DI MIGUEL JARA
MiguelJara.com
Mi arriva per posta una delle ultime pubblicazioni di Juan Gèrvas, medico agricolo e promotore del “EquipoCesca”. Mi racconta che non c’è una teoria cospiratrice più certa delle storie che portano con sé l’avidità, dalla mucca pazza fino all’influenza suina (influenza A). Sono totalmente d’accordo e voglio aggiungere che se io, Rafa e Joaquin intitolammo “Cospirazioni tossiche” quello che fu il mio secondo libro è stato precisamente per quello che sostiene Gervas, ossia che poteri di natura diversa cospirano alle spalle dei cittadini in maniera costante; l’ultima moda è considerare come “teorie della cospirazione” (che non mi piacciono) tutto ciò che sia stato diffuso da coloro che ficcano il naso nei misteri.
Gli eccessi si pagano, prima o poi – mi dice Juan – ed all’orizzonte abbiamo l’influenza del salmone e dei pesci in generale: benché tutto finisca per sembrare una cospirazione, è semplice avidità.
L’arcipelago di Chiloè si trova a milleduecento chilometri a sud di Santiago del Cile ed a novanta da Porto Mott. Il clima è mite e piovoso (cadono 2.500 mm di pioggia ogni anno) il che rende il paesaggio di pianure e colline una meraviglia di verde, con boschi pieni di felci e muschi; sono famose le chiese costruite in legno, il minuscolo cavallo “chilote” ed il minuscolo pudu (il cervo più piccolo del mondo). La costa della regione possiede laghi ed estuari e forma una sorta di mare interno creatosi grazie alle maree. La Grande Isola di Chiloè è separata dal Continente dal Canale di Cacao, attraversabile da un traghetto approssimativamente in mezz’ora. L’isola Grande è lunga 180 chilometri ed è larga 50. A causa del paesaggio, gli spagnoli le diedero il nome di “Nuova Galizia”.
La città di Castro è una delle più antiche del Cile, fondata nel 1567; in essa si trovano le antiche palafitte, a testimonianza di un paradiso dell’artigianato oramai perduto (fibre, legno e lana). Chiloè non tenne in considerazione l’indipendenza delle nazioni del Sud America e fu l’ultimo possedimento spagnolo, fino al 1826. I chiloti sono conosciuti per la loro affabilità oltre che per le loro attività di piccoli produttori agricoli, allevatori e pescatori fino a quindici anni fa. Oggi sono operai dipendenti delle multinazionali del salmone.
Il viaggio con la compagnia aerea cilena LAN è solito evocare l’odore del pesce perché gli aerei sono spesso carichi di salmone per l’esportazione. In quindici anni l’aquacoltura in Cile, più esattamente nell’arcipelago di Chiloè e nella zona limitrofa a Porto Mott (ed a causa dell’espansione della zona, fino allo Stretto di Magellano), è cresciuta di un 15% all’anno, il che ha moltiplicato per 13 l’investimento iniziale. Per questo il Cile è divenuto la seconda potenza mondiale del salmone dietro la Norvegia ed è capace di esportare annualmente quasi mezzo milione di tonnellate. L’esportazione di salmone è seconda solo a quella del rame e della cellulosa. L’aquacoltura del salmone in Cile è la più produttiva al mondo, per la ricchezza e la fertilità dell’acqua marina delle isole di Chiloè. Oggi ci sono 5.000 ettari di mare dedicati alla aquacoltura del salmone, concentrati in appena 300 chilometri, con 600 centri di coltivazione e 120 milioni di salmoni. Lavorano in questo settore 50.000 persone approssimativamente, ed il 70% sono donne (il 90% nei piani di produzione).
Il lavoro dei sommozzatori è pericoloso e gli incidenti sono frequenti. Nel processo produttivo sono utilizzati grandi quantitativi di fungicidi, pesticidi ed antibiotici. Nel 2008, in Norvegia, sono stati impiegati 0.07 grammi d’antibiotico ogni tonnellata di salmone contro i 560 grammi in Cile (il 40% di chinoloni). Si aggiungono a ciò i problemi ambientali: fuga dei salmoni – nell’ordine di un milione ogni anno; sfruttamento eccessivo della pesca delle sardine e di altri pesci usati come mangime per i salmoni, la contaminazione e l’occupazione del mare in concorso con altre attività, come la pesca artigianale tradizionale ed il turismo. Certamente, i salmoni che fuggono non si possono pescare dunque continuano ad essere “proprietà” dell’industria; inoltre, l’eccessivo sfruttamento finalizzato al mangime lascia i pescatori artigianali senza risorse.
Il prezzo del salmone norvegese originariamente è salito da 2,81 a 4,34 euro. Conseguentemente, le azioni della più grande impresa del salmone del mondo, la norvegese Marine Harvest, sono salite del 270%. Sono salite anche le azioni di un’altra impresa nordica dedita alla produzione d’alimenti per il salmone e delle trote, la Cernaq. L’aumento del prezzo del salmone norvegese è dovuto alla decrescita del 75% della produzione del salmone cileno. La causa? La morte dei salmoni cileni a causa dell’enorme influenza dell’anemia infettiva del salmone, l’ISA (“the infectious salmon anemia”). L’anemia infettiva del salmone è prodotta da un virus, probabilmente proveniente dall’Europa, dalla Norvegia, dove l’ISA rappresentò un grave problema negli anni ottanta e novanta del secolo scorso.
L’ISA apparve per la prima volta in Cile nel 2007 e probabilmente la sua diffusione è dovuta all’invasione delle pulci di mare. Tali pulci di mare hanno approfittato delle condizioni estreme dovute all’assembramento di milioni di salmoni per crescere incontrollatamente, e per divenire resistenti ai differenti disinfestanti utilizzati (impiegati imprudentemente in grosse quantità e senza controllo). Le pulci pungono e massacrano la pelle dei salmoni e ciò facilita la diffusione dell’ISA. In Norvegia fu combattuta sacrificando gli animali, con la quarantena e la pulizia anche se fu tutto più facile grazie al minor sfruttamento. In Cile è stata adottata una campagna di vaccinazione per ogni singolo salmone, oltre a trasferire le gabbie più a sud verso acque più fredde e per il momento non contaminate. Si calcola che la produzione avrà bisogno di almeno cinque anni per riprendersi; inoltre ci sono stati 20,000 licenziamenti tra i lavoratori del settore. Le imprese hanno dovuto fronteggiare debiti milionari (intorno ai 1,500 milioni di euro) e, per negoziare il debito, lo Stato cileno ha deciso di trasformare le concessioni, rendendole perpetue ed ipotecabili. Di fatto, ha privatizzato il mare contro gli interessi nazionali.
Il virus che causa l’anemia infettiva del salmone colpisce specialmente gli endoteli vascolari provocando emorragie diffuse. E’ un virus RNA, della famiglia degli orthomyxoviridae. Più semplicemente, è un virus influenzale, di quelli che provocano l’influenza negli esseri umani, maiali e volatili, ma per il momento non ha mai prodotto il minimo danno alla salute né dei lavoratori che dei consumatori. Ad ogni modo, la storia dell’anemia infettiva del salmone possiede alcuni punti in comune con le problematiche conseguenti agli eccessi dell’industria dell’allevamento: mucca pazza, influenza aviaria ed influenza A (influenza suina). Soprattutto, dimostra che i governi non sono liberi, che non prendono con autonomia le decisioni che possano colpire la propria sovranità ed il benessere della popolazione che rappresentano. La gestione dell’influenza A rappresenta un esempio calzante, con ritmi ed allarmi marcati da agenti non identificati pubblicamente, con protocolli, medicamenti, vaccini, mascherine, saponi, respiratori, campagne ed annunci che generano milioni di euro di beneficio e poca salute (se mai ci fosse).
Juan Gèrvas
Titolo originale: “Tras la pandemia de la gripe del cerdo ¿vendrá la gripe del salmón?
“
Fonte: http://www.migueljara.com
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09.10.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANDREA BELFIORE