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DOPO IL PICCO DEL PETROLIO CI ASPETTA IL COLLASSO DEL SISTEMA?

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A cura di Das schloss
Il 1 Maggio 2010
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DI EMILY SPENCER
Countercurrents.org

Recentemente, Glen Sweetnam, dirigente del reparto Internetional, Economic and Greenhouse Gas della Energy Information Administration alla DoE [ndt:US Department of Energy], ha annunciato al mondo intero che la disponibilità di petrolio ha raggiunto un “plateau” [ndt: si riferisce al picco di Hubbert, ossia al punto di massima estrazione del petrolio oltre il quale, secondo il geofisico Hubbert, ci attende una inarrestabile decrescita della produzione petrolifera]. Tuttavia, le sue dichiarazioni non sono state rese pubbliche dai più importanti media americani di larga diffusione. Invece la notizia viene trattata da Le Monde in questo modo.

Potremmo credere che la valutazione degli U.S.A. sulla decrescita della produzione petrolifera sia stata esposta tramite questa pubblicazione specifica, forse dovuta a qualche tipo di accordo tra Barack Obama e Nicolas Sarkozy.(Forse è un modo indiretto per avvertire la Francia tenendo però all’oscuro la maggior parte degli americani su questo argomento, affinchè, ignari di tutto, possano andare avanti come al solito. Dopo tutto, nessuna prognosi destabilizzante deve disturbare il loro lento ritorno alle vie del consumismo sfrenato che rafforza l’economia, soprattutto quella cinese, dalla quale il governo federale degli Stati Uniti dipende per i prestiti.)Tutto sommato, nei notiziari dell’ Inghilterra, dove vivo, non c’è stato, per quanto ne so, neppure un servizio di 10 secondi riguardo al messaggio di Glen Sweetnam. Quando veniva fatta una tale dichiarazione, i giornalisti inglesi parlavano della recente alluvione…ancora e ancora.

Allo stesso modo, nessun giornalista impegnato a discutere dell’inondazione ha osato mettere in chiaro che il peggioramento delle condizioni atmosferiche è legato alle conseguenze del cambiamento climatico e che tali conseguenze sono legate anche al petrolio. Inoltre, immaginate che effetto potrebbe fare sul Dow o sul Nasdaq se le teorie di Glen Sweetnam si diffondessero in tutta l’America, magari assieme ad un dibattito sui rami economici collegati.

Quali sono le impicazioni? In Life After Growth, Richard Heinberg, ricercatore anziano in sede al Post Carbon Institute [ndt.:associazione no-profit che fornisce informazioni e analisi sullo sviluppo sostenibile], afferma: “In effetti, dovremo creare una “nuova normalità” che si adatti alle limitazioni imposte dall’esaurimento delle risorse naturali. Mantenere la “vecchia normalità” non è una scelta possibile; se non troveremo nuovi obiettivi per noi e se non progetteremo la nostra transizione da un sistema basato sulla crescita economica ad una sana economia dell’equilibrio, finiremo per instaurare comunque una “nuova normalità”, tuttavia meno desiderabile, le cui tracce possono già essere lette nella crescita della disoccupazione, nel gap crescente tra i ricchi e i poveri e nelle sempre più frequenti e più gravi crisi finanziarie e di governo – tutti fattori che provocano un profondo disagio agli individui, alle famiglie e alle comunità.”

In altre parole, dobbiamo smetterla di illuderci che la crescita economica possa essere perpetua e dobbiamo trovare un altro modo di vivere d’ora in avanti. Dobbiamo smettere di far finta che tutto vada bene soltanto perchè la nostra visione miope della vita non riesce a farci scorgere nessun crollo maggiore nel futuro più immediato. Le conseguenze del non guardare in faccia la realtà sono palesi.

Invece di mettere la testa sotto la sabbia, è decisamente meglio guardare lontano e vedere i mostri che stanno arrivando in modo da poter attuare delle contromisure significative. Una reazione adeguata è preferibile all’attaccarsi ciecamente, di certi personaggi o di certi gruppi, agli stessi modelli, che potrebbero anche aver funzionato in passato, ma non sono più attuabili in modo proficuo. (Quei leader dalla vista corta che cercano di spremere le ultime gocce di petrolio dalla terra per perseguire obiettivi commerciali di portata globale sono un chiaro esempio).

Certamente la realtà non ha niente a che fare con sogni ed utopiche speranze, senza contare il livello che ci stanno imponendo, dovuto ad una fiducia eccessiva o ad altre ragioni. Un’ ostinata adesione ai capricci e alle scelte del passato semplicemente non funzionerà in queste circostanze. Come suggerisce John Adams,”I fatti non si discutono; e qualsiasi siano le nostre speranze, le nostre inclinazioni o gli imperativi delle nostre passioni, non si possono alterare lo stato dei fatti e l’evidenza.”

Allo steso tempo, i nostri standard di vita attuali dipendono chiaramente dalla nostra capacità di consumare enormi quantità di combustibili fossili, inclusi un numero di barili di petrolio all’anno stimato intorno ai 30 miliardi, mentre circa il 40% del consumo di energia globale proviene dal petrolio. Al contrario, coloro che non hanno accesso a tali ricche risorse energetiche, sia nelle nazioni sviluppate che in quelle in via di sviluppo, mettono in relazione legittimamente la prosperità e l’accesso ai beni materiali con l’uso di combustibili fossili.

Dopo tutto, nessun sostituto “verde” può arrivare anche solo vicino alla densità energetica ottenuta con i derivati dei carburanti fossili. A questo proposito, Robert Bryce, caporedattore dell’“Energy Tribune” e autore di un libro appena pubblicato, Power Hungry: The Myths of “Green” Energy, and the Real Fuels of the Future, fa notare in Let’s Get Real About Renewable Energy nella versione online del WSJ [n.d.t.: Wall Street Journal]: “Possiamo raddoppiare l’energia solare e quella eolica, e poi raddoppiare di nuovo. Dipenderemo ancora dagli idrocarburi.”

Dal suo punto di vista, la ragione è che non potremo mai, in un tempo ragionevole, raggiungere l’enorme quantità di energia necessaria attraverso mezzi alternativi. Allo stesso modo, “le energie rinnovabili non possono fornire nemmeno un quantivo di base dell’energia necessaria; per esempio, il quantitativo di elettricità richiesto per venire incontro alla domanda dei consumatori americani.”

Allo stesso tempo, l’accesso ai combustibili fossili sarà sempre più la causa principale di piccoli e grandi conflitti in tutto il mondo, mentre i maggiori contendenti (specialmente U.S.A, Cina e Russia) useranno sempre di più la violenza per guadagnare vantaggio sui propri rivali. A questo proposito, le attuali guerre nel Medio Oriente e nell’Africa sono minuscole se messe a paragone con i conflitti che ci aspettano.

Inoltre, l’incombente crollo della produzione petrolifera causerà un aumento vertiginoso dei prezzi dei prodotti, dei servizi e degli alimenti che dipendono dal petrolio. Inoltre i derivati del petrolio sono fondamentali per i fertilizzanti, i pesticidi, i diserbanti, il trasporto delle merci nei mercati, la maggior parte delle operazioni di imballaggio della merce (per esempio, la realizzazzione di contenitori, in aggiunta alle operazioni di imbottibliamento e inscatolamento) e ovviamente i macchinari operativi delle industrie.

Considerato tutto questo, immaginate le industrie abbandonate senza abbastanza petrolio. Sarebbero ugualmente in grado di fornire abbastanza cibo per 7 miliardi di persone? Come farebbero a rifornire nove dei dieci miliardi di persone che popoleranno la terra più o meno nel giro dei prossimi quarant’anni?

Henry Kissinger ha affermato: “Chi controlla il cibo controlla le persone; chi controlla l’energia può controllare tutti i continenti; chi controlla il denaro può controllare il mondo.” Tuttavia, ha forse dimenticato che il nostro cibo e in pratica ogni industria e la finanza sono strettamente legati all’energia e questa, a sua volta, è legata ai carburanti fossili.

Secondo un inchiesta di Greenpeace USA pubblicata il mese scorso, “Quasi il 71% dell’elettricità in U.S.A. proviene dai carburanti fossili, di cui il 53% deriva dal carbone. Del rimanente, il 21% è generato dall’energia nucleare, il15% dal gas naturale, il 7% dall’ acqua e meno del 2% dalle altre fonti rinnovabili. Come risultato di questo miscuglio, gli U.S.A. emettono più di 2500 milioni di tonnellate di CO2 (MMtCO2) ogni anno.”

Per di più, il carbone e i gas, che possono essere convertiti in energia, non costituiscono fonti inesauribili. Dunque, alla luce del nostro dilemma energetico, che cosa possiamo aspettarci per il futuro?

Secondo Thomas Wheeler in It’s the End of the World as We Know It, “E’ chiaro che le zone residenziali di certo non sopravviveranno alla fine del petrolio a basso costo e del gas naturale. In altri termini, la decrescita delll’America-volontaria o no- sarà la tendenza del futuro. Si preparano profondi cambiamenti nel ventunesimo secolo. Il crollo imminente della civiltà industriale ci costringerà ad organizzare le comunità umane in un modo assolutamente diverso dall’attuale sistema globalizzato che risulta non ecosostenibile, altamente centralizzato e distruttivo per l’ecosistema. Abbiamo bisogno di instaurare un sistema decentralizzato e localizzato, con comunità più piccole e a misura d’uomo, che possano sostenere se stesse grazie alle risorse de proprio territorio. La civiltà industriale e le zone residenziali si basano sulle risorse energetiche a basso costo per poter crescere ed espandersi. Quest’era sta giungendo al termine. Uno dei nostri compiti più importanti attualmente è preparaci ad uno stile di vita totalmente differente”.

Eppure, Barack Obama e le sue coorti hanno incautamente deciso di estendere il nostro periodo di dipendenza dal petrolio senza cambiare nulla, invece di usare una sifnificativa parte di esso, oltre ad un’abbondante quantità di fondi federali, per instituire una fondazione risoluta che si occupi dell’approvvigionamento di energie alternative e di fronteggiare gli enormi cambiamenti sociali che stanno per verificarsi. In altre parole, sono ancora intrappolati in un estremo tentativo di sostenere l’industria globalizzata (compreso il mercato del lavoro offshore e le enormi reti di trasporto) invece di preparare la società ad un nuovo stile di vita successivo alla decrescita della produzione petrolifera, mettendo al primo posto i diritti umani e lo sviluppo di comunità regionalizzate.

Sicuramente, favorire un tale cambiamento costruttivo aiuterebbe l’America a tutti i livelli. La ragione è che dirottare la ricchezza dalle terrificanti guerre per l’energia, dal commercio su vasta a scala e dal salvataggio di corporazioni pericolose alla creazione di solide basi economiche fortemente centralizzate porterebbe numerosi beneici. Questa operazione potrebbe generare lavoro, proteggere le materie prime e gli ambienti naturali in cui si trovano le comunità e tenere a freno l’uso di combustibili fossili finchè molti prodotti saranno creati ed usati localmente.Potrebbe inoltre condurre singoli individui e gruppi ad acquisire le competenze necessarie a creare una gamma variegata di prodotti, e porterebbe a promuovere lo sviluppo delle cooperative e di altre innovative organizzazioni come Simple Gifts Farm, rafforzando l’economia statunitense a livello globale.

Inoltre, i programmi di sostegno delle multinazionali sono evidentemente dannosi per il benessere dell’ambiente e per la moltitudine delle società sparse per il mondo. Permettono infatti che la classe più benestante continui ad accumulare guadagni sbalorditivi alle spese degli altri. In questo modo, molte persone affrontano il crescente deteriorarsi delle condizioni di vita mentre, allo stesso tempo, l’ambiente che li circonda viene distrutto dal saccheggio di risorse e dai disastri naturali.

Come sostiene Bruce Sterling, “Nessuna civiltà può sopravvivere alla distruzione materiale della sua base di risorse”. Infatti, sono stati costruiti sistemi energetici chiusi e diretti ad uno sviluppo sfrenato, senza curarsi del fatto che tali sistemi provocano l’aumento della popolazione, del consmo di risorse e della domanda energetica.

I risultati dell’oltrepassare i limiti sono senza dubbio chiari. Inculdono invasioni armate e il saccheggio delle risorse di quelle popolazioni meno capaci di difendere i propri beni e le proprie terre dagli aggressori, senza contare la diminuzione della disponibilatà di prodotti importanti quando si raggiunge una soglia massima e, infine, nonostante tutto, la diminuzione dei guadagni.

Allo stesso modo, ogni membro del governo che si battesse a favore di una riduzione del consumo energetico e del commercio globalizzato commetterebbe un suicidio politico. Dovrebbe inoltre far fronte ad un pubblico ostile, di cui industraili e proprietari di aziende agricole, e verrebbe isolato sia dai lobbisti che dai finanziatori delle campagne di rielezione.

Contemporaneamente, è evidente che le “porte girevoli” della politica tra esecutivi delle aziende, politicanti e burocrati, spesso legati a potenti magnati, esistono senza dubbio e conducono anche, in alcuni casi, a conflitti di interesse [Regulatory Capture nell’originale. N.d.r.]. Il risultato complessivo di tale modello è la crescita incontrollata dello sfruttamento aziendale, della frode e della fame di potere, mentre la popolazione intera viene progressivamente destituita. Intanto, la classe più elevata, senza misure legislative importanti che agiscano sul libero mercato, ottiene un controllo sempre maggiore sulle risorse del mondo intero e i mezzi finanziari per conquistare un potere sempre maggiore in futuro.

Allo stesso modo, il sistema globale fa sì che i padroni del business internazionale vadano alla ricerca di manodopera a costo sempre più basso ovunque esiste e anche se comporta lavoro minorile e condizioni lavorative pericolose, oltre alla ricerca affannosa di nuovi consumatori e di enormi quantità di materie prime arraffate nei paesi in via di sviluppo dotati di una debole (quando presente) regolamentazione sulla salvaguardia delle risorse. Inoltre, vengono abbandonati quei paesi in cui i materiali desiderati, se non sono già stati saccheggiati, sono protetti da rigide leggi governative. Contemporaneamente, l’offerta di lavoro continua a diminuire quando gli standard salariali minimi non sono in assoluto i più bassi da trovare o non ci sono più nuove risorse da sfruttare.

A questo proposito, Jan Lundberg sostiene, in The People Of The Brook Versus Supermarket Splendor, “Le relazioni sociali oggi sono basate sulla tolleranza della tirannia: pericolosi progetti di gadagno industriale, mancata trasparenza sulla proprietà di azioni di grandi patrimon e una ricchezza finanziaria astronomica. Appena il castello di carte del picco del petrolio cadrà, nuove strutture sociali saranno (re)stabilite. C’è un numero crescente di persone che attende la fine della tirannia della falsa ricchezza e dell’arroganza civile.”

Chiaramente, le nostre scelte per il futuro che vogliamo creare saranno determinate ampiamente dalla limitazione dell’uso del petrolio e di altre risorse. Ne risulta in conseguenza che noi possiamo o sostenere ancora un uomo che persegue un indirizzo politico per cui solo i soggetti più potenti e ricchi hanno accesso ad abbondanti quantità di risorse energetiche costose e di beni materiali, oppure possiamo promuovere la deglobalizzazione, che porta ad una condivisione equa delle risorse, alla creazione di posti di lavoro, al rafforzamento dei legami comunitari, alla realizzazione di basi di risorse locali che non siano eccessive, e alla creazione di pilastri sociali che non aumentino il divario tra i ricchi e i poveri.

La seconda opzione, inoltre, ci protegge contro gli ormai sempre più frequenti collassi finanziari determinati dal sistema di boe. In questo sistema, una boa che si abbassa di livello, quando altre boe sono agganciate ad una che sta affondando, trascina le altre verso il basso così che le boe più vicine sono per lo più tirate sul fondo. In altri termini, immaginate cosa potrebbe accadere se l’economia di un Paese, i suoi beni, il suo benessere sociale e così via fossere legate in maniera precaria a dei partner in crisi. sarebbe un sistema strutturalmente sicuro?

Tutto sommato, è facile notare che gli individui e i Paesi che se la passano relativamente meglio nella recessione in corso sono quelli i cui pilastri finanziari sono stati largamente isolati dalle influenze delle altre nazioni. Inoltre, le nazioni più immuni alla crisi tendono ad orientarsi al servizio dei bisogni della propria popolazione e sono inoltre molto regionalizzate, oltre ad essere generalmente cratterizzate da piccole, semplice e più gestibili economie; gli U.S.A. e le altre nazioni dovrebbero, a mio parere, seguire l’esempio di queste economie il più possibile.

Infine, “I Leader delle nostre nazioni hanno tre possibilità principali: impadronirsi dei giacimenti petroliferi altrui fino a spogliarli; andare avanti fino a quando le luci si spegneranno e gli americani si congeleranno al buio; o cambiare il nostro stile di vita attraverso il risparmio energetico e investendo largamente nelle fonti rinnovabili” secondo Charles T. Maxwell. Io vorrei aggiungere a questo punto di vista che i nostri leader e tutti noi dovremmo, in un tempo ragionevolmente breve, cominciare a creare comunità indipendenti ed ecosostenibili, che siano durevoli e flessibili in modo tale da sopportare ragionevolmente le dure forse esterne, come la mancanza di quantità sufficienti di petrolio o, almeno, l’inevitabile crescere dei prezzi che si verificherà dopo il picco del petrolio. Solo se faremo questo con successo potremo evitare le conseguenze peggiori dei gravi deficits.

Nell’attuale fase del picco della produzione petrolifera, abbiamo un periodo di stabilità in cui è il petrolio è ancora ad un prezzo ragionevole e in un quantitativo abbondante. Allo steso tempo, non possiamo aspettarci che i leaders dei nostri governi favoriscano la fine della dipendenza dal petrolio, tenendo conto del fatto che sono controllati dalla logica del profitto. Per questo, spetta ai cittadini comuni creare le riforme necessarie per un economia locale e per lo sviluppo sociale. Se questa impresa non verrà portata avanti attivamente in modo adeguato, il risultato inevitabile, come sostiene Dmitry Orlov in “The Five Stages Of Collapse”, sarà il caos.

Titolo originale: “Peak Oil: Are We Heading Towards Social Collapse?”

Fonte: http://www.countercurrents.org
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13.04.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCESCA

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