Da “operazione militare speciale” a guerra aperta

Da "operazione militare speciale" a guerra aperta: il significato dei referendum nel Donbass, Kherson e Zaporozhie

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Gilbert Doctorow
gilbertdoctorow.com

Il discorso televisivo di ieri mattina di Vladimir Putin e le successive dichiarazioni del Ministro della Difesa Shoigu, che hanno annunciato la parziale mobilitazione delle riserve dell’esercito russo per aggiungere un totale di 300.000 uomini alla campagna militare in Ucraina, sono stati ampiamente riportati dalla stampa occidentale. La stessa stampa occidentale ha anche riferito dei piani per lo svolgimento di referendum sull’adesione alla Federazione Russa nelle repubbliche del Donbass questo fine settimana e negli oblast di Kherson e Zaporozhie in un futuro molto prossimo. Tuttavia, come spesso accade, la correlazione tra questi due sviluppi non è stata vista o, se vista, non è stata condivisa con il grande pubblico. Dal momento che negli ultimi due giorni la stessa interrelazione è stata evidenziata nei talk show della televisione di Stato russa, colgo l’occasione per esporre ai miei lettori i fatti principali sulla piega che prenderà ora il conflitto in corso in Ucraina ed una visione aggiornata di quando potrà terminare e con quali risultati.

L’idea stessa dei referendum nel Donbass è stata ridicolizzata dai media mainstream negli Stati Uniti e in Europa. Vengono denunciati come “finti” e ci viene detto che i risultati non saranno riconosciuti. In realtà, al Cremlino non interessa affatto che i risultati siano riconosciuti come validi in Occidente. La loro logica sta altrove. Per quanto riguarda l’opinione pubblica russa, l’unica osservazione critica sui referendum riguardava la tempistica, visto che alcuni patrioti avevano apertamente dichiarato che era troppo presto per tenere il voto, dato che la Repubblica Popolare di Donetsk e gli oblast di Zaporozhie e Kherson non sono ancora stati completamente “liberati.” Anche in questo caso, la logica di queste votazioni risiede altrove.

È scontato che le repubbliche del Donbass e gli altri territori dell’Ucraina ora sotto occupazione russa voteranno per entrare a far parte della Federazione Russa. Nel caso di Donetsk e Lugansk, era stato solo grazie alle pressioni di Mosca che i loro referendum del 2014 avevano riguardato la dichiarazione di sovranità e non l’adesione alla Russia. All’epoca, il Cremlino non vedeva di buon occhio un’annessione o una fusione di questo tipo, perché la Russia non era pronta ad affrontare il previsto massiccio attacco economico, politico e militare da parte dell’Occidente che ne sarebbe seguito. Oggi, Mosca è più che pronta: è infatti sopravvissuta molto bene a tutte le sanzioni economiche imposte dall’Occidente già prima del 24 febbraio, nonché alla crescente fornitura all’Ucraina di materiale militare e di “consiglieri” dei Paesi della NATO.

Il voto sull’adesione alla Russia raggiungerà probabilmente il 90% o più di voti favorevoli. Anche ciò che seguirà immediatamente da parte russa è perfettamente chiaro: a poche ore dalla dichiarazione dei risultati del referendum, la Duma di Stato russa approverà un disegno di legge sulla “riunificazione” di questi territori con la Russia e, nel giro di un giorno o poco più, sarà approvato dalla Camera alta del Parlamento e subito dopo sarà convertito in legge dal Presidente Putin.

Al di là del suo servizio come agente dei servizi segreti del KGB, di cui gli “specialisti della Russia” occidentali parlano all’infinito nei loro articoli e libri, ricordiamo anche la laurea in legge di Vladimir Putin. Come Presidente, è rimasto sistematicamente all’interno della legge nazionale e internazionale. Lo farà anche ora. A differenza del suo predecessore, Boris Eltsin, Vladimir Putin non ha governato per decreti presidenziali, ha governato con leggi promulgate da un Parlamento bicamerale costituito da diversi partiti. Ha governato nel rispetto del diritto internazionale promulgato dalle Nazioni Unite. Il diritto delle Nazioni Unite parla della santità dell’integrità territoriale degli Stati membri; ma il diritto delle Nazioni Unite parla anche della santità dell’autodeterminazione dei popoli.

Che cosa ne consegue dalla fusione formale di questi territori con la Russia? Anche questo è perfettamente chiaro. In quanto parti integranti della Russia, qualsiasi attacco a questi territori, e sicuramente ci saranno attacchi di questo tipo da parte delle forze armate ucraine, è un casus belli. Ma prima ancora, i referendum erano stati preceduti dall’annuncio della mobilitazione, che indica direttamente cosa farà la Russia se gli sviluppi sul campo di battaglia lo richiederanno. Le fasi progressive della mobilitazione saranno giustificate all’opinione pubblica russa come necessarie per difendere i confini della Federazione Russa dall’attacco della NATO.

La fusione dei territori ucraini occupati dalla Russia con la Federazione Russa segnerà la fine dell'”operazione militare speciale.” Una OMS non è qualcosa che si conduce sul proprio territorio, come hanno osservato un paio di giorni fa i relatori del talk show Una serata con Vladimir Solovyov. [Questa annessione territoriale] segna l’inizio di una guerra aperta contro l’Ucraina, con l’obiettivo della capitolazione incondizionata del nemico. Ciò comporterà probabilmente la rimozione della leadership civile e militare e, molto probabilmente, lo smembramento dell’Ucraina. Dopo tutto, il Cremlino aveva già avvertito più di un anno fa che il percorso di adesione dell’Ucraina alla NATO, imposto dagli Stati Uniti, avrebbe portato alla perdita della sua statualità. Tuttavia, questi obiettivi particolari non erano stati dichiarati fino ad ora; l’OMS riguardava la difesa del Donbass dal genocidio e la de-nazificazione dell’Ucraina, concetto di per sé piuttosto vago.

L’aggiunta di altri 300.000 uomini in armi alla forza dispiegata dalla Russia in Ucraina [ora si parla di tre contingenti da 300.000 uomini ciascuno, per un totale di quasi un milione di richiamati, N.D.T.] rappresenta un quasi raddoppio e sicuramente porrà rimedio carenza di fanteria che ha limitato la capacità della Russia di “conquistare” l’Ucraina. È stata proprio la mancanza di soldati sul terreno a spiegare il doloroso e imbarazzante ritiro della Russia dalla regione di Kharkov nelle ultime due settimane. Con le poche truppe impegnate al fronte nella regione [i Russi] non erano riusciti a resistere alla massiccia concentrazione di forze ucraine. Il valore strategico della vittoria ucraina è discutibile, ma ha aumentato notevolmente il loro morale, che è un fattore importante per l’esito di qualsiasi guerra. Il Cremlino non poteva ignorarlo.

Alla conferenza stampa tenutasi a Samarcanda la scorsa settimana al termine dell’incontro annuale dei capi di Stato dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, era stato chiesto a Vladimir Putin perché avesse mostrato così tanta moderazione di fronte alla controffensiva ucraina. Aveva risposto che gli attacchi russi alle centrali elettriche ucraine, seguiti alla perdita del territorio di Kharkov, erano solo “colpi di avvertimento” e che ci sarebbero state azioni molto più “impattanti.” Di conseguenza, mentre la Russia passa dall’OMS alla guerra aperta, possiamo aspettarci una massiccia distruzione delle infrastrutture civili e militari ucraine per bloccare completamente tutti i trasferimenti di armi fornite dall’Occidente dai punti di consegna nella regione di Lvov e da altri posti di confine fino alle linee del fronte. Potremmo aspettarci anche il bombardamento e la distruzione dei centri decisionali ucraini a Kiev.

Per quanto riguarda un ulteriore intervento occidentale, i media occidentali hanno ripreso la poco velata minaccia nucleare del Presidente Putin nei confronti dei potenziali co-belligeranti. La Russia ha esplicitamente dichiarato che qualsiasi aggressione contro la propria sicurezza e integrità territoriale, come quella sollevata dai generali in pensione negli Stati Uniti, che nelle ultime settimane avevano parlato alla televisione nazionale della disgregazione della Russia, sarà affrontata con una risposta nucleare. Visto che ora la minaccia nucleare della Russia è ora diretta contro Washington, piuttosto che a Kiev o a Bruxelles, come si supponeva finora, è improbabile che i politici di Capitol Hill rimangano a lungo indifferenti alle capacità militari russe e perseguano un’ulteriore escalation.

Alla luce di tutti questi sviluppi, sono costretto a rivedere la mia valutazione su ciò che era emerso alla riunione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. I media occidentali avevano focalizzato l’attenzione su una sola questione: il presunto attrito tra la Russia e i suoi principali partner globali, India e Cina, per la guerra in Ucraina. Mi era sembrato che questo aspetto fosse stato esagerato. Ora sembra essere una vera e propria assurdità. È inconcepibile che Putin non avesse discusso con Xi e Modi di ciò che stava per fare in Ucraina. Se davvero la Russia ora dedicherà allo sforzo bellico una parte assai maggiore del proprio potenziale militare, allora è del tutto ragionevole aspettarsi che la guerra finisca con la vittoria russa entro il 31 dicembre di quest’anno, come il Cremlino sembra aver promesso ai suoi fedeli sostenitori.

Al di là della possibile perdita della condizione di Stato da parte dell’Ucraina, per Washington una vittoria russa sarebbe molto di più di un’emorragia di sangue simile a quella dell’Afghanistan. Metterebbe in luce lo scarso valore dell’ombrello militare statunitense per gli Stati membri dell’UE e porterebbe necessariamente ad una rivalutazione dell’architettura della sicurezza europea, come chiedevano i Russi prima della loro incursione in Ucraina a febbraio.

Gilbert Doctorow

Fonte: gilbertdoctorow.com
Link: https://gilbertdoctorow.com/2022/09/22/from-special-military-operation-to-open-war/
22.09.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

Gilbert Doctorow è un osservatore professionista della Russia ed un esperto delle questioni russe dal 1965. Si è laureato magna cum laude all’Harvard College (1967), è stato in passato borsista Fulbright e ha conseguito un dottorato di ricerca con lode in storia alla Columbia University (1975).

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