Dal Nürburgring a Londra, passando per Torino: prove tecniche di paura permanente. E di regime

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DI MAURO BOTTARELLI

rischiocalcolato.it

C’è un filo rosso che unisce quanto accaduto a Londra l’altra notte con gli avvenimenti di Piazza San Carlo a Torino: la paura. Uno stato mentale, prima che un allarme concreto. Se infatti nella capitale britannica la paura aveva il volto reale di un furgone bianco sulla folla del London Bridge e di tre uomini vestiti di nero – “Sembravano drogati, colpivano a caso e dicevano che era per Allah”, racconta un superstite – che menavano fendenti con coltellacci da cucina, nel capoluogo torinese la paura prendeva le sembianze di cumuli di scarpe e zainetti dimenticati sul selciato per la fretta di scappare da una minaccia che esisteva solo nella mente di chi era lì, in piazza per vedere la finale della Champions League. La dinamica di quanto accaduto a Torino è ancora sconosciuta e le versioni sono nebulose, come sempre avviene in momenti di panico collettivo simili.


C’è chi parla di un petardo scambiato per ordigno, chi parla di qualcuno che ha paventato lo scoppio di una bomba, scatenando il panico e chi parla di colpi uditi nitidamente, addirittura di mitragliatrice. In quegli attimi di panico, tutto può essere. Anche sentire ciò che non è accaduto, perché si vive in uno stato mentale di allarme permanente. Di fatto, il risultato fondamentale e più importante per chi persegue certe strategie della tensione. Ci sono 400 feriti e, miracolosamente, solo 7 casi gravi: poteva essere una strage con decine di morti, poteva essere un’ecatombe. Un formicaio impazzito alla vista del fuoco e del fumo, senza che vi fosse bisogno né dell’un, né dell’altro: è bastata la loro proiezioni mentale, la percezione ibrida, per scatenare il panico collettivo. Per far temere alla gente che il loro turno fosse arrivato, nel grande Matrix globale del terrore permanente.

Le domande, infatti, sorgono in fretta. Valeva davvero la pena, stante l’aria che tira e la trasmissione dell’evento in diretta e in chiaro, allestire un megaschermo in Piazza San Carlo, di fatto offrendo un cosiddetto “soft target” a chi volesse colpire? Da un lato si può ribattere che non dobbiamo cambiare il nostro stile di vita e che i maxi-schermi sono sempre stati montati per le finali, dall’altro si potrebbe obiettare che mai avevamo vissuto un periodo di tensione e caos tale, almeno dagli anni di piombo in poi. E domenica prossima si vota per le amministrative, tornata che vede al voto quasi 10 milioni di italiani e che potrebbe infliggere una severa sconfitta al partito di maggioranza del governo, il quale sta infatti cercando di “nascondere” il più possibile quell’appuntamento, per depotenziarlo.

E, al netto del disastro di Roma e delle bizzarrie parlamentari, il Movimento 5 Stelle – seriamente candidato a uscire vincitore dalla tornata – ha nel sindaco di Torino, Chiara Appendino, la sua superstar del buon governo. E che dire di Theresa May? Quando ancora la dinamica di quanto accaduto tra London Bridge, Borough Martek e Vauxhall non era chiara, subito le critiche si sono mosse verso la premier, rea di aver abbassato il livello di allarme da “critico” a “severo” dopo la strage di Manchester. Peccato che quella decisione sia nata. come sempre accade, dopo una riunione del comitato per le emergenze, il COBRA, dove sono gli analisti di polizia e servizi di sicurezza a descrivere lo stato dell’arte alla politica: di fatto, la May ha soltanto operato in raccordo con l’intelligence e le sue indicazioni. Le quali, a quanto pare, dicevano che si poteva abbassare il livello di allarme. E anche nel Regno Unito siamo alla vigilia dell’importantissimo voto amministrativo di giovedì prossimo, con i Tories della May passati da +22 punti percentuali sul Labour di Jeremy Corbyn a +3 punti percentuali, di fatto già oggi – stando ai sondaggi – senza i numeri necessari per governare da soli, nonostante la possibile vittoria nelle urne.

C’è poi Donald Trump, il quale non ha perso un secondo a twittare come da sua abitudine. Questa volta, prima ancora che il teatro dell’azione si spostasse da London Bridge a Borough Market: sembrava un cronista in tempo reale, più che il presidente di uno Stato estero. E cosa ha detto l’inquilino della Casa Bianca, dopo aver offerto tutta la collaborazione e la solidarietà degli Usa alla premier britannica e al suo popolo? Che quanto accaduto a Londra rende quanto mai necessario il “muslim ban”, ovvero il divieto d viaggio imposto ai cittadini di sei Stati a maggioranza islamica: sono i morti del London Bridge a chiederlo. Insomma, in piena guerra contro la Corte suprema sull’argomento, Trump non ha nemmeno il buongusto di far raffreddare i cadaveri e asciugare le lacrime ai superstiti. Dov’è finita l’umana pietà? Morta, uccisa dalla disputa politica, dalla ragion di Stato e dalla legge del caos.

E Donald Trump risponde a delle logiche, non è certo il master di questa situazione: lui è la pedina che si muove su una scacchiera sporca di sangue, la pedina più importante. E la più, potenzialmente, fuori controllo, visto che la richiesta del “muslim ban” arriva a due settimana dalla vendita di armi per 110 miliardi al principale sponsor del terrorismo salafita, l’Arabia Saudita. C’è da aver paura? Sì. Razionalmente ma sì. Perché qui non siamo nemmeno più nella logica pura del false flag, dell’atto destabilizzatore che interviene in un ambito, ne muta il percorso e ne capitalizza le conseguenze: qui siamo al terrore permanente applicato alla vita quotidiana, non alle enclaves di Mosul o Aleppo. Qui la paura prende posto al tuo fianco al bar, al ristorante, a un concerto, in piazza: è il convitato di pietra di tempi gestiti da anime nere e cavalieri di ventura che cercano di dare un senso e un ordine al caos. Di fatto, reclamando vite e sempre più ampi spazi di libertà.

Poco fa, prima di entrare alla riunione del COBRA, ecco cosa ha detto il sindaco di Londra, Sadiq Khan, musulmano e di origine pachistana: “I terroristi vogliono che smettiamo di godere della libertà che abbiamo, vogliono evitare che giovedì noi votiamo alle elezioni. Non possiamo permettere loro di farlo. Non è mia prerogativa far slittare le elezioni, io sono un appassionato devoto alla democrazia. E se c’è una cosa che i terroristi odiano è la democrazia. La gente dovrebbe rimanere calma e vigile, continuare le proprie attività normali. I londinesi vedranno un incremento delle forze di polizia nelle strade oggi e nei prossimi cinque giorni. E alcuni degli agenti schierati avranno armamento da guerra”. Al voto tra fucili automatici e blindati della polizia, il sogno orwelliano che si avvera. Perché, poi, Khan avrebbe dovuto mettere le mani avanti sul regolare svolgimento delle elezioni, quando nessuno aveva minimamente sfiorato l’argomento?

“Seize the moment”, come dicono gli inglesi? Sarà il combinato di Manchester più London Bridge a spingere Jeremy Corbyn al 20 di Downing Street, contro ogni previsione di soltanto tre settimane fa? Con quelle parole, Sadiq Khan ha aperto il vaso di Pandora: le bombe possono influenzare non solo il nostro stile di vite e stato d’animo ma anche modi e tempi dei nostri sistemi di governo, la funzionalità stesse delle istituzioni e – peggio acora – dei processi democratici che portano alla loro formazione. Sadiq Khan, nel maldestro tentativo di rassicurare e mettere in guardia, ha spalancato le porte dell’inferno politico e sociale: il Regno Unito andrà al voto, con ogni probabilità, nella paura. E la paura sarà l’elemento qualificante di questi ultimi giorni di campagna elettorale.

blankDa notare una cosa, poi: l’attacco ha preso il via quando a Cardiff la finale di Champions League era finita da poco, tra imponenti misure di sicurezza. Nella capitale gallese erano schierati 1.500 agenti e tutti i presenti hanno parlato di un vero e proprio stato di polizia in atto, strade deserte la sera del venerdì, pub vuoti o chiusi. Più o meno, la legge marziale che è in vigore a Mindanao, nelle Filippine, proprio in risposta agli attacchi di Abu Sayaf. Mentre la gente defluiva dal MIllennium Stadium, in assoluta e militare sicurezza, da Londra arrivavano le immagini dell’attacco: quasi fatto apposta, quasi un gigantesco punto di domanda che va a schiantare le nostre certezze a forma di cellulare della polizia. “Avete protetto Cardiff, mentre tutto il mondo guardava? Bravi, noi abbiamo colpito Londra”, sembra essere il messaggio dei “terroristi”, vestiti di nero, all’apparenza drogati e intenti a colpire a caso, nel mucchio, senza ragione od obiettivo.


Il caos, insomma. La condizione migliore per governare l’ignoto, sia esso identificabile con i poliziotti in assetto anti-terrorismo all’angolo della strada, come nell’Irlanda del Nord degli anni Settanta e Ottanta o con la volontà di Trump di sfruttare il sangue per imporre un’agenda non tanto sovranista, quanto sicuritaria. Una manna per il complesso bellico-industriale, visto che privatizzare la sicurezza interna significa tramutare in business la paura, con il non secondario effetto collaterale di controllare il consenso in chiave elettorale o di politiche di governo. Anche il panico di Torino, pur senza alcuna connotazione terroristica, cambierà qualcosa nella percezione della gente? Cosa chiederanno ai politici i cittadini? Come cambieranno le priorità? Poco fa, da Londra è arrivata la conferma della sospensione ufficiale della campagna elettorale in Gran Bretagna: stop ai dibattiti e ai comizi, si andrà al voto con negli occhi, nella mente e nel cuore le immagini cristallizzate di Tower Bridge.

Durante il processo Gladio, l’ex estremista nero, Vincenzo Vinciguerra, rivelò che, oltre a quello di screditare i gruppi politici di sinistra, dietro agli attentati della struttura segreta che insanguinavano l’Italia c’era un secondo obiettivo, ancora più oscuro. E cioè quello di inculcare un clima di paura generale tra la popolazione. Tutto ciò prese il nome di “strategia della tensione”, avente lo scopo di generare un senso pervasivo di paura tra la popolazione, per indurla a fare appello allo Stato per la propria tutela. Ecco le parole di Vinciguerra: “Si doveva attaccare i civili, la gente, le donne, i bambini, persone innocenti, gente sconosciuta lontana da qualsiasi gioco politico. La ragione era molto semplice: volevano costringere queste persone, il pubblico italiano, a rivolgersi allo Stato per chiedere maggiore sicurezza”. Nel documentario della BBC dedicato a Gladio, Vinciguerra ha descritto come l’obiettivo fosse quello di “destabilizzare per stabilizzare (ordine dal caos). E per creare tensione all’interno del Paese con il fine di promuovere tendenze sociali conservatrici e politiche reazionarie”

Difficile dire come reagirà la gente ma quei cumuli di scarpe ammonticchiate in piazza, quei cocci di vetro come taglienti fili d’erba sono l’immagine simbolo di sabato notte, sono la raffigurazione di un incubo che diviene realtà e vita quotidiana. Con cui dover convivere. Così come è successo venerdì sera in Germania al concerto “Rock-am-Ring”, sospeso per un allarme terrorismo poi risultato completamente fasullo ma che ha visto 80mila persone prendere confidenza con la realtà dell’evacuazione e dell’emergenza permanente. Nürburgring, Torino e Londra: tutto in meno di 24 ore, quasi ci trovassimo di fronte a una grande esercitazione di massa nell’UE del terrore e del nuovo ordine. Quello che, come cantavano i “Rage against the machine”, vede nella paura il tuo unico Dio. E nessun politico, poliziotto o militare al mondo può chiedere di meglio.

Mauro Bottarelli

Fonte: www.rischiocalcolato.it

Link: https://www.rischiocalcolato.it/2017/06/dal-nurburgring-londra-passando-torino-prove-tecniche-paura-permanente-regime.html

4.06.2017

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