DA CARACAS, VENEZUELA (PARTE I)

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DI MICHAEL C. RUPPERT
From the Wilderness

Ora scrivo a proposito di uno dei più influenti e importanti paesi nel mondo oggi, il Venezuela . E’ certamente la nazione più influente dell’emisfero occidentale al di fuori degli Stati Uniti, e non è necessaria l’assunzione di una gran quantità di te per capire che probabilmente le più grandi battaglie sulla sua sovranità devono ancora cominciare e in cui gli Stati Uniti non dureranno come superpotenza ma rivaleggeranno alla pari con un popolo evoluto, una nazione progredita, e un leader che ha governato e condotto con successo fin dal 1998 sia la politica interna che estera .

Il risultato di questi scontri potrà decidere in parte il corso della storia del mondo e se l’impero riuscirà a garantirsi il fabbisogno energetico per conservare ancora per un po’ l’apparente equilibrio interno e il controllo semi-reale all’estero. Più a lungo l’impero mantiene questa forma di controllo, più per il resto del mondo i cambiamenti saranno negativi. E continuando inoltre a percorrere la via del “consumo anziché del risparmio” non sapremo quale sarà il destino della nostra specie .
Attualmente la posta in gioco è davvero alta. Con la produzione di petrolio che domina la politica estera, nel mondo stanno emergendo cinque territori a rischio : il Medio oriente, l’Africa Occidentale, le spiagge di catrame di Alberta in Canada, il Bacino del Caspio, e la regione dell’ Orinoco del Venezuela. Tutte e cinque queste regioni hanno subito una evidente trasformazione a causa dell’egemonia e dell’influenza degli USA, persino in Canada dove la Cina si è assicurata una porzione di greggio equivalente a un milione di barili al giorno di produzione e ha progettato la costruzione di un condotto che arriva fino alla costa del pacifico del Canada.

Solamente gli Stati Uniti consumano 22 milioni di barili al giorno e la produzione con gli alti costi e le difficoltà di queste regioni non si avvicinerà nemmeno a rallentare il tasso di declino globale della produzione stimato ad una percentuale che si aggira intorno al sei – otto per cento l’ anno. Le nazioni si stanno già contendendo gli avanzi .

Nelle tre regioni ( eccetto Africa Occidentale e Medio Oriente ) sono i petroli “heavy” ed “extra-heavy” come che pur non permettendo alla crescita economica globale di continuare, serviranno da costosissimi paracadute per i passeggeri in volo sullo scintillante e fiammante ma sempre più insicuro aereo della moderna civiltà umana . E’ chiaro che l’aereo non sarà dirottato certo verso una territorio sicuro, lontano da quell’obiettivo di infinita espansione economica globale. Le strategie perseguite dalla potenza militare e dominatrice del mondo economico, gli USA, prima e dopo l’11-9 hanno previsto che quell’aereo precipiterà insieme a tutti coloro che saranno sforniti di paracadute.

E’ proprio contro questa disonesta procedura che il governo di Hugo Chavez sta cercando di riclassificare il suo bitume extra pesante estratto dall’Orinoco ( non inizialmente classificato come petrolio ) come parte delle sue riserve ufficiali. Sui documenti, questa azione consentirebbe al Venezuela di possedere giacimenti più estesi rispetto all’ Arabia Saudita; non significherà però che la crisi energetica del mondo si risolverà improvvisamente e magicamente; potrà solo indicare che la crisi della produzione petrolifera è meno drastica rispetto a quanto era stato previsto .

Le quote produttive OPEC sono calcolate come frazione delle riserve già dichiarate. Ancora, a prima vista, può sembrare un grande desiderio . Se le riserve venezuelane fossero ricalcolate allora si potrà aprire il rubinetto e produrre abbastanza per tutti, arricchirci ed essere tutti contenti, giusto? Ma questo è ciò che in pratica fece l’OPEC per mandare in fallimento l’Unione sovietica nel 1980 abbassando il prezzo del petrolio. Ma se i desideri fossero cavalli i poveri potrebbero cavalcare, e questi non sono gli anni ottanta quando esisteva l’idea di “capacità non sfruttate” e la richiesta mondiale era venti milioni di barili al giorno in meno rispetto a oggi .

La produzione dei petroli molto pesanti è costosa ed è fattibile solo a lungo termine, quando i prezzi sono saliti a $60 al barile o più alti. Anche allora, sono utilizzabili solo dopo aver investito decine e decine di milioni di dollari e anni di preparazione. Il petrolio pesante del Venezuela è simile a quello che si trova nelle spiagge di catrame canadesi, ma grazie al clima più caldo e al fatto che i giacimenti sono profondi, sottoterra, dove la temperatura è più calda, esso fluisce più liberamente. E’ una novità buona e cattiva al tempo stesso. In Alberta vengono usati grandi autocisterne e bulldozers per estrarre fino all’ultima goccia il catrame che viene in seguito fluidificato con vapore, prodotto bruciando una gran quantità di gas naturale combustibile che va poi esaurendosi. Ma in Venezuela il petrolio deve essere pompato fuori. Altrimenti richiederebbe molta più energia per ottenere dal sottosuolo energia di qualità minore rispetto a quella del petrolio convenzionale.

Il metodo standard di estrazione dall’ Orinoco è basato sullo scavo di cinque pozzi. Quattro sono usati per l’immissione di vapore (ricordate che serve energia per portare l’acqua in ebollizione) che spinge il petrolio verso il pozzo numero cinque. Si migliorano e si sviluppano tecniche sempre più moderne di produzione ed estrazione, e si stima che quasi 600,000 barili al giorno della produzione totale del Venezuela su quasi tre milioni proviene proprio da quella regione. Il Venezuela sta perseguendo fortemente queste tecnologie fin da quando una decina di anni fa la sua produzione di petrolio raggiunse il picco di produzione .

Le 55 principali nazioni produttrici di petrolio nel mondo si sono avviate verso il declino. Lo stesso Hugo Chavez ha rivelato ai mezzi di informazione la gravità e la realtà del picco della produzione petrolifera. E altrettanto ha fatto il suo buon amico e mentore Fidel Castro.

In Canada, dopo venti anni e più di $10 miliardi spesi in investimenti, dalle spiagge di catrame si riesce a produrre al massimo un milione di barili al giorno (Mbpd). Le statistiche più ottimistiche stimano che per il 2020 con altri $20 miliardi di investimenti, esso sarà in grado di produrre tre milioni di barili al giorno. E con ciò?

Ciò accade in un mondo dove vengono consumati fra gli 84 e gli 85 milioni di barile al giorno e dove si calcola una diminuzione annuale fra i cinque e i sei milioni di barile al giorno, e che continua ad aumentare negli anni. L’esaurimento globale di petrolio sta solo peggiorando e potrà andare sempre peggio; specialmente quando e se i giacimenti Sauditi cominceranno ad esaurirsi per la sovrapproduzione come accadde lo scorso anno per il giacimento del Burgan in Kuwait . Quello del Cantarell in Messico, il secondo e più grande del mondo è anch’esso in rapido declino. Ma sono in declino anche le riserve nel mare del Nord. Stessa sorte per la Norvegia, sebbene la CNN mandi in onda speciali su come essa stia investendo la sua ricchezza petrolifera per un nuovo utilizzo dopo la “ carenza” . Anche la Russia ormai sta andando incontro a una crisi petrolifera. L’Arabia Saudita quasi certamente è al tracollo, sebbene il suo governo si impegni molti modi (anche assurdi) per nasconderlo .

La questione principale è che qualsiasi posizione il Venezuela occuperà nel mondo, grazie alla sua capacità di produzione e raffinamento del suo petrolio pesante, supererà quei paesi in quanto a produzione totale a livelli inferiori a quelli di oggi. Cosa accadrà dunque quando il mastino di domani ( il Venezuela ) diventerà almeno la metà di quello di oggi ( l’Arabia Saudita ) ?

Dopo l’estrazione è necessaria la raffinazione, e sono state costruite poche raffinerie, specialmente negli USA, per il trattamento. Ci vorranno dai tre ai cinque anni e tra $100 e $200 milioni per la costruzione di un complesso di raffinerie capace di trasformare il petrolio in carburante.

Il programma di Chavez ha un altro e più importante significato. Anticipando i tempi in cui il Venezuela potrebbe ottenere il primato, grazie alla produzione di carburante, e come principale produttore del mondo (ora al quinto posto), dopo il declino imminente e il crollo della produzione saudita, russa, iraniana, kuwaitiana, arrivando a un numero di quattro o possibilmente sei Mbpd, e dunque ad essere il paese con i più grandi giacimenti, potrà benissimo dettare la politica, addirittura imporre un protocollo di razionamento a tutto il mondo. E’ certo che Hugo Chavez non promuoverà una politica di grandezza imperiale, e neanche sarà d’accordo con quanto affermato da Dick Cheney che lo “stile di vita del Nord America non è negoziabile”.

La produzione saudita sembra esser arrivata già a solo dieci milioni di barili al giorno, e l’uso incauto di acqua di utilizzo secondario e l’immissione di gas rischia di causare prima del dovuto un disfacimento del sistema geologico che ospita le loro riserve. Il rimescolio in gioco dei principali produttori al mondo di petrolio comincerà probabilmente durante il prossimo mandato di Chavez come presidente, e la produzione globale sarà assai minore di quella di oggi indipendentemente da quali soluzioni fantasiose vengano offerte a mercati schizzinosi e a consumatori fatti di Prozac.

Come si vedrà nei prossimi mesi, Hugo Chavez pare abbia compreso l’equilibrio tra la vendita di petrolio Venezuelano fuori dall’Ameica Latina per assicurarsi un flusso di danaro e il far si che rimanga sufficiente petrolio qui per dare benefici ai paesi del “vicinato” latinoamericano che comincia ad emergere con iniziative di mercato come Mercosur, Petrocaribe, e grazie alla rivoluzione bolivariana. Insieme a queste e all’orgoglio regionale profuso da Chavez l’America Latina sta diventando un paese unito come nessun altro al mondo. Si tratta di una ri- localizzazione che FTWha a lungo patrocinato su scala continentale. Per esempio, il governo sta sostenendo la creazione di Centri per lo Sviluppo Interno e promovendo la creazione di consigli comunali a democrazia partecipativa, e migliaia di commissioni territoriali.

Uno dei più grandi piaceri per qualsiasi turista in visita in Venezuela è il suo caffè. Un mio nuovo amico riporta la descrizione di uno scrittore che una volta lo definì come “un raggio di tramonto condensato in un chicco”. Il Venezuela consuma il 98% del suo caffè nel proprio paese e per buone ragioni, e non tanto perché è il sistema più giusto, ma perché lo considera essenziale. Forse un giorno verrà imboccata la stessa strada intrapresa per il petrolio, non tanto per i vantaggi, ma perché sarà indispensabile. Questo è l’unico, solo esempio che gli Stati Uniti non riescono a tollerare. L’intero significato della politica estera USA, che sia definita “libero mercato” o “ sviluppo”, può riassumersi nella esigenza indispensabile ed eterna di prelevare risorse da una parte del mondo dove i costi sono minori e trasferirle fuori dal paese d’origine per il profitto dei suoi azionisti.

Strano ma i consigli cittadini somigliano un po’ ai ‘Solari Circles’ di Catherine Austin Fitts. Il nuovo socialismo di un uomo è il nuovo capitalismo di un’altra donna. In questa età di “nuovi linguaggi” Orwelliani bisogna studiare il modo di trovare il significato e la verità. La verità del danaro si è sempre nascosta sotto numerosi veli. In qualunque modo li si definisce, questi sistemi si dimostreranno il solo modo per sopravvivere al consumo di petrolio dopo che i prezzi del carburante e conflitti avranno reso impossibile importare lussi, beni di consumo, e specialmente il cibo, da lunghe distanze. Ogni caloria contenuta negli alimenti consumati sul pianeta ne costa dieci di energia degli idrocarburi.

Le guerre in arrivo che coinvolgeranno il Venezuela saranno terribili, complicate, sleali, probabilmente sanguinose e diverse da quelle esplose in altre parti del mondo, dato che le finanzieranno e le provocheranno gli USA. Il Venezuela è un campo di battaglia di idee, ideologie, visioni. E’ in tutta l’America Latina che i Rockfellers introdussero i modelli di mercato finanziario e corporativo, sin dalla metà degli anni ’30 quando il petrolio venne scoperto nell’Orinoco, e una nave della Standard Oil traghettava un giovane Nelson Rockfeller verso le bellezze dell’ America del sud.

I ROCKFELLERS

C’è, in America Latina, un aroma sia palese che nascosto completamente diverso rispetto a qualsiasi altra parte del mondo. E’ al tempo stesso attraente e insostenibile .

La filosofia dei Rockefeller di lasciare che il terzo mondo ricavi “qualche” profitto ( la maggior parte dei quali nelle mani di oligarchie spietate non disposte a dividerli ) è stata sostituita dalla richiesta da parte della stessa America Latina di controllare e distribuire le proprie risorse. In tutti questi decenni trascorsi fino al 1930, le cose non sono cambiate come si sperava .

Nel 1939 Nelson Rockefeller, mentre lottava per allontanare l’ibrido movimento comunista-nazionalista allo scopo di impadronirsi del patrimonio petrolifero del Venezuela, costrinse i suoi manager ad ascoltarlo. Affermò che “alcuni” benefici dovevano essere concessi al popolo venezuelano per offrire possibilità lavorative e al contempo proteggere le proprietà dalla nazionalizzazione. I lavoratori venezuelani del petrolio vivono in condizioni disumane di povertà, malattie, carestia. In Thy Will be Done, uno dei libri che sono solito portarmi dietro quando lascio gli States, l’autore Gerard Colby ha descritto le loro condizioni .

La presenza di Nelson non era molto apprezzata tanto dai manager della regionale Creole ( una compagnia sussidiaria della Standard Oil) quanto dai nazionalisti anticomunisti come Ròmulo Betancourt, editore di Ahora e leader del partito di opposizione di centro sinistra, Acciòn Democratica. Ma non potrebbe nemmeno essere ignorato che “ dopo aver esaminato i suoi vasti possedimenti di petrolio”, Belancourt scrisse di Rockefeller “ ….ritornerà nel suo ufficio all’ultimo piano del Rockefeller Center, nel suo rifugio più sicuro, per fare un riassunto delle sue responsabilità da filantropo e mecenate dell’Arte . Alle sue spalle rimarrà il Venezuela con il suo milione e mezzo di bambini senza scuole, i lavoratori senza una paga inadeguata…, i suoi 20,000 estrattori di petrolio la cui maggior parte vive in case….meglio conosciute come grandi scatole di fiammiferi .
La Creole di Nelson ha lasciato anche una macchia densa di petrolio melmoso sulla superficie del lago Maracaibo ( sulla zona occidentale ). A Dicembre, per la seconda volta in un decennio, le scorie di petrolio hanno preso fuoco, le baracche che gli estrattori hanno costruito sulle palafitte sopra al lago sono andate in fiamme, bruciando vive centinaia di famiglie.”[1]

Nel 1998, stesso anno in cui Hugo Chavez è salito al potere in seguito all’elezione democratica, è accaduto proprio qualcosa di analogo. A Caracas un autista di taxi di nome Luis mi portò in un vialetto cieco che si trova a ridosso di una collina scoscesa vicino La Cortada proprio nel cuore del barrios occidentale. Mi ha indicato 600 ettari che attraversano valli e strade che conducono all’areoporto fino a guidare la mia attenzione su un immenso deposito rifornito di gasolio collocato su una collina di fronte. La cisterna si trovava direttamente sopra centinaia di abitazioni di barrios. In spagnolo mi disse, “esplose nel 1998, e tutti quelli che vivevano qui sotto, migliaia di persone, furono incenerite”.

Questo magazzino di gasolio esplose nel 1998 poco prima che la PDVSA diventasse proprietà della nazione. A quel tempo proprio li sotto si trovavano abitazioni e tutti quelli che ci vivevano vennero bruciati vivi. Con la nazionalizzazione della PDVSA si è stanziato più denaro per garantire la sicurezza.

La prima cosa visibile a Caracas quando lasci il moderno e pulito aereoporto di Maiquetìa sulla costa a nord del Venezuela sono i barrios. I barrios di Caracas sono in effetti “case” costruite soprattutto di mattoni rossi, cemento, con tetti fatti di lamiere di ferro ondulate o altri metalli. Molti non possiedono né acqua né elettricità. Secondo una stima che ho letto, ci vive circa un milione e mezzo di persone, ed è la sola struttura decente visibile per più di un miglio e mezzo, salendo fino alle zone collinose. Non essi vede in lontananza il profilo rassicurante di una città, e ci si chiede cosa si veda dall’altra parte delle colline.

Siccome sono tutto ciò che si riesce a vedere, a parte una fitta montagna ammantata di verde che si deve necessariamente attraversare per raggiungere il centro della città, i barrios danno a primo acchito l’impressione che Caracas è sempre in lotta con la povertà e il pericolo. I barrios sono comunque comuni in tutte le grandi città dell’America Latina – la conseguenza della vita politica e economica progettata prima dalle potenze coloniali e poi dalle grandi corporazioni giganti USA, Tedesche e Britanniche .

Manodopera a basso costo. In altre città latino americane i barrios si notano per la forma, lo stile. Al turista e agli investitori danno subito una cattiva impressione. Sull’altipiano su cui nasce Città del Messico per esempio, si trovano lontano dall’aereoporto e dal campo visivo, proprio come a Los Angeles. La geografia che descrive Caracas obbliga all’onestà, perché sono pochi i luoghi da poter nascondere.

I barrios di Caracas non sono privi di qualsiasi confort e servizi igienici rispetto a quelle che possono definirsi barrios in senso stretto a est di Los Angeles. Ovunque si trovino simbolizzano la trasparenza e l’onestà del governo di Hugo Chavez. Caracas sembra dirci “questa è la realtà del mondo; gli hotels a quattro e cinque stelle, le torri, i ristoranti più sognati e i SUV nascono dalla schiena dei poveri. Provengono tutti dalle risorse naturali della terra e della gente. Questo è davvero il mondo, e questo è il solo modo in cui lo trattiamo e possiamo vederlo in Venezuela. Tutti questi posti esistono perché ognuno veda se dobbiamo vivere assieme o non vivere affatto.”

Io sono riuscito a vederle per la prima volta a distanza quando ero sveglio da più di trenta ore il giorno stesso che arrivai. Mi hanno subito ricordato uno scenario alla “Blade Runner” nella giungla. Non si vede da nessuna parte un progetto: le strutture sembrano tanto compatte quanto ammassate, circondate da una vegetazione sempre verde. Sembra più ordinata la vegetazione .

I barrios si trovano qui da prima dell’arrivo di Hugo Chavez Frìas, e sono ancora qui. Comunque, quasi tutti quelli che ci vivono concordano sul fatto che le condizioni drammatiche di un tempo hanno subito un miglioramento da quando c’è lui come presidente. Nel 2002 e 2003 il Venezuela andò incontro a una delle più drammatiche recessioni, in seguito a un colpo di stato e alla chiusura delle industrie petrolifere della nazione. Fu poca la ricchezza ottenuta con il petrolio. Il boom si raggiunse solo nel 2004, ma oggi i profitti ricavati dall’industria del petrolio sono stati distribuiti in modo equo come non è mai avvenuto nella storia della nazione.

I barrios sono considerati insicur e malsani dalla maggior parte degli abitanti della città, poichè i crimini di strada sono assai frequenti. Circola anche facilmente la droga. Un gran numero di vicoli residenziali sono liberi dai rifiuti. Ma dove questi convergono fino agli incroci, dove ci sono fermate di autobus, la spazzatura spesso blocca persino interi percorsi e ostruisce le intersezioni stradali. Attraverso la città si incontrano file di autobus lunghe centinaia di metri durante l’ora di punta. Le persone aspettano però pazientemente dimostrando buona disponibilità di spirito .

Ma anche tra i barrios si possono trovare scuole e ospedali, nuove costruzioni da quando Chavez è stato eletto presidente, ed hanno un effetto positivo. In queste cliniche si trovano centinaia di dottori cubani ( alcuni dei quali tra i migliori del mondo ) che lavorano per solidarietà e anche per ricambiare l’offerta di petrolio venezuelano. Non tutto dunque in America Latina è valutato in dollari statunitensi .

Oltre alla povertà allarmante e i criminali che dilagano tra i barrios ci sono anche umili Chavistas che costituiscono un nucleo di sostegno che già salvò il governo Chavez dall’attentato preparato e eseguito dagli Stati Uniti nel 2002. Questa gente è sempre pronta a scendere nelle strade in un attimo se la loro rivoluzione fosse minacciata. Il palazzo Miraflores, dove Hugo Chavez si dice abbia rifiutato il lusso dei quartieri riservato a un capo di stato in cambio di un luogo spartano più adatto a uno che proviene dal rango militare come ex paracadutista, si trova proprio vicino alle barrios della zona occidentale di Enero. A decina tra i migliaia di questi umili Chavistas possono sempre circondare in solo qualche minuto il palazzo per difenderlo da un ulteriore colpo di stato. Hugo Chavez si avvale di due eserciti, ed entrambi gli sono fedeli. C’è un gran sentimento tra Chavez e il suo popolo dei barrios, e i graffiti e tutta l’arte di grandiosa bellezza che si trova lì, lo attesta .

Molta dell’arte disponibile tra i barrios è sorprendente. La parte collinosa, che raggiunge i 3,000 piedi di altezza, nasconde i vialetti e i sentieri percorsi dalla gente a passeggio, sulla moto o alla guida delle auto ogni giorno per andare a lavoro o semplicemente per fare shopping. Piccole osterie e venditori ambulanti nelle strade offrono la possibilità dell’acquisto giornaliero di pane e generi alimentari diversi. Percorrendo le strade principali che portano alla città sembra davvero impossibile trovarne una di facile viabilità fino in centro, e dunque si ha l’impressione di poter solo andare attorno o all’esterno. Ma il Venezuela ce la fa ogni giorno .

L’opposizione lamenta di solito che la rivoluzione Bolivariana di Chavez non è servita a dare più denaro ai poveri. Questa è una strategia troppo consueta nella cultura latina che va dal Messico al Cile dove i Rockefeller, le corporazioni USA, e i dittatori fantoccio che sono andati e venuti hanno lasciato invariato il sistema neo-coloniale di base per molti decenni. I Chavistas affermano che Hugo Chavez e il suo stesso popolo capiscono la differenza tra distribuzione di danaro e distribuzione invece di istruzione, cure mediche, riforme sociali, istituzionali e culturali. Specialmente nelle culture latine, le cose vogliono il loro tempo. Così quando i candidati vengono e vanno, come l’attuale sfidante alle presidenziali Manuel Rosales, che ha promesso di dare carte di credito piene di soldi prima delle elezioni di Dicembre, si avverte che non ci sarà un mucchio di spudorati, avidi, imprudenti disposti clamorosamente a vendere il futuro del paese per un rapido ma temporaneo risultato .

La povertà qui sta assumendo il volto della speranza. Quello che la Rivoluzione Chavistas Bolivariana ha voluto rappresentare per l’intera America Latina è il futuro. Gli slogans Chavistas più comuni sono infatti : “Un mondo diverso è possibile” e “E’ possibile un mondo migliore”. Bisogna vedere come Chavez e il resto del mondo affronteranno il picco del petrolio e cosa ciò significhi per le aspettative dei poveri, che ancora non credono che i loro sogni possano mai avverarsi. Ma ci scommetto l’ultimo Bolivare che Chavez e la sua amministrazione stanno gìà pensando e programmando il futuro su ciò, come ha fatto la Norvegia .

Il cambio riguardante la moneta venezuelana, il Bolivare, si aggira tra i 2150 ( ufficialmente ) e i 2500 (sul mercato nero) per ciascun dollaro USA.

Michael C. Ruppert
Fonte: http://www.fromthewilderness.com
Link: http://www.fromthewilderness.com/members/091206_venezuela_caracas.shtml
12.09.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICHELA PLACIDO

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