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QUATTRO SCENARI PER LA FINE DEL SECOLO AMERICANO ENTRO IL 2025

DI ALFRED MCCOY
Tomdispatch

… A volte, per capire esattamente dove sei nel presente, è utile scrutare il passato – in questo caso, in quello che è successo alle precedenti “indispensabili” potenze imperiali; a volte, non è meno utile per scrutare nel futuro. Nel suo post più recente su Tomdispatch, Alfred W. McCoy, recentemente autore di “Sorvegliando l’Impero Americano: gli Stati Uniti, le Filippine, e la Nascita dello Stato di Vigilanza”, fa entrambe le cose. Dopo aver riunito un gruppo mondiale di lavoro di 140 storici per esaminare il destino degli Stati Uniti come potenza imperiale, ci offre un assaggio di quattro possibili (quasi-) futuri americani. Essi si aggiungono ad un monumentale, pur indispensabile sguardo a quanto velocemente la nostra indispensabilità possa sfasciarsi negli anni a venire.
– Tom Engelhardt, editore di Tomdispatch

Un atterraggio morbido per l’America tra 40 anni? Non ci scommettete. Il crollo degli Stati Uniti come superpotenza mondiale potrebbe avvenire molto più velocemente di quanto chiunque immagini. Se Washington sta sognando il 2040 o 2050 come la fine del Secolo Americano, una valutazione più realistica delle tendenze nazionali e mondiali indica che nel 2025, a soli 15 anni da oggi, tutto potrebbe essere finito eccetto lo sbraitare.Nonostante l’alone di onnipotenza che la maggior parte delle potenze proiettano, uno sguardo alla loro storia dovrebbe ricordarci che sono organismi fragili. Così delicata è la loro ecologia di potere che, quando le cose cominciano ad andare davvero male, gli imperi si disfano regolarmente con spietata velocità: appena un anno per il Portogallo, due anni per l’Unione Sovietica, otto anni per la Francia, 11 anni per i Turchi, 17 anni per la Gran Bretagna e, con ogni probabilità, 22 anni per gli Stati Uniti, a partire dall’anno cruciale 2003.

Gli storici futuri probabilmente identificheranno l’avventata invasione dell’Iraq da parte dell’amministrazione Bush avvenuta quell’anno, come l’inizio della rovina d’America. Tuttavia, invece dello spargimento di sangue che ha segnato la fine di tanti imperi del passato, con città in fiamme e civili massacrati, in questo ventunesimo secolo il crollo imperiale potrebbe avvenire abbastanza tranquillamente attraverso i viticci invisibili di un collasso economico o di una guerra informatica.

Ma non ho dubbi: quando infine il dominio mondiale di Washington finirà, ci sarà il doloroso promemoria quotidiano di ciò che tale perdita di potere significa per gli americani in ogni ambito della vita. Come hanno scoperto una mezza dozzina di nazioni europee, il declino imperiale tende ad avere un notevole impatto deprimente sulla società, trascinandosi regolarmente dietro almeno una generazione di privazione economica. Mentre l’economia si raffredda, la temperatura politica aumenta, innescando spesso gravi disordini interni.

I dati economici, educativi e militari disponibili indicano che, quando si tratta di potere mondiale degli Stati Uniti, le tendenze negative si aggregheranno rapidamente nel 2020 e raggiungeranno una massa critica non più tardi del 2030. Il Secolo Americano, proclamato così trionfalmente all’inizio della seconda guerra mondiale, sarà a brandelli e in dissolvenza nel 2025, suo ottavo decennio, e potrebbe diventare storia entro il 2030.

Significativamente, nel 2008, il National Intelligence Council degli USA ha ammesso per la prima volta che il potere mondiale dell’America fosse davvero su una traiettoria in declino. In una delle sue relazioni periodiche futuristiche, Global Trends 2025, il Consiglio ha citato “il trasferimento di ricchezza e del potere economico mondiale in corso, più o meno da ovest a est” e “senza precedenti nella storia moderna”, come il fattore principale del declino della “relativa forza degli Stati Uniti, anche nella vita militare”. Come molti a Washington, tuttavia, il Consiglio degli analisti prevedeva un atterraggio molto lungo e morbido per la supremazia mondiale americana, e nutriva la speranza che in qualche modo gli Stati Uniti avrebbero a lungo “conservato uniche capacità militari … di proiettare la potenza militare mondialmente” per i decenni a venire.

Niente da fare. Sotto le attuali proiezioni, gli Stati Uniti si ritroveranno al secondo posto dietro la
Cina (già la seconda economia più grande del mondo), nella produzione economica intorno al 2026, e dietro l’India entro il 2050. Allo stesso modo, l’innovazione cinese sarà su una traiettoria verso la leadership mondiale nella scienza applicata e nella tecnologia militare tra il 2020 e il 2030, proprio quando l’attuale scorta americana di brillanti scienziati e ingegneri si restringe, senza un’adeguata sostituzione di una generazione più giovane istruita male.

Entro il 2020, secondo i piani attuali, il Pentagono lancerà un passaggio militare dell’Ave Maria
[nel football americano indica un passaggio fatto in disperato tentativo di cambiare le sorti della partita- ndt] per un impero morente. Si avvierà un triplo baldacchino letale di robotica avanzata aerospaziale che rappresenta l’ultima migliore speranza di Washington per mantenere il potere a livello mondiale, nonostante la sua decrescente influenza economica. In quell’anno, però, la rete mondiale di satelliti di comunicazione della Cina, sostenuta dai supercomputer più potenti al mondo, sarà anche pienamente operativa, fornendo a Pechino una piattaforma indipendente per la militarizzazione dello spazio e un potente sistema di comunicazione per missili o attacchi informatici in ogni quadrante del globo.

Fasciata d’arroganza imperiale, come lo erano state prima Whitehall o Quai d’Orsay, la Casa Bianca sembra ancora immaginare che il declino americano sarà graduale, dolce e parziale. Nel suo discorso sullo Stato dell’ Unione del gennaio scorso, il presidente Obama ha offerto la rassicurazione che “non accetto il secondo posto per gli Stati Uniti d’America”. Pochi giorni dopo, il vice presidente Biden ridicolizzò proprio l’idea che “siamo destinati a soddisfare la profezia [storico Paul] di Kennedy che stiamo per diventare una grande nazione che ha fallito perché abbiamo perso il controllo della nostra economia esageratamente estesa”. Allo stesso modo, scrivendo nel numero di novembre della rivista governativa Foreign Affairs, il guru neo-liberista della politica estera Giuseppe Nye allontanava il discorso della crescita economica e militare della Cina, respingendo “metafore fuorvianti di declino organico” e negando che era in corso il deterioramento del potere mondiale degli Stati Uniti.

Gli americani comuni, guardando i loro posti di lavoro all’estero, hanno una visione più realistica di quella dei loro coccolati leader. Un sondaggio nell’ agosto 2010 ha rilevato che il 65% degli americani riteneva che il paese fosse ormai “in uno stato di declino.” Australia e Turchia, tradizionali alleati militari degli Stati Uniti, stanno già utilizzando le loro armi di fabbricazione americana per manovre congiunte aeree e navali con la Cina. I più stretti partner economici dell’America fanno già marcia indietro dall’opposizione di Washington ai tassi di cambio truccati della Cina. Quando il presidente è tornato dal suo tour asiatico del mese scorso, un cupo titolo del New York Times riassumeva il momento in questo modo: ” la visione economica di Obama viene respinta a livello mondiale, Cina, Gran Bretagna e Germania sfidano gli USA, anche i negoziati commerciali con Seul falliscono”.

Vista storicamente, la questione non è se gli Stati Uniti perderanno il potere incontrastato a livello mondiale, ma quanto sarà precipitoso e doloroso il suo declino. Al posto di un pio desiderio di Washington, usiamo la metodologia futuristica del National Intelligence Council per suggerire i quattro scenari realistici e stabilire in che modo, se con un botto o un lamento, il potere mondiale degli Stati Uniti potrebbe raggiungere la sua fine entro il 2020 (insieme a quattro valutazioni di accompagnamento del presente). Gli scenari futuri includono: declino economico, crisi petrolifera, disavventura militare e la Terza Guerra Mondiale. Sebbene queste non siano certo le uniche possibilità quando si tratta di declino americano o addirittura di collasso, esse offrono una finestra verso un futuro imminente.

Declino economico: situazione attuale

Oggi, esistono tre minacce principali per la posizione dominante dell’America nell’economia mondiale: perdita di potere economico grazie a una quota di contrazione del commercio mondiale, il calo d’innovazione tecnologica americana e la fine dello status privilegiato del dollaro come valuta di riserva globale.

Entro il 2008, gli Stati Uniti erano già scesi al terzo posto nelle esportazioni di merci a livello mondiale, con appena l’11% contro il 12% della Cina e il 16% dell’Unione Europea. Non c’è ragione di credere che questa tendenza possa invertirsi.

Allo stesso modo, la leadership americana nel campo dell’innovazione tecnologica è in declino.
Nel 2008, gli Stati Uniti erano ancora il numero due, dietro il Giappone, nelle domande di brevetto in tutto il mondo con 232.000, ma la Cina si avvicinava velocemente a 195.000, grazie ad un impetuoso aumento del 400% dal 2000. Un presagio di un ulteriore calo: nel 2009 gli Stati Uniti toccavano il fondo della classifica tra le 40 nazioni interpellate dalla Information Technology & Innovation Foundation quando si trattava di “cambiamento” in “competitività mondiale basata sull’ innovazione” durante il decennio precedente. Aggiungendo consistenza a queste statistiche, nel mese di ottobre il Ministero della Difesa cinese ha presentato il supercomputer più veloce al mondo, il Tianhe-1A, così potente, ha detto un esperto americano, che “spazza via l’attuale numero 1” in America.

Aggiungete a questo una chiara evidenza che il sistema educativo degli Stati Uniti, quella fonte di futuri scienziati e innovatori, è in calo rispetto ai suoi concorrenti. Dopo essere stato il leader mondiale per decenni in fatto di 25enni e 34enni con titoli universitari, il paese è sprofondato al 12° posto nel 2010. Nel 2010, il World Economic Forum ha classificato gli Stati Uniti ad un mediocre 52esimo posto tra 139 nazioni, nella qualità del suo insegnamento universitario di matematica e scienza. Quasi la metà di tutti gli studenti laureati nel campo delle scienze negli Stati Uniti sono ormai stranieri, la maggior parte dei quali torneranno a casa e non rimarranno qui come sarebbe successo una volta. Entro il 2025, in altre parole, è probabile che gli Stati Uniti si troveranno di fronte ad una grave carenza di scienziati di talento.

Queste tendenze negative incoraggiano sempre più un’ aspra critica verso il ruolo del dollaro come valuta di riserva mondiale. “Altri paesi non sono più disposti a comprare l’idea che gli Stati Uniti conoscano meglio la politica economica”, ha osservato Kenneth S. Rogoff, un ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale. A metà del 2009, con le banche centrali del mondo in possesso di un astronomico 4.000 miliardi di dollari in buoni del Tesoro degli Stati Uniti, il presidente russo Dimitri Medvedev ha insistito che era tempo di porre fine al “sistema unipolare mantenuto artificialmente” basato su “una valuta di riserva forte solo in passato”.

Al tempo stesso, il governatore della banca centrale cinese ha suggerito che il futuro potrebbe trovarsi con una valuta di riserva mondiale “disconnessa dalle singole nazioni” (cioè, il dollaro USA). Prendete queste come indicazioni di un mondo a venire e di un possibile tentativo, come l’economista Michael Hudson ha sostenuto, “per accelerare il fallimento dell’ ordine mondiale finanziario-militare degli Stati Uniti.”

Declino economico: scenario 2020

Dopo anni di crescente deficit alimentato da interminabili guerre in terre lontane, nel 2020, come ci si aspettava, il dollaro perde definitivamente il suo status speciale di valuta di riserva mondiale. Improvvisamente, il costo delle importazioni sale alle stelle. Incapace di pagare il crescente deficit vendendo gli ormai svalutati buoni del Tesoro all’estero, Washington è costretta a tagliare il suo gonfio bilancio militare. Sotto pressione in patria e all’estero, Washington tira lentamente a casa le forze statunitensi da centinaia di basi oltremare per un perimetro continentale. Ora, però, è troppo tardi.

Di fronte ad una superpotenza in disfacimento, incapace di pagare le bollette, Cina, India, Iran, Russia e altre potenze, grandi e regionali, provocatoriamente sfidano il dominio degli Stati Uniti sugli oceani, nello spazio e il cyberspazio. Nel frattempo, tra i prezzi alti, la disoccupazione in costante aumento e una continua diminuzione dei salari reali, le divisioni interne si allargano in violenti scontri e dibattiti che dividono spesso su questioni irrilevanti. In sella a una marea politica di disillusione e disperazione, un patriota di estrema destra conquista la presidenza con scrosciante retorica, chiedendo rispetto per l’autorità americana e minacciando ritorsioni militari o di rappresaglia economica. Il mondo non pone quasi alcuna attenzione mentre il Secolo Americano finisce nel silenzio.

Crisi petrolifera: situazione attuale

Una vittima del decrescente potere economico americano è stato il blocco di forniture di petrolio a livello mondiale. Accelerando nella corsia di sorpasso dall’economia americana ad alto consumo di gas, la Cina è diventata il primo consumatore mondiale di energia di questa estate, una posizione che gli Stati Uniti avevano tenuto per oltre un secolo. Michael Klare, specialista in energia, ha sostenuto che questo cambiamento significa che la Cina “farà da battistrada nel plasmare il nostro futuro globale”.

Entro il 2025, l’Iran e la Russia controlleranno quasi la metà della fornitura mondiale di gas naturale, che potenzialmente daranno loro enorme influenza sull’Europa affamata di energia. Aggiungiamo le riserve di petrolio al mix e, come il National Intelligence Council ha messo in guardia, in soli 15 anni due paesi, Russia e Iran, potrebbero “emergere come i perni dell’energia.”

Nonostante la notevole ingegnosità, le potenze petrolifere stanno ora prosciugando i grandi bacini delle riserve di petrolio che sono soggetti a facile estrazione a buon mercato. La vera lezione del disastro petrolifero del Deepwater Horizon nel Golfo del Messico non sono stati gli sciatti standard di sicurezza della BP, ma il semplice fatto che tutti hanno visto sullo “stillicidio in diretta”: uno dei giganti dell’energia non aveva altra scelta se non quella di recuperare ciò che Klare chiama “duro petrolio” chilometri sotto la superficie dell’oceano, per mantenere a galla i suoi profitti.

Ad aggravare il problema, i cinesi e gli indiani sono improvvisamente diventati pesanti consumatori di energia. Anche se le scorte di combustibile fossile dovessero rimanere costanti (ciò non verrà), la domanda, e quindi i costi, quasi certamente aumenteranno – e fortemente. Altri paesi sviluppati stanno affrontando questa minaccia in modo aggressivo, tuffandosi in programmi sperimentali per sviluppare fonti energetiche alternative. Gli Stati Uniti hanno intrapreso un percorso diverso, facendo troppo poco per sviluppare fonti alternative, mentre, negli ultimi tre decenni, hanno raddoppiato la loro dipendenza dalle importazioni straniere di petrolio. Tra il 1973 e il 2007, le importazioni di petrolio sono aumentate dal 36% dell’energia consumata negli Stati Uniti al 66%.

Crisi petrolifera: Scenario 2025

Gli Stati Uniti rimangono così dipendenti dal petrolio straniero che alcuni sviluppi negativi del mercato energetico mondiale nel 2025 provocheranno uno shock petrolifero. In confronto, questo fa sembrare un’inezia la crisi petrolifera del 1973 (quando i prezzi quadruplicarono in pochi mesi). Irritati per il crollo del dollaro, i ministri dell’Opec riuniti a Riad, chiedono i futuri pagamenti di energia in un “paniere” di Yen, Yuan, e Euro. Questo fa solo aumentare ulteriormente il costo delle importazioni di petrolio negli Stati Uniti. Al tempo stesso, durante la firma di una nuova serie di contratti di fornitura a lungo termine con la Cina, i sauditi stabilizzano le proprie riserve di valuta estera passando allo Yuan. Nel frattempo, la Cina riversa innumerevoli miliardi nella costruzione di un massiccio gasdotto trans-asiatico e nel finanziamento per lo sfruttamento dell’Iran del più grande giacimento di gas naturale del mondo a South Pars, nel Golfo Persico.

Preoccupata che la Marina degli Stati Uniti potrebbe non essere più in grado di proteggere le petroliere in viaggio dal Golfo Persico per rifornire di combustibile l’ Asia orientale, una coalizione di Teheran, Riyadh e Abu Dhabi forma una inaspettata nuova alleanza del Golfo e afferma che la nuova flotta di veloci aerei della Cina d’ora in poi pattuglierà il Golfo Persico da una base sul Golfo di Oman. Sotto forti pressioni economiche, Londra accetta di revocare il leasing degli Stati Uniti sulla sua base insulare Diego Garcia nell’Oceano Indiano, mentre Canberra, pressata dai cinesi, informa Washington che la Settima Flotta non ha più la possibilità di usare Fremantle come porto di partenza, sfrattando così la Marina americana dall’Oceano Indiano.

Con pochi tratti di penna e alcuni annunci laconici, la “dottrina Carter“, con la quale il potere militare degli Stati Uniti voleva proteggere eternamente il Golfo Persico, nel 2025 viene messa a riposo. Tutti gli elementi che hanno assicurato a lungo agli Stati Uniti le forniture senza limiti di petrolio a basso costo da quella regione – logistica, tassi di cambio e potere navale – evaporano. A questo punto, gli Stati Uniti possono solo coprire un insignificante 12% del proprio fabbisogno energetico dalla sua nascente industria per l’ energia alternativa, e restano dipendenti dal petrolio importato per metà del loro consumo.

La crisi petrolifera che ne segue colpisce il paese come un uragano, mandando i prezzi a livelli sorprendenti, rendendo il viaggiare incredibilmente costoso, collocando i salari reali (che erano da tempo in declino) in caduta libera e rendendo non-concorrenziale tutto ciò che rimane dell’esportazione americana. Con i termostati in caduta, i prezzi del gas che arrivano alle stelle e i dollari che fuggono all’estero in cambio di petrolio costoso, l’economia americana è paralizzata. Con alleanze a lungo logorate giunte alla fine e la pressione fiscale che sale, le forze militari statunitensi finalmente iniziano un ritiro organizzato dalle loro basi d’oltremare.

In pochi anni, gli Stati Uniti sono ragionevolmente in bancarotta e il tempo stringe verso la mezzanotte del Secolo Americano.

Disavventure Militari: situazione attuale

Inaspettatamente, mentre il loro potere diminuisce, spesso gli imperi si immergono in disavventure militari mal consigliate. Questo fenomeno è conosciuto tra gli storici dell’impero come “micro-militarismo”, e sembra coinvolgere psicologicamente sforzi compensativi di mettere a tacere il pungolo del ritiro o della sconfitta, occupando nuovi territori, anche se brevemente e catastroficamente. Queste operazioni, irrazionali anche dal punto di vista imperiale, spesso producono spese emorragiche o sconfitte umilianti che accelerano solo la perdita di potere.

Imperi in difficoltà, con l’ età soffrono di un’arroganza che li spinge a immergersi sempre più nelle disavventure militari, fino a che la sconfitta diventa un fiasco. Nel 413 a.C., una indebolita Atene mandò 200 navi al massacro in Sicilia. Nel 1921, una morente Spagna imperiale inviò 20.000 soldati ad essere sterminati da guerriglieri berberi in Marocco. Nel 1956, un Impero Britannico in disfacimento distrusse il suo prestigio attaccando Suez. E nel 2001 e nel 2003, gli Stati Uniti occuparono l’Afghanistan e invasero l’Iraq. Con l’arroganza che contraddistingue gli imperi nel corso dei millenni, Washington ha aumentato le sue truppe in Afghanistan a 100.000, ha ampliato la guerra in Pakistan ed esteso il suo impegno fino al 2014 e oltre, realizzando disastri grandi e piccoli in questi cimiteri di armi nucleari imperiali, infestati di guerriglia.

Disavventure Militari: Scenario 2014

Così irrazionale, così imprevedibile è il “micro-militarismo” i cui scenari apparentemente fantasiosi sono ben presto superati dagli eventi reali. Con le forze militari USA che si allungano sottili dalla Somalia alle Filippine e le crescenti tensioni in Israele, Iran e Corea, le possibili combinazioni per una disastrosa crisi militare all’estero sono molteplici.

E’ mezza-estate del 2014 e una guarnigione americana estratta a sorte nell’assediata Kandahar nel sud dell’Afghanistan è improvvisamente, inaspettatamente invasa dai guerriglieri talebani, mentre gli aerei americani sono tenuti a terra da un’ accecante tempesta di sabbia. Ci sono state pesanti perdite e per ritorsione, un imbarazzato comandante americano perde bombardieri B-1 e caccia F-16 per distruggere interi quartieri cittadini che si ritiene siano sotto il controllo dei talebani, mentre cannonieri AC-130U “Spooky” rastrellano le macerie con il devastante fuoco del cannone.

Subito, i mullah predicano la jihad dalle moschee in tutta la regione, e unità dell’esercito afghano, a lungo addestrate dalle forze americane per cambiare le sorti della guerra, cominciano a disertare in massa. Combattenti talebani lanciano allora una serie di colpi notevolmente sofisticati diretti a guarnigioni degli Stati Uniti in tutto il paese, facendo innalzare il numero delle vittime americane. In una reminescenza di scene che ricordano la Saigon nel 1975, gli elicotteri salvano soldati e civili americani dai tetti di Kabul e Kandahar.

Nel frattempo, in collera con l’interminabile, decennale stallo sulla Palestina, i leader dell’OPEC impongono un nuovo embargo di petrolio agli Stati Uniti per protestare contro il suo sostegno ad Israele, così come l’uccisione di un numero imprecisato di civili musulmani nelle sue guerre in corso in tutto il Medio Oriente. Con i prezzi del gas che salgono e le raffinerie a secco, Washington fa la sua mossa, inviando Forze Operative Speciali per impadronirsi dei porti petroliferi nel Golfo Persico. Questo, a sua volta, scatena una valanga di attacchi suicidi e il sabotaggio di oleodotti e pozzi petroliferi. Mentre nuvole nere si rigonfiano verso il cielo e i diplomatici si sollevano alle Nazioni Unite per denunciare amaramente le azioni americane, i giornalisti di tutto il mondo si spingono indietro nella storia per marchiare questo come “Suez d’America”, un riferimento che racconta il fiasco del 1956 che segnò la fine dell’impero britannico.

Terza Guerra Mondiale: situazione attuale

Nell’estate del 2010, le tensioni militari tra gli USA e la Cina hanno cominciato a salire nel Pacifico occidentale, una volta considerato un “lago” americano. Persino un anno prima nessuno avrebbe potuto prevedere un tale sviluppo. Allo stesso modo in cui Washington giocò sulla sua alleanza con Londra per appropriarsi di gran parte del potere mondiale della Gran Bretagna dopo la seconda guerra mondiale, così la Cina sta usando i profitti delle sue esportazione commerciali con gli Stati Uniti per finanziare ciò che rischia di diventare una sfida militare al dominio americano sulle vie d’acqua dell’Asia e del Pacifico.

Con le sue risorse in crescita, Pechino reclama un vasto arco marittimo, dalla Corea all’Indonesia, a lungo dominato dalla Marina americana. In agosto, dopo che Washington ha espresso un “interesse nazionale” nel Mar Cinese Meridionale e vi ha condotto esercitazioni navali per rafforzare questa rivendicazione, il Global Times ufficiale di Pechino ha risposto con rabbia, dicendo: “la sfida di wrestling USA-Cina sulla questione del Mar Cinese Meridionale ha sollevato la posta in gioco per decidere chi sarà il vero futuro dominatore del pianeta”.

In mezzo a crescenti tensioni, il Pentagono ha riferito che Pechino ora detiene “la capacità di attaccare … portaerei [americane] nel Pacifico occidentale” e colpire “forze nucleari in tutti … gli Stati Uniti continentali”. Sviluppando “capacità offensive nucleari, spaziali e informatiche”, la Cina sembra determinata a competere per il dominio di quello che il Pentagono chiama “lo spettro informativo in tutte le dimensioni della moderna battaglia spaziale”. Con il continuo sviluppo dei potenti razzi booster Lunga Marcia V, come anche con il lancio di due satelliti nel gennaio 2010 e un altro a luglio, per un totale di cinque, Pechino ha segnalato che il paese stava facendo rapidi passi verso una rete “indipendente” di 35 satelliti per il posizionamento mondiale, comunicazioni, e capacità di ricognizione entro il 2020.

Per controllare la Cina ed estendere la sua posizione militare a livello mondiale, Washington è intenzionata a costruire una nuova rete digitale di robotica aerospaziale, capacità avanzate di guerra cibernetica e sorveglianza elettronica. I pianificatori militari aspettano questo sistema integrato per avvolgere la terra in una griglia cibernetica capace di accecare interi eserciti sul campo di battaglia o di estrarre un singolo terrorista da un campo o favela. Entro il 2020, se tutto va secondo i piani, il Pentagono avvierà uno scudo a tre livelli di droni spaziali – che dalla stratosfera raggiunge l’esosfera, armato di agili missili, collegati da un sistema modulare satellitare flessibile, e gestiti attraverso la totale sorveglianza telescopica.

Lo scorso aprile il Pentagono ha fatto storia. Ha esteso operazioni con droni nell’ esosfera, lanciando tranquillamente la navetta spaziale X-37B senza equipaggio in un’ orbita bassa di 255 miglia sopra il pianeta. L’ X-37B è il primo di una nuova generazione di veicoli senza pilota che segnerà la piena militarizzazione dello spazio, creando un’ arena di guerra futura, diversa da tutto ciò che l’ha preceduta.

World War III: Scenario 2025

La tecnologia di spazio e di guerra informatica è così nuova e non sperimentata che anche i più stravaganti scenari potrebbe presto essere sostituiti da una realtà ancora difficile da concepire. Se ci limitiamo a impiegare i tipi di scenari che la stessa Forza Aerea ha usato per il suo Future Capabilities Game del 2009, tuttavia, possiamo ottenere “una miglior comprensione di come l’aria, lo spazio e il cyberspazio si sovrappongono in guerra”, e così iniziamo ad immaginare come potrebbe essere combattuta realmente la prossima guerra mondiale.

Sono le 23,59 del Giovedi del Ringraziamento del 2025. Mentre gli acquirenti informatici battono i portali del Best Buy per forti sconti sugli ultimi elettrodomestici cinesi, ai tecnici della Forza Aerea americana al Telescopio di Sorveglianza Spaziale (SST) di Maui va di traverso il loro caffè quando i loro schermi panoramici improvvisamente segnalano il nero. A migliaia di chilometri di distanza, al centro operativo della CyberCommand degli Stati Uniti in Texas, i soldati informatici subito individuano codici pericolosi che, sebbene anonimi, mostrano le impronte digitali distintive dell’Esercito di Liberazione del Popolo Cinese.

Il primo colpo chiaro è quello che nessuno aveva predetto. Un “malware” cinese prende il controllo della robotica a bordo di uno sconosciuto drone “Vulture” americano, alimentato ad energia solare, mentre vola a 70.000 metri sullo stretto di Tsushima tra la Corea e il Giappone. Improvvisamente spara tutti i caricatori missilistici situati sotto la sua enorme apertura alare di 400 piedi, inviando dozzine di missili letali che precipitano senza alcun danno nel Mar Giallo; effettivamente disarmante questa formidabile arma.

Determinata a combattere il fuoco con il fuoco, la Casa Bianca autorizza un attacco di rappresaglia. Fiduciosi che il proprio sistema satellitare F-6 “frazionato, in volo libero” sia impenetrabile, i comandanti della Forza Aerea in California trasmettono codici robotici alla flottiglia di droni spaziali X-37B in orbita 250 miglia sopra la Terra, ordinando loro di lanciare i loro missili “Triple Terminator” ai 35 satelliti cinesi. Risposta zero. Quasi in panico, la Forza Aerea lancia il suo Falcon Hypersonic Cruise Vehicle in un arco di 100 miglia sopra l’Oceano Pacifico e poi, solo 20 minuti più tardi, invia i codici informatici per sparare missili contro sette satelliti cinesi in orbite vicine. I codici di lancio sono improvvisamente inoperanti.

Mentre il virus cinese si diffonde in maniera incontrollata attraverso l’architettura satellitare F-6 e mentre i supercomputer americani di seconda categoria non riescono a rompere il codice diabolicamente complesso del malware, i segnali fondamentali GPS per la navigazione di navi e aerei americani in tutto il mondo vengono compromessi. Flotte di portaerei cominciano a girare in tondo in mezzo al Pacifico. Squadriglie di caccia sono a terra. Aerei Reaper Drones volano senza meta verso l’orizzonte, schiantandosi quando il loro combustibile è esaurito. Improvvisamente, gli Stati Uniti perdono ciò che la Forza Aerea americana ha a lungo chiamato “l’elevato fondamento ultimo”: lo spazio. In poche ore, la potenza militare che aveva dominato il mondo per quasi un secolo è stata sconfitta nella Terza Guerra Mondiale, senza una singola vittima umana.

Un nuovo ordine mondiale?

Anche se gli eventi futuri risultano più noiosi di quanto suggeriscono questi quattro scenari, ogni direzione significativa punta verso un declino del potere mondiale americano entro il 2025 in maniera molto più evidente di quanto Washington sembra ormai immaginare.

Mentre gli alleati in tutto il mondo cominciano a ridefinire le loro politiche per prendere atto del crescente potere asiatico, il costo di mantenimento di 800 o più basi militari all’estero si limiterà a diventare insostenibile, costringendo infine ad un ritiro di scena una Washington ancora riluttante. Con gli Stati Uniti e la Cina in una gara per armare lo spazio e il cyberspazio, le tensioni tra le due potenze sono destinate a crescere, rendendo il conflitto militare entro il 2025 a dir poco fattibile, se difficilmente garantito.

A complicare le cose ancora di più, le tendenze economiche, militari e tecnologiche di cui sopra non opereranno in ordinato isolamento. Come è successo ad altri imperi europei dopo la seconda guerra mondiale, tali forze negative si dimostreranno indubbiamente sinergiche. Si uniranno in modo completamente inaspettato, creeranno crisi per le quali gli americani sono completamente impreparati e minacceranno di far girare l’economia in una improvvisa spirale verso il basso, consegnando questo paese ad una generazione o più di miseria economica.

Mentre il potere americano indietreggia, il passato offre una gamma di possibilità per un futuro ordine mondiale. Ad un’estremità di questo spettro, per quanto improbabile, non può essere escluso il sorgere di una nuova superpotenza mondiale. Eppure, sia la Cina che la Russia svelano culture auto-referenziali, oscuri linguaggi non-romani, strategie difensive regionali e sistemi giuridici sottosviluppati, negandosi gli strumenti chiave per il dominio mondiale. Al momento quindi, nessuna singola superpotenza sembra essere all’orizzonte per rimpiazzare gli Stati Uniti.

In una buia versione distopica del nostro futuro a livello mondiale, una coalizione di imprese transnazionali, forze multilaterali come la NATO e una elite finanziaria internazionale, concettualmente, potrebbero creare un singolo, forse instabile nesso sovra-nazionale che renderebbe non affatto insensato parlare di imperi nazionali. Mentre le società denazionalizzate e le élite multinazionali probabilmente governerebbero un simile mondo sicuro da enclavi urbane, le moltitudini verrebbero relegate in aree urbane e rurali abbandonate.

In Planet of Slums, Mike Davis offre almeno una visione parziale di un tale mondo dal basso verso l’alto. Egli sostiene che il miliardo di persone già impacchettate in fetide baraccopoli stile favela in tutto il mondo (che saliranno a due miliardi entro il 2030) costituiranno “le selvagge, città fallite del Terzo Mondo … il campo di battaglia proprio del ventunesimo secolo”. Mentre l’oscurità si deposita sopra qualche futura super-favela, “l’ impero può distribuire tecnologie orwelliane di repressione” quale “gli elicotteri-calabrone d’assalto [che] braccano enigmatici nemici nelle strette strade dei bassifondi … Ogni mattina, la baraccopoli risponde con attentati suicidi ed eloquenti esplosioni”.

A un punto medio sullo spettro dei futuri possibili, una nuova oligopolia mondiale potrebbe emergere tra il 2020 e il 2040, con le potenze emergenti di Cina, Russia, India e Brasile in collaborazione con i poteri retrocedenti di Gran Bretagna, Germania, Giappone e Stati Uniti, per imporre un dominio ad hoc mondiale, simile alla libera alleanza degli imperi europei che ha governato circa la metà dell’ umanità del 1900.

Un’altra possibilità: l’ascesa di potenze egemoni regionali in un ritorno a qualcosa che rispecchi il sistema internazionale che operava prima che gli imperi moderni prendessero forma. In questo ordine mondiale neo-westfaliano, con le sue infinite prospettive di micro-violenza e lo sfruttamento incontrollato, ciascun egemone dominerebbe la sua regione immediata – Brasilia in Sud America, Washington in America del Nord, Pretoria in Sud Africa, e così via. Lo spazio, il cyberspazio, e le profondità marine, tolti al controllo dell’ ex “poliziotto” planetario, gli Stati Uniti, potrebbero addirittura diventare un nuovo bene comune mondiale, controllato attraverso un esteso Consiglio di sicurezza dell’ONU o di qualche organismo ad hoc.

Tutti questi scenari estrapolano le tendenze attuali verso il futuro partendo dal presupposto che gli americani, accecati dall’arroganza di decenni di potere storicamente senza precedenti, non possono o non adotteranno misure per gestire l’erosione incontrollata della loro posizione a livello mondiale.

Se il declino dell’America è in realtà su una traiettoria di 22 anni, dal 2003 al 2025, allora abbiamo già sprecato la maggior parte del primo decennio di questo declino con le guerre che ci hanno distratto da problemi a lungo termine e, come acqua gettata sulla sabbia del deserto, sprecati miliardi di dollari disperatamente necessari.

Se restano solo 15 anni, le probabilità di buttarli via tutti rimane ancora elevata. Il Congresso e il Presidente sono ora in stallo, il sistema americano è invaso da denaro aziendale destinato a bloccare i lavori; e vi è poca speranza che qualsiasi questione di particolare rilevanza, tra cui le nostre guerre, il nostro stato sicurezza nazionale gonfiato, il nostro debole sistema d’ istruzione e le nostre forniture energetiche antiquate, sarà affrontata con serietà sufficiente a garantire una sorta di “atterraggio morbido” che possa massimizzare il ruolo del nostro paese e la prosperità in un mondo che cambia.

Gli imperi europei sono andati e l’impero americano sta andando. Sembra sempre più improbabile che gli Stati Uniti avranno un qualche successo simile a quello della Gran Bretagna nella definizione di un ordine mondiale futuro che protegga i suoi interessi, conservi la sua prosperità, e porti l’impronta dei suoi valori migliori.

Alfred W.McCoy è professore di Storia presso l’Università del Wisconsin-Madison. Un regolare del Tomdispatch, è autore del recente “Policing America’s Empire: The United States, The Philippines, and the Rise of Survelliance State” (2009). Egli è anche presidente del progetto “Imperi in Transizione“, un gruppo di lavoro mondiale di 140 storici provenienti da università di quattro continenti. I risultati delle loro prime riunioni a Madison, Sydney e Manila sono stati pubblicati con il titolo “Colonial Crucible: Empire in the Making of the Modern American State” e il risultato del loro ultimo congresso apparirà il prossimo anno col titolo “Endless Empire: Europa Eclipse, Ascent America, e il declino del potere globale degli Stati Uniti”.

Titolo originale: “Taking Down America”

Fonte: http://www.tomdispatch.com
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05.12.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di C. DI LORENZO

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