse declassato la previsione per l’economia francese da “stabile” a
“negativa”. A fine giornata tali voci non venivano confermate, ma
la risposta dei mercati è stata la grossa perdita di capitalizzazione delle banche francesi.
Societé Generale, il maggior gruppo bancario ha perso il 22,5%, Credit Agricole l’11,8%, BNP Paribas il 9,5%.

Secondo l’agenzia bancaria europea le 90 maggiori banche europee detengono circa 98 miliardi in obbligazioni statali greche (su un totale di 328,5 miliardi dell’intero debito della Grecia). Per avere un’idea della dimensione del disastro è stato calcolato che ci vorranno 600 anni prima che la Grecia copra il debito e stabilizzi l’economia. Le banche tedesche e francesi ne sono le principali creditrici.

Barack Obama: stesso destino di Jimmy Carter?

Le discussioni sull’innalzamento del
tetto del debito hanno mostrato un Barack Obama indeciso, le cui mosse
ricordano quelle di Jimmy Carter alla fine del mandato. Alan Greenspan,
l’ex presidente della FED, disse che Carter provò ad accontentare tutti. Propose nuovi programmi sociali e allo stesso tempo provò a ridurre il disavanzo, ridurre il tasso di disoccupazione e combattere l’inflazione. Tutto ciò nel mezzo della crisi del 1978-79.

Oggi Obama propone quasi le stesse cose, ad esempio il piano sulla prevenzione del default prevede la riduzione dei “costi non essenziali” per almeno 1 trilione di
dollari in dieci anni. Ciò implica ad esempio una riduzione delle spese
militari.

Secondo l’accordo raggiunto sarà
formata una commissione con membri delle due camere del Congresso che pianificherà ulteriori 1,5 trilioni di dollari di tagli. Per raggiungere
il compromesso l’amministrazione ha dovuto abbandonare il suo principale obiettivo, la cancellazione degli sgravi fiscali per i ricchi (2). Inoltre i Repubblicani sono riusciti a ottenere una riduzione delle spese di
oltre 2,5 trilioni di dollari. Obama è riuscito a mantenere invariata la spesa sociale.

Una politica simile costò a Jimmy
Carter la rielezione a favore del “duro” neoliberista Ronald Reagan, che guidò gli Stati Uniti a un contrasto aperto con l’URSS. Oggi la superpotenza sovietica non esiste più e lo stato di caos globale aumenta
il rischio di nuove guerre. Gli USA non conoscono altre soluzioni per le crisi finanziarie. Ma la globalizzazione rende la politica di esportare le crisi pericolosa per gli stessi Stati Uniti. A un anno dalle elezioni gli avversari di Obama hanno tempo per studiare la strategia. Peggiore
sarà l’economia, minori le possibilità di rielezione.

Obbligazioni governative USA: “depositi per gli stati”

Dopo l’abbandono del “gold standard” nei primi anni ’70, il denaro perse una delle sue funzioni principali, quella di accumulare valore. In tutto il mondo molte persone non esperte di finanza ancora pensano che mettendo i soldi in banca si accumulino fondi: in realtà raccolgono ricevute e la banca gestisce i loro soldi. Il collasso di fondi pensione e grandi banche, così come la possibilità che il governo statunitense (3) non finanzi programmi pensionistici, mostra che il denaro non è altro che un mezzo di pagamento. I governi e le multinazionali lo hanno capito da tempo e investono in beni più affidabili – obbligazioni di paesi sviluppati gli uni, immobili e materie prime le altre. In ogni caso l’intero sistema si basa sulla reciproca fiducia. Le obbligazioni sono pezzi di carta, liquide solo politicamente, non economicamente. Così le obbligazioni governative statunitensi sono i “depositi per gli stati” ed è per questo che vengono comprate, servono a contenere il denaro. O meglio, questo è stato vero finché gli altri paesi avevano fiducia negli Stati Uniti. Ora che c’è stato un deterioramento di questa fiducia, i certificati del Tesoro hanno cessato di essere un porto affidabile per il denaro, e necessita un nuovo strumento.

Una nuova valuta di riserva: quale?

Finora tutti i tentativi di rimpiazzare
il dollaro come valuta di riserva globale hanno fallito. L’euro è divenuto una valuta di pagamento, ma i paesi non si precipitano a comprare
obbligazioni dell’eurozona. Inoltre, la liquidità degli “Eurobonds
dipende dalle obbligazioni statunitensi, poiché l’Europa ne mantiene
una considerevole riserva; problemi con le obbligazioni statunitensi impattano direttamente le obbligazioni europee. L’Euro non è una valuta indipendente e autosufficiente. Inoltre la BCE non ha una politica di emissione obbligazionaria completamente indipendente; ecco perché la velocità nel prendere le decisioni in Europa è inferiore a quella di manipolazione del dollaro.

La situazione di rublo e yuan è
simile. Cina e Russia sono fra i tre maggiori investitori nell’economia USA. La Cina possiede circa 1,5 trilioni di dollari in obbligazioni governative USA, la Russia circa 600 miliardi. Questo fatto, in aggiunta alle contraddizioni nei paesi della Shanghai Cooperation Organization (SCO) e della Customs Union (Russia, Kazakistan, Bielorussia) impediscono a rublo e yuan di essere vere valute di riserva regionali.

Tutto ciò comporta di dover passare
a un sistema complesso e meglio bilanciato, che comprenda valute di riserva regionali (supportate da materie prime come in Russia, produzione come in Cina, tecnologie come in Giappone) e un nuovo tipo di “gold standard”. Difficile però che sia l’oro, perché il mondo versa in uno stato di “crisi spagnola inversa”: ai tempi della conquista delle Americhe il volume d’oro in Europa superò la massa di beni disponibili; ora, invece, ci sono così tante merci che l’introduzione di un nuovo gold standard comporterebbe una forte svalutazione delle valute e nessuno sarebbe d’accordo. È difficile prevedere se sarà un “energy-dollar”, un “resource-ruble”, un “labor Yuan”. Nondimeno, senza nuovi mezzi per accumulare capitale, il prossimo futuro vedrà nuove guerre per accaparrarsi le risorse, per almeno mezzo secolo.

L’oro, base della sovranità

La questione “dove mettere il capitale” è ora importante non solo per aziende e popolazione, ma è la chiave per mantenere la sovranità nazionale. La crisi globale da ormai quattro anni mostra che gli USA non solo ne sono una delle principali cause; sono anche un partner politico molto inaffidabile. I membri europei della NATO se ne sono accorti quando hanno avviato la guerra in Libia e gli USA ne sono velocemente usciti. Gli USA hanno cessato l’attività nel conflitto, con gravi costi sul budget degli altri belligeranti, il che ha destabilizzato l’euro tanto quanto le crisi del debito greco e italiano.

Pochi hanno notato che il capitale della Libia che risulta nei conti delle banche occidentali non solo
è investito in obbligazioni governative USA, ma anche mantenuto in oro nel territorio nazionale. Questa politica razionale ha permesso a Gheddafi di combattere contro la NATO da ormai 5 mesi. Il caos causato
dalla guerra e il conseguente apprezzamento dell’oro (non l’unico ma un importante fattore) è vantaggioso per il leader libico poiché le sue riserve si rivalutano! Gli aggressori
forniscono quindi a Gheddafi le risorse che usa per continuare la guerra
contro di loro.

Questo non è un paradosso, ma una
diretta conseguenza della globalizzazione. Immanuel Wallerstein scrisse
che c’è un solo sistema globale sulla Terra. Quindi i detentori di
obbligazioni governative USA dovrebbero immediatamente disfarsene investendo in qualcosa di più concreto: oro, materie prime, etc. Prima di tutti Cina, Giappone e Russia.

Oggi la risposta alla domanda “dove
tenere il capitale” è diventata la chiave per il mantenimento della stabilità del sistema globale. La variante di una nuova valuta di riserva, emessa da un paese o un gruppo di paesi, è destinata a fallire, prima di tutto perché “eterne alleanze” e “stabilità costante” non esistono.

*******************************************

Note:

1) Тришкин кафтан: решение старых проблем еврозоны порождает новые

2) http://ria.ru/economy/20110802/411092559.html

3) http://banker.ua/bank_news/govregulations/2011/07/13/1180451065

*******************************************

Fonte: Where

should we put money now, or gold as the basis of state sovereignty

22.08.2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALESSANDRO PAGANINI

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