È possibile proteggere il cervello dai cali cognitivi man mano che si invecchia?
Per rispondere a questa domanda la dottoressa Lisa Feldman Barrett, professoressa di psicologia della Northeastern University, insieme ai colleghi del laboratorio del Massachusetts General Hospital, ha studiato i risultati delle risonanze magnetiche dei cervelli di 17 “SuperAger” (cioè persone che, pur avendo superato gli 80 anni, hanno capacità di memoria e attenzione pari a quelle di venticinquenni attivi e in salute) e li ha confrontati con quelli di altre persone della stessa età con problemi più o meno gravi di memoria o attenzione.
Dal confronto sono emerse alcune regioni del cervello diverse nei due gruppi di persone: più sottili nei cervelli delle persone ‘normali’, uguali a quelle di persone più giovani nei cervelli dei SuperAger. Nello specifico la parte del cervello che avrebbe un ruolo fondamentale nella qualità dell’invecchiamento è IL SISTEMA LIMBICO e tutte le persone anziane esaminate che hanno ottenuto i risultati migliori nei test di memoria e attenzione sono risultate proprio quelle con il sistema limbico più spesso.
Come farlo aumentare?
Secondo i ricercatori del gruppo di Feldman Barrett bisogna impegnarsi molto e continuativamente in un’attività. Il sistema limbico aumenta la sua attività quando le persone si impegnano in qualcosa di difficile, sia che si tratti di uno sforzo intellettuale sia fisico, per questa ragione si può conservare bene questa parte del cervello allenandola sia con attività fisiche che mentali.
Attenzione però: fare giochi come i cruciverba, i sudoku o quelli proposti da siti e app per allenare la mente non è abbastanza. Queste attività sono abbastanza piacevoli, ma non richiedono sforzi o sofferenze. Il consiglio, invece, è di iniziare a fare un’attività davvero impegnativa, come imparare una lingua straniera, seguire un corso online o esercitarsi con uno strumento musicale.
E gli integratori? Sono capaci di supportare il sistema nervoso per una piena funzionalità? Nella letteratura scientifica gli studi hanno dato finora risposte molto contrastanti e recentemente alcuni ricercatori australiani hanno indagato ulteriormente in merito cercando di chiarire se tutte le discrepanze riscontrate fino a questo momento non dipendessero dallo stato nutrizionale di partenza dei soggetti coinvolti dal momento che non è possibile confrontare gli effetti di un’integrazione alimentare tra persone che hanno un buono stato nutrizionale o altre che, invece, non ce l’hanno.
Gli studiosi, dunque, hanno coinvolto 141 persone sottoponendole, per prima cosa, a una verifica dello stato nutrizionale, poi le hanno divise in due gruppi: uno di studio e uno di controllo. Il gruppo di studio ha assunto per tre mesi un integratore multi-nutrizionale contenente, per dose giornaliera, 50 mg di vitamina B1, 70 mg di vitamina B2, 40 mg di nicotinamide, 128.26 mg di vitamina B5, 41,12 mg di vitamina B6, 50 µg di vitamina B12, 7.46 g di Bacopa monnieri, 6 g di foglie di Ginkgo biloba. Invece il gruppo di controllo ha assunto un placebo.
Gli autori di questo lavoro scientifico hanno osservato che i pazienti che avevano una buona dieta fin dall’inizio dello studio hanno beneficiato molto dell’integrazione ottenendo maggiore concentrazione. Il che ha messo in evidenza quanto sia importante lo stato nutrizionale che è, SEMPRE, la prima cosa da tenere in considerazione, non solo se si parla di cali cognitivi (come in questo caso), ma anche di qualsiasi altra problematica di salute. Gli integratori, cioè, possono essere utili per certi periodi di tempo (più o meno limitati) e supportano certamente l’organismo ottimizzandone le funzioni, ma non rappresentano mai, da soli, la soluzione di problematiche di salute a prescindere da necessari cambiamenti di eventuali abitudini alimentari (e di vita) scorrette.
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VB