DICEMBRE 2001, TERRORISMO DI STATO IN INDIA

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blankDI ARUNDHATI ROY
Counterpunch

DOMANDE SUL CASO AFZAL

Cinque anni fa di questi tempi, il 13 dicembre 2001, il parlamento indiano era nella sua sessione invernale. Il governo era sotto attacco a causa dell’ennesimo scandalo per corruzione. Alle 11:30 del mattino, cinque uomini armati in un’auto Ambassador bianca imbottita di un dispositivo esplosivo improvvisato si introdussero attraverso le porte del palazzo del Parlamento. Quando furono fermati, saltarono fuori dalla macchina e aprirono il fuoco. Nella sparatoria che seguì, tutti gli aggressori furono uccisi. Anche otto uomini della sicurezza e un giardiniere rimasero uccisi. I terroristi morti, ha detto la polizia, avevano abbastanza esplosivo da demolire il parlamento e munizioni sufficienti ad affrontare un intero battaglione di soldati. A differenza della maggior parte dei terroristi, i cinque si sono lasciati dietro un gran numero di prove—armi, cellulari, numeri telefonici, carte d’identità, fotografie, confezioni di frutta secca e pure una lettera d’amore.

In un modo per nulla sorprendente, il primo ministro Atal Bihari Vajpayee ha colto l’occasione per paragonare l’assalto all’ attacco dell’ 11 settembre negli Stati Uniti di appena tre mesi prima.
Il 14 dicembre 2001, il giorno dopo l’attacco al parlamento, la Special Cell (squadra antiterrorismo) della polizia di Delhi ha dichiarato di aver seguito le tracce di diverse persone sospettate di essere coinvolte nella cospirazione. Il giorno dopo, ha annunciato di aver “risolto il caso”: l’attacco, ha riferito la polizia, è stato un’operazione congiunta eseguita da due gruppi terroristi con base in Pakistan, Lashkar-e-Taiba e Jaish-e-Mohammad. Tre uomini del Kashmir, Syed Abdul Rahman Geelani, Shaukat Hussain Guru; Mohammad Afzal, e la moglie di Shaukat, Afsan Guru, furono arrestati.

Nei giorni di tensione che seguirono, il parlamento venne aggiornato. Il governo indiano ha dichiarato che il Pakistan—l’alleato più vicino all’America nella “guerra al terrore”—era uno stato terrorista. Il 21 dicembre, l’India ha richiamato il proprio alto commissario dal Pakistan, ha sospeso le comunicazioni aeree, ferroviarie e stradali e ha proibito il traffico aereo col Pakistan. Ha messo in moto una massiccia mobilitazione della sua macchina bellica e ha spostato al confine pakistano più di mezzo milione di truppe. Le ambasciate straniere evacuarono il loro personale e i cittadini, mentre ai turisti diretti in India furono distribuiti consigli di viaggio ammonitori. Il mondo ha guardato col fiato sospeso al subcontinente sull’orlo di una guerra nucleare. Si considera che tutto ciò è costato all’India 2,1 miliardi di dollari di denaro pubblico. Circa 800 soldati morirono solamente nel frenetico processo di mobilitazione.

Il foglio di accusa della polizia è stato archiviato in uno speciale processo per direttissima previsto per i casi sotto la Legge di Prevenzione del Terrorismo (Prevention of Terrorism Act, POTA). Circa tre anni dopo, il tribunale ha condannato Geelani, Shaukat, e Afzal a morte. Afsan Guru è stata condannata a cinque anni di “carcere duro.” In appello sono stati poi assolti Geelani e Afsan, ma è stata confermata la pena capitale per Shaukat e Afzal. Alla fine, la corte suprema ha confermato le assoluzioni e ha ridotto la pena di Shaukat a dieci anni di carcere duro. Tuttavia la condanna per Mohammad Afzal non solo è stata confermata, ma anche inasprita. Gli furono dati tre ergastoli e una doppia condanna a morte.

Nel suo verdetto del 5 agosto 2005, la corte suprema ha ammesso che la prova contro Afzal era solo circostanziale, e che non c’erano prove della sua appartenenza a qualche gruppo o organizzazione terroristica. Ma ciò continua ad avallare quello che si può considerare solo come un linciaggio legale. “L’incidente, che ha causato feriti gravi, ha scosso la nazione intera,” è stato dichiarato, “e la coscienza collettiva della società sarà soddisfatta solo se al colpevole sarà comminata la pena capitale.”

Elencando le motivazioni della condanna a morte di Afzal, la sentenza ha proseguito: “L’ imputato, che è un militante arresosi e che ha avuto la tendenza a ripetere gli atti di tradimento contro la nazione, è una minaccia per la società e gli si dovrebbe togliere la vita.” Ciò implica una pericolosa ignoranza di quello che significa essere un “militante arreso” nel Kashmir di oggi.

Dunque, gli si dovrebbe togliere la vita? La sua storia è affascinante perché è inestricabilmente intrecciata con la Valle del Kashmir. E’ una storia che si estende lontano oltre i confini delle aule giudiziarie e oltre l’immaginazione limitata della gente che vive nel cuore sicuro dell’autodichiarata “superpotenza”. La storia di Afzal ha la sua origine in una zona di guerra le cui leggi sono oltre il limite dei raffinati argomenti e della delicata sensibilità della normale giurisprudenza.

Per tutti questi motivi è molto importante che si consideri attentamente la strana, triste e del tutto sinistra storia dell’attacco del 13 dicembre. La dice lunga sul modo in cui funziona veramente la più grande “democrazia” del mondo. Mette in relazione l’elemento più grande col più piccolo. Indica il filo rosso che collega ciò che accade nei tenebrosi antri delle nostre stazioni di polizia a ciò che si svolge per le nevose strade di Paradise Valley, e da lì alla follia malvagia che porta le nazioni sull’orlo della guerra nucleare. Solleva domande specifiche che meritano risposte specifiche, non ideologiche o retoriche. Ciò che è in gioco è molto più del destino di un uomo.

Per la maggior parte delle persone, l’attacco del 13 dicembre è stato un attacco “terroristico” incredibilmente maldestro. Ma una consumata esperienza è sembrata essere il marchio di qualità di ogni cosa che seguì: la raccolta delle prove, la velocità di investigazione della Special Cell, l’arresto e l’accusa dell’imputato e un processo lungo tre anni e mezzo che è iniziato col processo per direttissima.

La parola d’ordine di tutto ciò è: “sembrava essere”. Se seguite la storia attentamente, incontrerete due tipi di maschere. Una è la maschera della consumata esperienza (arresto dell’accusato, “caso risolto” in appena due giorni), e quindi, quando le cose hanno iniziato a diventare poco chiare, è subentrata la benevola maschera di una caotica incompetenza (prove scadenti, vizi procedurali, contraddizioni sostanziali). Ma sotto tutto ciò—come hanno mostrato diversi avvocati, accademici e giornalisti che hanno studiato nel dettaglio il caso—c’è qualcosa di più sinistro, di più angosciante. Negli ultimi anni, le preoccupazioni sono diventate una montagna di sospetti, che è impossibile ignorare.

I dubbi sono sorti il giorno dopo l’attacco al parlamento, quando la polizia ha arrestato Geelani, un giovane assistente della Delhi University. I suoi colleghi e amici indignati, certi che sia stato incastrato, hanno contattato il noto avvocato Nandita Haksar e le hanno chiesto di occuparsi del caso. Questo ha segnato l’inizio di una campagna per un regolare processo a Geelani. Ha sfidato l’isteria di massa e la propaganda corrosiva che è stata diffusa dai mass media. Ma nonostante ciò, la campagna ha avuto successo, e Geelani è stato alla fine assolto, insieme ad Afsan Guru.

L’assoluzione di Geelani ha prodotto un’enorme falla nella versione dell’accusa sull’attacco al parlamento. Il perno della teoria cospiratoria ha ceduto improvvisamente in favore dell’innocenza. Ma in uno strano modo, nell’opinione pubblica, l’assoluzione di due degli accusati ha solo confermato la colpevolezza degli altri due. Vi è stata una sete di sangue che doveva essere saziata. Quando il governo ha annunciato che Afzal, l’accusato numero uno nel caso, sarebbe stato impiccato il 20 ottobre 2006, sembrò che la maggior parte della gente accogliesse la notizia non solo con approvazione ma con un morboso entusiasmo. Ed ecco, ancora una volta, sono riemersi gli interrogativi.

Capire il caso del processo contro Geelani era relativamente semplice. Egli è stato strappato via dal nulla e trapiantato al centro della “cospirazione” in qualità di uomo chiave. Afzal era diverso. E’ stato spinto attraverso la fogna infernale che è oggi il Kashmir. E’ affiorato da un tombino, coperto di merda. (E quando ne è venuto fuori i poliziotti della Special Cell gli hanno orinato addosso. Letteralmente.). La prima cosa che gli hanno fatto fare è stata una “confessione ai media” in cui si auto-coinvolgeva nell’attacco. La velocità alla quale è accaduto tutto ciò ha fatto credere a molti di noi che era veramente colpevole come aveva denunciato. E’ stato solo dopo molto tempo, quando furono conosciute le circostanze in cui fu resa la “confessione”, che anche la corte suprema si è messa da parte, dicendo che la polizia aveva violato le precauzioni legali.

Fin dall’inizio non vi è stato nulla di chiaro o di semplice nel caso Afzal. La sua storia ci ha dato uno scorcio di come sia davvero la vita nella Valle del Kashmir. Solamente nella versione da libro di Noddy [personaggio inventato da Enid Blyton, scrittore per bambini inglese, ndt] che leggiamo sui nostri giornali, le forze di sicurezza combattono i militanti e gli abitanti innocenti del Kashmir vengono colpiti dal fuoco incrociato. Nella versione per adulti, il Kashmir è una valle inondata di militanti, fuorilegge, forze di sicurezza, traditori, informatori, spie, ricattatori, ricattati, estorsori, delatori, agenzie di intelligence sia indiane che pakistane, attivisti per i diritti umani, ONG, e quantità inimmaginabili di armi e denaro di provenienza ignota. Non vi sono sempre linee nette a delineare i legami tra tutto ciò; non è facile sapere chi sta lavorando per chi.

La verità, nel Kashmir, è probabilmente la cosa più pericolosa di tutte. Più si scava a fondo, più viene fuori il marcio. Al fondo vi sono lo Special Operations Group e la Special Task Force (STF), gli elementi più crudeli, indisciplinati e paurosi dell’apparato di sicurezza indiano in Kashmir, che svolgono un ruolo centrale nella storia di Afzal. A differenza delle forze più ufficiali, queste operano in una zona in penombra in cui fanno affari poliziotti, militanti arresi, fuorilegge e criminali comuni. Sfruttano la popolazione locale, soprattutto nel Kashmir rurale. Le loro vittime principali sono le migliaia di giovani del Kashmir che si sono ribellati nella sommossa anarchica dei primi anni Novanta e che da allora si sono arresi e stanno provando a vivere vite normali.

Nel 1989, quando Afzal ha attraversato il confine per essere addestrato come un militante, aveva solo venti anni. E’ ritornato senza alcun addestramento, disilluso dalla sua esperienza. Ha messo da parte la sua pistola e si è iscritto alla Delhi University. Nel 1993, senza essere mai stato un militante attivo, si è volontariamente arreso alle Forze di Sicurezza di Confine. Contro ogni logica, è stato a questo punto che i suoi incubi hanno avuto inizio. La sua resa è stata considerata un crimine e la sua vita divenne un inferno. La storia di Afzal ha fatto infuriare gli abitanti del Kashmir perché quanto è accaduto a lui potrebbe essere accaduto, sta accadendo ed accade a migliaia di giovani del Kashmir e alle loro famiglie. L’unica differenza è che le loro storie si sono svolte nelle oscure viscere dei centri di interrogazione, nei campi dell’esercito e nelle stazioni di polizia dove sono stati bruciati, picchiati, fulminati, ricattati, uccisi e i loro corpi gettati dentro il retro di camion per essere scoperti dai passanti. Sebbene la storia di Afzal si è svolta alla maniera di una piece di teatro medievale sul palcoscenico nazionale, alla luce del sole, con la sanzione legale di un “regolare processo” , la falsa utilità della “stampa libera” e tutte le pompe e le cerimonie di una cosiddetta democrazia.

Nei documenti sottoposti alla corte, Afzal descrive come, nei mesi precedenti l’attacco al parlamento, sia stato torturato nei campi dell’ SFT – con elettrodi sui genitali e chili e petrolio nell’ano. Parla di come sia stato vittima costante di ricatti. Menziona il nome del Vice Sovrintendente di Polizia Devinder Singh, che ha detto di aver avuto bisogno di lui per fargli fare un “lavoretto” a Delhi. (In seguito Singh ha ammesso chiaramente di aver torturato Afzal esattamente nel modo da lui descritto). Afzal ha anche detto che dal momento in cui è stato arrestato a quello in cui è stato accusato (alcuni mesi) suo fratello minore Hilal è stato tenuto segregato illegalmente in un campo di polizia in Kashmir. Come riscatto.

Ancor oggi, Afzal non rivendica una completa innocenza. E’ la natura del suo coinvolgimento ad essere contestata. Ad esempio, è stato costretto, torturato e minacciato a svolgere anche la parte periferica che ha svolto? In una grave violazione dei suoi diritti costituzionali, dal momento in cui è stato arrestato e direttamente attraverso la fase cruciale del processo quando il vero lavoro di costruzione del caso è stato fatto, Afzal non ha avuto un avvocato. Non ha avuto nessuno a cui esporre la sua versione dei fatti, ad aiutarlo o qualcun altro che setacciasse il groviglio di bugie, macchinazioni e propaganda presentato dalla polizia. Vari individui hanno risolto ciò da soli. Oggi, cinque anni dopo, un gruppo di avvocati, accademici, giornalisti e scrittori ha pubblicato un testo (13 Dicembre: Lo strano caso dell’attacco al Parlamento, pubblicato da Penguin India). E’ questo lavoro che ha mandato in frantumi quello che, solo recentemente, è sembrato essere un consenso nazionale intrecciato ad una isteria collettiva.

Attraverso le smagliature, quelli che sono finiti sotto inchiesta – uomini ombra, agenzie di contro-intelligence e sicurezza, partiti politici – stanno incominciando a venire a galla. Agitano bandiere, lanciano insulti, pronunciano appassionati rifiuti e coprono le loro tracce con un’infinità di menzogne. In questo modo rivelano se stessi.

Gli articoli raccolti nel libro della Penguin [casa editrice britannica di testi di qualità a prezzi economici, ndt] sollevano domande su come Afzal, che non ha mai avuto un proprio rappresentante legale, possa essere condannato a morte senza aver avuto l’opportunità di essere ascoltato, senza un regolare processo. Hanno posto domande sui verbali dell’arresto fabbricati, su false confische e ritrovamento di verbali, vizi procedurali, la prova cruciale che è stata alterata, false registrazioni telefoniche, falsi testimoni, lacune legali, materiale contraddittorio nelle testimonianze della polizia e nell’uso dei testimoni e le palesi menzogne che sono state presentate alla corte e pubblicate sui giornali. Ciò mostra quanto sia difficile che un solo frammento di prova possa risultare accettabile ad un’indagine accurata.

E poi vi sono anche altre inquietanti domande che sono state poste, che vanno oltre il singolo caso di Afzal. Alcune di queste sono gravi per un Paese che pretende di essere una potenza nucleare. Di seguito vi sono tredici domande relative al 13 dicembre:


[Una foto dell’attacco al Parlamento Indiano del 13-12-2001]

Domanda 1: Mesi prima dell’attacco al parlamento, sia il governo che la polizia avevano detto che il parlamento poteva essere attaccato. Il 12 dicembre 2001 il primo ministro A.B. Vajpayee ha avvertito che un attacco era imminente. Il 13 dicembre è successo. Visto che c’era un “miglioramento dell’ addestramento di sicurezza”, come ha potuto un’autobomba imbottita di esplosivo accedere al complesso del parlamento?

Domanda 2: Nei giorni dell’attacco, la Special Cell della polizia di Delhi ha detto che si trattava di un’operazione congiunta preparata meticolosamente da Jaish-e-Mohammad e Lashkar-e-Taiba. Dissero che l’attacco era stato guidato da un uomo chiamato Mohammad che era anche coinvolto nel dirottamento del volo IC-814 nel 1998. (Ciò è stato in seguito smentito dall’Ufficio Investigativo Centrale). Niente di ciò è stato provato dinanzi alla corte. Quale prova aveva la Special Cell per le sue affermazioni?

Domanda 3: Tutto l’attacco è stato registrato dal vivo dalla televisione a circuito chiuso (CCTV). Due parlamentari membri del Partito del Congresso, Kapil Sibal e Najma Heptullah, hanno chiesto in parlamento che la registrazione fosse fatta vedere ai membri. Dissero che c’era stata confusione sui dettagli dell’evento. Il leader del Partito del Congresso , Priyaranjan Dasmunshi, ha detto, “Ho contato sei uomini che scendevano dall’auto. Ma solo cinque sono stati uccisi. La telecamera del sistema TV a circuito chiuso mostra chiaramente i sei uomini.” Se Dasmunshi aveva ragione, perché la polizia dice che c’erano solo cinque persone nell’auto? Chi era la sesta persona? Dove è ora? Perché il video non è stato presentato nel procedimento legale come prova? Perché non è stato fatto vedere al pubblico?

Domanda 4: Perché il parlamento è stato aggiornato dopo che sono state sollevate alcune di queste obiezioni?

Domanda 5: Alcuni giorni dopo il 13 dicembre, il governo ha dichiarato di aver avuto la “prova incontrovertibile” del coinvolgimento del Pakistan nell’attacco, ed ha annunciato una massiccia mobilitazione di quasi mezzo milione di soldati al confine col Pakistan. Il subcontinente è stato portato sull’orlo di una guerra nucleare. A parte la “confessione” di Afzal, estorta sotto tortura (e in seguito messa da parte dalla corte suprema), qual era la “prova incontrovertibile”?

Domanda 6: E’ vero che la mobilitazione militare al confine col Pakistan era iniziata molto prima dell’attacco del 13 dicembre?

Domanda 7: Quanto è costata questa resistenza militare, che è durata quasi un anno? Quanti soldati sono morti nel suo svolgimento? Quanti soldati e civili sono deceduti per mine malfunzionanti e quanti contadini hanno perduto la casa e la terra, perché i camion e i carri armati dovevano passare per i loro villaggi e perché i loro campi sono stati minati?

Domanda 8: Nell’indagine di un crimine, è fondamentale per la polizia far vedere come le prove raccolte sulla scena dell’attacco abbiano portato all’accusato. La polizia non si è preoccupata di dimostrare come Geelani sia collegato all’attacco. E come è arrivata la polizia ad Afzal? La Special Cell dice che Geelani li ha portati da Afzal. Ma il messaggio di tener d’occhio Afzal era stato in realtà comunicato alla polizia di Srinagar prima dell’arresto di Geelani. Allora come ha fatto la Special Cell a collegare Afzal all’attacco del 13 dicembre?

Domanda 9: I tribunali riconoscono che Afzal era un militante arreso che aveva regolari contatti con le forze di sicurezza, soprattutto l’STF di Jammu e la polizia del Kashmir. Come fanno le forze di sicurezza a spiegare il fatto che una persona sotto la loro sorveglianza era in grado di cospirare in una grossa operazione?

Domanda 10: E’ plausibile che organizzazioni come Lashkar-e-Taiba o Jaish-e-Mohammad si fidino di una persona che è entrata e uscita dalle stanze della tortura dell’STF ed era costantemente sorvegliata dalla polizia come il principale anello di una grossa operazione?

Domanda 11: Nella sua dichiarazione davanti alla corte, Afzal dice che era stato presentato a “Mohammed” e gli era stato detto di portarlo a Delhi da un uomo chiamato Tarig, che stava lavorando con l’STF. Tarig è stato menzionato nel foglio d’imputazione della polizia. Chi è Tarig e dove si trova ora?

Domanda 12: Il 19 dicembre 2001, sei giorni dopo l’attacco al parlamento, il commissario di polizia S.M. Shangari ha identificato uno degli assaltatori uccisi come Mohammad Yasin Fateh Mohammed (alias Abu Hamza) di Lashkar-e-Taiba, che era stato arrestato a Mumbai nel novembre 2000 e subito consegnato alla polizia di Jammu e Kashmir. Ha fornito descrizioni dettagliate a supporto delle sue dichiarazioni. Se il commissario di polizia aveva ragione, come ha fatto Yasin, uomo in custodia della polizia di Jammu e Kashmir, a partecipare agli attacchi al parlamento? Se si era sbagliato, dov’è ora Yasin?

Domanda 13: Perché ancora non conosciamo chi sono i cinque “terroristi” uccisi nell’attacco al parlamento?

Queste domande, esaminate nell’insieme, conducono a qualcosa di più serio dell’incompetenza. Le parole che vengono in mente sono complicità, collusione, coinvolgimento. Non abbiamo bisogno di far finta di essere sconvolti. I governi e le loro agenzie di intelligence hanno una lunga tradizione nell’uso di strategie del genere per conseguire i loro fini. (Si consideri l’incendio del Reichstag e l’ascesa del potere nazista in Germania nel 1933; o l’operazione Gladio, in cui le agenzie di intelligence europee hanno creato atti terroristici, soprattutto in Italia, per discreditare gruppi militanti come le Brigate Rosse).

La risposta ufficiale a tutte queste domande è stata un silenzio assoluto. Stando così le cose, l’esecuzione di Afzal è stata rinviata mentre il presidente considera la sua domanda di grazia. Nel frattempo, il Bharatiya Janata Party (ora all’opposizione) ha annunciato che trasformerebbe lo slogan “Impiccate Afzal” in una campagna nazionale. Ma non sembra aver avuto seguito. Ora si stanno esaminando altre strade. La strategia principale sembra essere quella di creare confusione e di polarizzare il dibattito su linee comuni. Nel compito di diffondere la confusione, i media, soprattutto i giornalisti televisivi, possono essere collaboratori perfetti. Nelle discussioni, programmi di interviste e “rapporti speciali”, abbiamo conduttori tv che si occupano di eventi cruciali, come un bambino caduto in una buca. Aguzzini, fratelli alienati, vecchi ufficiali di polizia e politici stanno emergendo e parlano. Più parlano, più tutto diventa interessante.

Una figura che sta emergendo rapidamente dalla periferia oscura e limacciosa verso il centro della scena è il vice soprintendente Devinder Singh. Era stato un uomo di punta dei notiziari nazionali (CNN-IBN), in quello che è stato presentato come una “sting operation” [operazione tipica delle forze di polizia per incastrare qualcuno. In una ‘sting operation’ solitamente funzionari di polizia si fingono malviventi per creare una trappola. Molte delle operazioni recenti in cui si sono annunciati grossi attentati sventati erano in realtà ‘sting operation’ in cui sono stati incastrati poveracci del tutto incapaci di compiere attentati. N.d.r.] con telecamera nascosta. Ha realizzato delle interviste, telefoniche e faccia a faccia, dicendo esattamente le stesse cose sconvolgenti. Settimane prima della sting operation, in un’intervista registrata con Parvaiz Bukhari, un giornalista freelance, ha detto “L’ho interrogato e torturato [Afzal] nel mio campo per diversi giorni. E non abbiamo mai registrato il suo arresto su nessun documento. La sua descrizione della tortura nel mio campo è vera. E’ stata quella la procedura di quei giorni, abbiamo versato petrolio nel suo ano e lo abbiamo sottoposto a elettroshock. Ma non l’avrei piegato. Non mi ha rivelato nulla nonostante l’interrogatorio sia stato il più duro possibile… Sembrava un bhondu [stupido] in quei giorni, ciò che tu diresti un tipo chootya [idiota]. Mi sono fatto una certa fama in torture, nell’interrogare e piegare i sospetti. Se qualcuno esce pulito da un mio interrogatorio, nessuno oserebbe toccarlo ancora. Quello sarebbe stato considerato definitivamente pulito da tutto il dipartimento.”

Non si tratta di una sterile vanteria. Singh ha una formidabile reputazione nel campo della tortura nella valle del Kashmir. In tv, la sua vanteria ha ricondotto ai metodi della polizia. “La tortura è il solo deterrente contro il terrorismo,” ha detto. “Lo faccio per la nazione.” Non si è preoccupato di spiegare perché o come quel “bhondu” che ha torturato e in seguito rilasciato sarebbe potuto diventare la mente diabolica dell’attacco al parlamento. Singh dunque ha detto che Afzal era un militante Jaish. Se ciò è vero, perché tale prova non è stata presentata prima alla corte? E per quale motivo al mondo Afzal è stato rilasciato? Perché non è stato controllato? C’è un chiaro tentativo di liquidare il tutto come incompetenza. Ma considerando quello che sappiamo ora, servirebbero tutte le delicate abilità professionali di Singh per far sì che qualcuno di noi ci creda.

La versione ufficiale della storia dell’attacco al parlamento sta andando in pezzi molto velocemente. Anche la sentenza della suprema corte, con tutti i difetti di logica e i dogmi di fede, non accusa Afzal di essere stato la mente degli attacchi. Allora chi lo è stato? Se Afzal viene impiccato, non lo sapremo mai. Ma L.K. Advani, il leader dell’ opposizione, lo vuole alla forca subito. Il ritardo di un solo giorno, afferma, è contro l’interesse nazionale. Perché? Che fretta c’è? L’uomo è rinchiuso in una cella di massima sicurezza nel braccio della morte. Non gli è consentito di uscire neanche cinque minuti al giorno. Che male può fare? Parlare? Scrivere, forse? Di sicuro, anche nell’interpretazione limitata dell’espressione data da Advani, non è forse nell’interesse nazionale non impiccare Afzal? Almeno fino ad ora non c’è un’indagine che riveli la verità e chi ha veramente attaccato il parlamento.

Un’indagine autentica dovrebbe significare molto più di una semplice caccia alle streghe. Bisognerebbe guardare al ruolo svolto dall’intelligence, dalla controinsorgenza e anche dalle agenzie di sicurezza. Delitti come la costruzione di prove e la violazione sfacciata delle norme procedurali sono già diventati assodati nella corte, ma questi sembrano tanto essere solo la punta di un iceberg. Ci troviamo adesso un ufficiale di polizia che ammette—vantandosene—di essere coinvolto nella detenzione illegale e nella tortura di un compatriota. E’ accettabile tutto ciò per il popolo, il governo e il tribunale dell’India?

Data la carriera delle autorità indiane (passato e presente, destra, sinistra e centro) è ingenuo—forse meglio dire utopistico – sperare che i politici di oggi abbiano anche il coraggio di far partire un’inchiesta che scopra, una volta per tutte, la verità dei fatti. Una dose di mantenimento di vigliaccheria è forse nascosta in tutti i governi. Ma speriamo che abbia poco a che fare con la ragionevolezza.

Arundhati Roy è l’autorice di An Ordinary Person’s Guide to Empire, Power Politics, War Talk, The Cost of Living e Il Dio delle piccole cose.

Titolo originale “Breaking the News,

Questions About the Afzal Case”

Copyright 2006 Arundhati Roy.

Arundhati Roy

Fonte: http://www.counterpunch.org/
Link: http://www.counterpunch.org/roy12212006.html
21.12.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FILIPPO FATIGA

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