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DELLA MATERIA LETTERARIA E DEI SUOI RISVOLTI POLITICO-SPIRITUALI

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A cura di supervice
Il 3 Agosto 2011
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Postato da onilut

Una nuova poetica fende gli orizzonti

letterari. Anzi, dovrebbe farlo. Dal punto di vista stilistico, in letteratura,

oggi, in Italia, siamo giunti alla tabula rasa peggio conformata della

storia della nostrana. Nel corso degli ultimi decenni abbiamo – e

con abbiamo si intende hanno – sintetizzato un’arte sacra come la

letteratura tra le pareti algide del celebre quadrato di Floch. Un orrore,

a nostro avviso. Di che si tratta? Il quadrato di Floch è un modello

creato dall’omonimo semiologo, impiegato perlopiù in ambito pubblicitario,

dove si dimostra particolarmente efficace. Ne daremo qualche ragguaglio.
Questo modello esprime quattro valorizzazioni

comportamentali (pratica, utopica, critica, ludico-estetica) all’interno

delle quali deve necessariamente rientrare il messaggio che si vuole

trasmettere: chiaramente ci si può sbilanciare verso una o più valorizzazioni,

ma è sempre bene integrarle tutte per rendere il proprio comunicato

più efficace. Si immagini una croce che divida un foglio in quattro

riquadri. Se per esempio viene mostrata un’automobile percorrere una

strada di montagna lontana da ogni forma di civilizzazione, è chiaro

che siamo all’interno dell’ambito utopico (il giovane uomo alla

ricerca di sé stesso, lontano, molto lontano!); ma se allo stesso tempo

quella stessa autovettura s’arresta a tre millimetri da un tenero

procione che attraversa la strada, è evidente che si scivola in quello

pratico (com’è sicura questa macchina). Se poi la stessa automobile

rasenta precipizi ai duecento senza cadere e ingoia tornanti come fosse

una biscia, ci si ritrova ovviamente nel riquadro ludico-estetico, ecc.

Bene: la logica semiotica che sottende

tutto l’ambito pubblicitario, la vena narratologica insita nelle masturbatorie

vivisezioni dei grandi classici del passato per trovarne un filo conduttore

riassumibile in equazioni e diagrammi, insomma tutto ciò che la sedicente

“scienza” della critica ha saputo sfornare negli ultimi cinque

decenni, signori, esonda nella paranoica perpetrazione di modelli base,

matrici, se vogliamo, d’una letteratura che chiaramente è finita

per assomigliare sempre più ad una replicata etichetta del Tavernello.

Non si scrivono più i romanzi per ispirazione, ma secondo un calcolato

algoritmo (come quelli proposti dalle sempre più effervescenti scuole

di scrittura creativa).

L’ultima grande rivoluzione letteraria

è stata l’aberrazione della letteratura, quindi il suo definitivo

crollo. I semiologi stessi hanno coniato un termine che potrebbe calzare

bene a questo fenomeno: semiosi illimitata. La si cita in altre occorrenze,

solitamente, ma noi la useremo a nostro favore. Insomma, è chiaro come

in questo modo la letteratura non diventi altro se non un calderone

dove poter semplicemente “raccontare storie” – puro e sterile

entertainment – o al meglio permettere una qualche riflessione sullo

stato politico, civile, del nostro paese o del mondo (trascurando com’è

s’è fatto, la Parola, quindi la sua insita Bellezza).

Ma sappiamo bene che la Nostra è tutt’altro

che questo. O almeno dovrebbe. In breve le parole sono – e qui s’attinge

a piene mani dagli analisti di cui sopra – suoni, insiemi di suoni,

ai quali per convenzione sociale s’è dato un senso riconosciuto dalla

collettività. Chiaramente la storia della raffinazione d’una parola

richiederebbe trattati e molti già ne sono stati scritti, anzi abbondano.

Ma qui si vuol essere volutamente generici, quindi diremo che la parola,

per l’utilizzo che se ne dovrebbe fare in letteratura, e sottolineo

“dovrebbe”, è “evocazione” (del tutto assente come concetto

nel quadrato di Floch).

Dicendo “evocazione” se ne vuol

cogliere il significato propriamente trascendentale, quindi senza interpretazioni.

Non vogliamo lasciare spazio alle interpretazioni, almeno non in questo

ambito. La Parola occorre che sia un Mantra, che abbia quindi particolari

effetti sia a livello mentale che a livello fisico. La Parola, nel suo

potere arcano e purtroppo oggi dimenticato, ha la facoltà di sgretolare

una roccia. Pare strano a dirsi e pure incredibile. Il Suono è la più

potente forza esistente e allo stesso tempo l’udito è il primo dei

nostri cinque sensi a metterci in contatto con il mondo (il feto nel

ventre materno sente suoni provenire dall’esterno).

Ma qui si vuole sostenere il progressivo

tentativo – ahinoi, riuscitissimo – di snaturare l’essere umano

mediante il distacco dai propri sensi, dal proprio corpo, dai propri

istinti primari. Non ci sorprenderemmo a immaginare che un giorno, là

nel futuro, potrà esistere l’uomo senza fame. Chiaramente questo

tentativo ha uno scopo ben preciso: dimenticarsi del proprio retaggio

sensoriale e, permettete, sensuale, svuota d’ogni volontà l’egotico

essere umano: ciò ovviamente non per illuminarlo, ma per renderlo il

perfetto involucro da riempire, anzi rimpinzare, con ciò che più piace

a chi di dovere. Ma nemmeno qui s’è giunti alla fine della catena,

e forse nemmeno ci arriveremo: perché farlo? Una corsa alla schiavizzazione,

al depredaggio delle masse per il proprio arricchimento favorirebbe

non solo il proprio tornaconto personale (isole del pacifico in cui

rifugiarsi quel giorno in cui ogni cosa crollerà, latifondi fortificati

in Argentina, corsa agli armamenti), ma anche e soprattutto un indebolimento

conseguente di tutta quella porzione d’umanità “superflua”,

quella che se non esistesse, per dirla coi Padroni/ladroni, sarebbe

meglio.

Il mondo può tranquillamente reggersi

col solo venti per cento degli esseri umani oggi viventi, e chiaramente

si tratta della classe dirigente (e, beninteso, la classe dirigente,

quella vera, non si vede in tv, non si legge sui giornali). Occorre

quindi tornare al discorso letterario, dopo quella che certo non era

una divagazione. Denutrire gli appetiti estetici, vibrazionali, corporei

e sensoriali delle masse anche mediante una pessima letteratura (e qui

si sta parlando anche e soprattutto dei grandi “Vati” contemporanei)

contribuirebbe a questo progetto di addomesticamento. Istruire i giovani

studenti con le menzogne della “scrittura creativa”, della “narratologia”,

inoltre, favorisce l’indebolimento critico della classe intellettuale,

che non a caso si dimostra sciatta e impreparata la maggior parte delle

volte, quando grida allo scandalo di fronte a una semplice indagine

più approfondita della nostra realtà.

Questo meccanismo, sia chiaro, è stato

iniziato da qualcuno, ma ora si nutre da sé, con qualche lieve colpetto

correttivo dato ogni tanto dal grande macchinista. Facciamo un esempio

in tal proposito: se negli anni Settanta del Novecento qualcuno decise

di mettere in moto questa logica, risulta evidente che il ventenne istruito

in quel meccanismo a posteriori si farà complice incosciente del meccanismo

stesso. L’intellettuale cresciuto a pane e Holden non sarà mai in

grado di riconoscere la bellezza d’un manoscritto estraneo alla propria

ortodossia. La macchina geniale che si autoalimenta.

Insomma, come anticipato nella prima

riga di questo breve scritto, “una nuova poetica fende gli orizzonti”.

Una letteratura che sia sensuale, nel senso più stretto del termine,

quindi anche caotica seppur armonica, a suo modo, contribuirebbe – a

nostro avviso – ad una maggiore presa di coscienza delle masse. Una

letteratura che ponga in secondo piano il “contenuto” favorendo

lo stile, la vibrazione, l’insieme di suoni, poiché il contenuto

non fa che autoconfermare noi stessi a noi stessi e al mondo che ci

è stato messo davanti agli occhi. Una musica letteraria, se vogliamo,

uno sconquasso eterodosso d’ogni posa, d’ogni mostra. Vibrare il

caos con il caso, descrivere i sensi con i sensi. Descrivere la fame

facendovi digiunare.

Chi sosterrà che il “contenuto”,

cioè la descrizione/trascrizione iconica di un fatto o un evento per

rappresentarne il corrispettivo nella realtà, chi sosterrà che quel

“contenuto” è necessario e che la sua mancanza sancirebbe

l’estraneità dell’Autore alle faccende politiche, civili, così denigrandolo,

bene, a quelli noi rispondiamo che invece è tutto l’opposto: bandire

un contenuto (che non farebbe altro che replicarsi) in favore d’un

risveglio, o d’un tentativo quantomeno, dei sensi, affinché l’uomo

torni ad essere uomo e non un pallido simulacro di sé stesso, a noi

pare, e ci piace, la più grande scelta politica che in letteratura

possa compiersi. Non diciamo alle masse di risvegliarsi, diamo loro

ceffoni per scuoterli dal sortilegio. Non descriviamo loro la fame a

parole. Facciamoli digiunare.

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