Postato da onilut
Una nuova poetica fende gli orizzonti
letterari. Anzi, dovrebbe farlo. Dal punto di vista stilistico, in letteratura,
oggi, in Italia, siamo giunti alla tabula rasa peggio conformata della
storia della nostrana. Nel corso degli ultimi decenni abbiamo – e
con abbiamo si intende hanno – sintetizzato un’arte sacra come la
letteratura tra le pareti algide del celebre quadrato di Floch. Un orrore,
a nostro avviso. Di che si tratta? Il quadrato di Floch è un modello
creato dall’omonimo semiologo, impiegato perlopiù in ambito pubblicitario,
dove si dimostra particolarmente efficace. Ne daremo qualche ragguaglio.
Questo modello esprime quattro valorizzazioni
comportamentali (pratica, utopica, critica, ludico-estetica) all’interno
delle quali deve necessariamente rientrare il messaggio che si vuole
trasmettere: chiaramente ci si può sbilanciare verso una o più valorizzazioni,
ma è sempre bene integrarle tutte per rendere il proprio comunicato
più efficace. Si immagini una croce che divida un foglio in quattro
riquadri. Se per esempio viene mostrata un’automobile percorrere una
strada di montagna lontana da ogni forma di civilizzazione, è chiaro
che siamo all’interno dell’ambito utopico (il giovane uomo alla
ricerca di sé stesso, lontano, molto lontano!); ma se allo stesso tempo
quella stessa autovettura s’arresta a tre millimetri da un tenero
procione che attraversa la strada, è evidente che si scivola in quello
pratico (com’è sicura questa macchina). Se poi la stessa automobile
rasenta precipizi ai duecento senza cadere e ingoia tornanti come fosse
una biscia, ci si ritrova ovviamente nel riquadro ludico-estetico, ecc.
Bene: la logica semiotica che sottende
tutto l’ambito pubblicitario, la vena narratologica insita nelle masturbatorie
vivisezioni dei grandi classici del passato per trovarne un filo conduttore
riassumibile in equazioni e diagrammi, insomma tutto ciò che la sedicente
“scienza” della critica ha saputo sfornare negli ultimi cinque
decenni, signori, esonda nella paranoica perpetrazione di modelli base,
matrici, se vogliamo, d’una letteratura che chiaramente è finita
per assomigliare sempre più ad una replicata etichetta del Tavernello.
Non si scrivono più i romanzi per ispirazione, ma secondo un calcolato
algoritmo (come quelli proposti dalle sempre più effervescenti scuole
di scrittura creativa).
L’ultima grande rivoluzione letteraria
è stata l’aberrazione della letteratura, quindi il suo definitivo
crollo. I semiologi stessi hanno coniato un termine che potrebbe calzare
bene a questo fenomeno: semiosi illimitata. La si cita in altre occorrenze,
solitamente, ma noi la useremo a nostro favore. Insomma, è chiaro come
in questo modo la letteratura non diventi altro se non un calderone
dove poter semplicemente “raccontare storie” – puro e sterile
entertainment – o al meglio permettere una qualche riflessione sullo
stato politico, civile, del nostro paese o del mondo (trascurando com’è
s’è fatto, la Parola, quindi la sua insita Bellezza).
Ma sappiamo bene che la Nostra è tutt’altro
che questo. O almeno dovrebbe. In breve le parole sono – e qui s’attinge
a piene mani dagli analisti di cui sopra – suoni, insiemi di suoni,
ai quali per convenzione sociale s’è dato un senso riconosciuto dalla
collettività. Chiaramente la storia della raffinazione d’una parola
richiederebbe trattati e molti già ne sono stati scritti, anzi abbondano.
Ma qui si vuol essere volutamente generici, quindi diremo che la parola,
per l’utilizzo che se ne dovrebbe fare in letteratura, e sottolineo
“dovrebbe”, è “evocazione” (del tutto assente come concetto
nel quadrato di Floch).
Dicendo “evocazione” se ne vuol
cogliere il significato propriamente trascendentale, quindi senza interpretazioni.
Non vogliamo lasciare spazio alle interpretazioni, almeno non in questo
ambito. La Parola occorre che sia un Mantra, che abbia quindi particolari
effetti sia a livello mentale che a livello fisico. La Parola, nel suo
potere arcano e purtroppo oggi dimenticato, ha la facoltà di sgretolare
una roccia. Pare strano a dirsi e pure incredibile. Il Suono è la più
potente forza esistente e allo stesso tempo l’udito è il primo dei
nostri cinque sensi a metterci in contatto con il mondo (il feto nel
ventre materno sente suoni provenire dall’esterno).
Ma qui si vuole sostenere il progressivo
tentativo – ahinoi, riuscitissimo – di snaturare l’essere umano
mediante il distacco dai propri sensi, dal proprio corpo, dai propri
istinti primari. Non ci sorprenderemmo a immaginare che un giorno, là
nel futuro, potrà esistere l’uomo senza fame. Chiaramente questo
tentativo ha uno scopo ben preciso: dimenticarsi del proprio retaggio
sensoriale e, permettete, sensuale, svuota d’ogni volontà l’egotico
essere umano: ciò ovviamente non per illuminarlo, ma per renderlo il
perfetto involucro da riempire, anzi rimpinzare, con ciò che più piace
a chi di dovere. Ma nemmeno qui s’è giunti alla fine della catena,
e forse nemmeno ci arriveremo: perché farlo? Una corsa alla schiavizzazione,
al depredaggio delle masse per il proprio arricchimento favorirebbe
non solo il proprio tornaconto personale (isole del pacifico in cui
rifugiarsi quel giorno in cui ogni cosa crollerà, latifondi fortificati
in Argentina, corsa agli armamenti), ma anche e soprattutto un indebolimento
conseguente di tutta quella porzione d’umanità “superflua”,
quella che se non esistesse, per dirla coi Padroni/ladroni, sarebbe
meglio.
Il mondo può tranquillamente reggersi
col solo venti per cento degli esseri umani oggi viventi, e chiaramente
si tratta della classe dirigente (e, beninteso, la classe dirigente,
quella vera, non si vede in tv, non si legge sui giornali). Occorre
quindi tornare al discorso letterario, dopo quella che certo non era
una divagazione. Denutrire gli appetiti estetici, vibrazionali, corporei
e sensoriali delle masse anche mediante una pessima letteratura (e qui
si sta parlando anche e soprattutto dei grandi “Vati” contemporanei)
contribuirebbe a questo progetto di addomesticamento. Istruire i giovani
studenti con le menzogne della “scrittura creativa”, della “narratologia”,
inoltre, favorisce l’indebolimento critico della classe intellettuale,
che non a caso si dimostra sciatta e impreparata la maggior parte delle
volte, quando grida allo scandalo di fronte a una semplice indagine
più approfondita della nostra realtà.
Questo meccanismo, sia chiaro, è stato
iniziato da qualcuno, ma ora si nutre da sé, con qualche lieve colpetto
correttivo dato ogni tanto dal grande macchinista. Facciamo un esempio
in tal proposito: se negli anni Settanta del Novecento qualcuno decise
di mettere in moto questa logica, risulta evidente che il ventenne istruito
in quel meccanismo a posteriori si farà complice incosciente del meccanismo
stesso. L’intellettuale cresciuto a pane e Holden non sarà mai in
grado di riconoscere la bellezza d’un manoscritto estraneo alla propria
ortodossia. La macchina geniale che si autoalimenta.
Insomma, come anticipato nella prima
riga di questo breve scritto, “una nuova poetica fende gli orizzonti”.
Una letteratura che sia sensuale, nel senso più stretto del termine,
quindi anche caotica seppur armonica, a suo modo, contribuirebbe – a
nostro avviso – ad una maggiore presa di coscienza delle masse. Una
letteratura che ponga in secondo piano il “contenuto” favorendo
lo stile, la vibrazione, l’insieme di suoni, poiché il contenuto
non fa che autoconfermare noi stessi a noi stessi e al mondo che ci
è stato messo davanti agli occhi. Una musica letteraria, se vogliamo,
uno sconquasso eterodosso d’ogni posa, d’ogni mostra. Vibrare il
caos con il caso, descrivere i sensi con i sensi. Descrivere la fame
facendovi digiunare.
Chi sosterrà che il “contenuto”,
cioè la descrizione/trascrizione iconica di un fatto o un evento per
rappresentarne il corrispettivo nella realtà, chi sosterrà che quel
“contenuto” è necessario e che la sua mancanza sancirebbe
l’estraneità dell’Autore alle faccende politiche, civili, così denigrandolo,
bene, a quelli noi rispondiamo che invece è tutto l’opposto: bandire
un contenuto (che non farebbe altro che replicarsi) in favore d’un
risveglio, o d’un tentativo quantomeno, dei sensi, affinché l’uomo
torni ad essere uomo e non un pallido simulacro di sé stesso, a noi
pare, e ci piace, la più grande scelta politica che in letteratura
possa compiersi. Non diciamo alle masse di risvegliarsi, diamo loro
ceffoni per scuoterli dal sortilegio. Non descriviamo loro la fame a
parole. Facciamoli digiunare.