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La Redazione

 

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DALLA BARBARIE ALL'INFERNO

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A cura di Das schloss
Il 21 Dicembre 2007
39 Views

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Comedonchisciotte

La legge, per cui l’avanzamento della produttività del lavoro sociale può consentire una spesa progressivamente minore di energia umana, nella società capitalistica – in cui il lavoratore non impiega i mezzi di produzione, ma i mezzi di produzione impiegano il lavoratore – subisce un completo rovesciamento: più alta è la produttività del lavoro, maggiore è la pressione dei lavoratori sui mezzi di lavoro, più precaria perciò diviene la loro condizione di esistenza. Via via che il capitale si accumula, la sorte dei lavoratori, sia alta o bassa la paga, non può che peggiorare.
(Karl Marx, Il Capitale, I. 23.4)

Oggi è morto il sesto operaio della Thyssen Krupp di Torino che una settimana fa rimase ustionato a causa di un incendio provocato dalla combustione dell’olio idraulico contenuto in un flessibile ad alta pressione che si era danneggiato. Questa tragedia è l’ultima in ordine di tempo e sta a dimostrare, come se ce ne fosse ancora bisogno, l’aumento vertiginoso della mortalità sul lavoro che era tipica delle fasi e delle condizioni socio-economiche del capitalismo in epoca vittoriana. Infatti gli operai della acciaieria torinese, in procinto di essere smantellata, erano da tempo obbligati, per effetto del ricatto occupazionale e a causa di un salario reale sempre più modesto, a lavorare su turni di 12 ore anche consecutivamente. Una condizione disumana. Naturalmente con la tragedia si è mosso tutto il mondo massmediatico e con esso tutte le istituzioni più o meno ufficiali che in coro si sono accorte dell’esistenza di operai che andavano a lavorare nelle fabbriche ritenute da alcuni sapientoni luoghi di archeologia industriale, per effetto di una sorta di postfordismo che esiste solo nelle loro menti limitate capaci di recepire solo le fantasie di Jeremy Rifkin.

Questa strage ha destato le solite reazioni isteriche associate ad una ipocrita meraviglia da parte di tutti, soprattutto dei lavoratori, quando è risaputo che in Italia i morti sul lavoro sono in media 1300 l’anno. In genere si è sempre trattato di muratori per lo più immigrati caduti da un ponteggio o schiacciati da una scavatrice… ordinaria amministrazione. Sta di fatto che ogni giorno si registrano in Italia quattro morti per incidenti sul lavoro, oltre 2.500 infortuni e più di cento invalidità permanenti.

Non esistono dati affidabili per quanto riguarda gli investimenti in capitale fisso nell’industria italiana, certo è che la tendenza generalizzata al declino interessa sicuramente anche questo meschino paese allineato nella intensificazione dello sfruttamento del lavoro salariato con la speranza di raggiungere condizioni di produttività utili per garantire profitti in genere aspirati dalla speculazione finanziaria. I salari reali degli operai negli ultimi trent’anni sono continuamente diminuiti ed il ricatto di un esercito industriale di riserva crescente obbliga i “garantiti” ad accettare condizioni di lavoro disumane con un macchinario che sta invecchiando mantenendosi su una media di 11 anni senza una manutenzione adeguata.

I numerosi incidenti ferroviari degli ultimi anni e le morti silenziose nei cantieri edili ne sono una prova tangibile, siamo tornati alle condizioni di vita e di lavoro descritte nel Metello di Vasco Pratolini. Luciano Gallino nel suo libro “L’Italia in frantumi” riporta per il settore siderurgico che “La produttività è salita da 260 tonnellate/uomo del 1980, sul complesso dell’industria, a 670: un primato europeo. Il tutto però con un risultato drammatico per l’occupazione: i 100.000 occupati del 1980 sono diventati oggi (2004) 38.000”.

Ad una produzione industriale che si mantiene sui livelli del 1995 corrisponde una calo nel grado di utilizzo della capacità ma con una intensificazione dei ritmi di produzione garantita dall’uso massiccio degli straordinari. Occorre poi sottolineare che il settore della manutenzione degli impianti viene dato regolarmente in appalto a ditte esterne con i soliti guadagni speculativi che si assicurano i dirigenti che hanno la responsabilità di appaltare le attività, e sappiamo come tali imprese si assicurino contratti che in genere non riescono a soddisfare sempre per effetto dei continui tagli di spesa per massimizzare gli utili. Intanto la crescita economica in questo paese di pagliacci-chiacchieroni ristagna da lungo tempo in tutti i settori (con l’eccezione del comparto dell’edilizia dove il lavoro nero regna sovrano) e ciò dimostra che nonostante condizioni di lavoro disumane la produttività non riesce a riprendere anzi, se non truccassero i metodi di rilevazione, scopriremmo che diminuisce continuamente.

Troppi sono i lavoratori che vengono sacrificati nelle ristrutturazioni e quelli rimasti non riescono ormai a sopperire alle esigenze di produttività. Non solo alla Thyssen Krupp erano direttamente gli operai a dover controllare l’efficienza degli estintori (tra l’altro si sono verificati numerosi incendi nella fabbrica prima della tragedia, tutti risolti direttamente dagli operai) per cui ci chiediamo “come mai non esisteva un impianto antincendio adeguato ad un processo produttivo a così alto rischio?” Costa troppo. Ed è interessante sapere che alcuni dirigenti della ASL erano consulenti dell’azienda che nel contempo dava in appalto all’esterno la manutenzione degli estintori.

In una trasmissione televisiva strappalacrime un lavoratore della Thyssen-Krupp ha chiesto che venga riconosciuta agli operai la loro dignità, alcuni nostalgici dei tempi andati rimpiangono la “rabbia” che attraversava le fabbriche nell’ondata delle lotte di un periodo ormai passato, in realtà i lavoratori la dignità non devono chiederla a nessuno anzi dovrebbero riprendere in mano il loro destino ad agire di conseguenza: ma non lo fanno, vivono impauriti e completamente schiavizzati in ambienti di lavoro trasformati in gironi infernali dove ognuno bada a se stesso e cerca di tirare avanti. Quando non ce la faranno più sarà tremendo vederli diventare protagonisti di uno sconvolgimento senza precedenti.

Antonio Pagliarone
Milano dicembre 2007

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