CONTRO L’IRAN
DI PEPE ESCOBAR
Asia Times
Nel 2002 a ridosso del conflitto con l’Iraq, l’amministrazione di George W. Bush ha cambiato tema dal proprio insuccesso per la mancata distruzione di Al-Qaeda in Afghanistan e in Pakistan, alle inesistenti armi di distruzione di massa dell’Iraq.
Nel 2007 a ridosso della futura guerra contro l’Iran, l’amministrazione ha cambiato tema dal proprio spregevole fallimento in Iraq alle armi nucleari dell’Iran, anch’esse inesistenti. Le tecniche di fabbricazione del consenso sono esattamente le stesse – la previsione apocalittica di Bush del 2007 di un “olocausto nucleare” orchestrato dall’Iran, fa eco alla predizione apocalittica del segretario di stato Condoleezza Rice nel 2002 di una “nube a fungo” progettata da Saddam Hussein. Da Parigi ai quartier generali dell’Unione europea a Bruxelles i diplomatici europei con vasta esperienza alle spalle confessano la propria debolezza e impotenza. Confermano anche ufficiosamente che il nuovo cagnolino europeo di Bush, il presidente francese Nicolas Sarkozy è convinto che il presidente degli Stati Uniti ordinerà il bombardamento delle centrali nucleari iraniane – per non parlare dell’infrastruttura generale. Un certo numero di cancellerie sta già lavorando dietro questa premessa.
Per sua controparte il Congresso statunitense controllato dai democratici, ha elevato all’ennesima potenza la propria irrevocabile irrilevanza, praticamente – e vergognosamente- estraniandosi dalla decisione di attaccare l’Iran da parte dell’amministrazione di Bush. Nell’improbabile evenienza che il Congresso facesse obiezione, la Rice ha pronto il vaccino antivirale: marchiare i Sepah-e Pasdaran-e Enqelab-e Eslami – conosciuti in occidente come i Guardiani della rivoluzione islamica (IRGC) – come “un’organizzazione terroristica”.
Non importa persino – dal punto di vista dell’amministrazione di Bush – se l’intero corpo dell’IRGC forte di 125 000 uomini o solo la sua branca speciale degli Al-Quds venisse marchiata come terroristica. La transizione sarà coperta dall’Autorizzazione per l’uso delle forze militari del 18 settembre 2001. Peraltro il Senato statunitense ha già approvato – con uno stalinistico 97 voti a 0 – un emendamento che accusa l’Iran di aver commesso atti di guerra contro gli USA.
Non importa neppure che Gabriel Kolko – forse il maggiore storico della Guerra del Vietnam – continui a sottolineare che dal 1950 in poi gli USA non hanno mai perso una battaglia; ma non hanno neanche mai vinto una guerra.
Ed ora per la lista dei panni sporchi
Ogni serio osservatore della furia isterica per la fabbricazione dei consensi è ora al corrente del mandato del vice presidente Dick Cheney per i media collettivi statunitensi e gli scelti gruppi di esperti per dichiarare guerra all’Iran – ossia il fatto che l’ufficio del vice presidente dice al Wall Street Journal, a Fox News e agli assortiti soliti sospetti quello che devono fare, tutto sotto l’egida dell’American Enterprise Institute (AEI), il gruppo di esperti de facto della politica dell’amministrazione di Bush. Il nuovo libro del fedele dell’AEI Michael Ledeen – un prodigio di sottigliezza intitolato “La bomba ad orologeria iraniana: la ricerca di distruzione del mullah zelota” – è una componente chiave di questo pacchetto.
Tutti sono a conoscenza dell’aggressivo blitzkrieg confezionato dal Pentagono per i congegni esplosivi “made in Iran” e le bombe stradali che sfondano i carri armati Bradleys e Abrams uccidendo un gran numero di soldati americani in Iraq – senza che i principali media addomesticati ricevano o chiedano alcuna prova di tutto ciò.
In molti sono al corrente della relazione di Daniel Plesch e Martin Butcher riassunta il mese scorso dal sito web Raw Story [1], secondo cui il Pentagono nell’impossibilità di invadere via terra, avrebbe in programma un “colpisci e terrorizza” contro l’Iran, “massiccio, su più fronti, a pieno spettro”, che distrugga non solo le forze Al-Quds e dell’IRGC ma anche tutte le centrali energetiche nucleari e l’intera infrastruttura economica del paese. L’obiettivo è chiaramente un “cambiamento di regime” – o per lo meno ridurre l’Iran alla condizione dell’Iraq, ossia ad uno stato debole, fallimentare.
La relazione è stata scritta dallo studioso britannico ed esperto di armi Dan Pletsch, direttore del Centro per gli Studi Internazionali e la Diplomazia della Scuola di Studi Orientali e Africani presso l’Università di Londra, e da Martin Butcher, un ex direttore del Consiglio di Sicurezza Nazionale britannico e americano ed ex consigliere della Commissione per gli Affari Esteri del Parlamento europeo.
I neoconservatori per loro parte promuovono una nuova versione leggermente diluita del “colpisci e terrorizza” – la distruzione di non meno di 1200 bersagli militari/nucleari iraniani in appena tre giorni (non sono menzionati attacchi all’infrastruttura civile).
L’elenco dei [bersagli] da distruggere comprende certamente la centrale nucleare di Bushehr costruita dai Russi; l’impianto di arricchimento dell’uranio di Natanz; un impianto di radioisotopi e acqua pesante di Arak; l’unità di combustibile nucleare ad Ardekan; il centro di conversione dell’uranio e della tecnologia nucleare di Isfahan; il centro per la ricerca nucleare di Tehran; l’impianto di produzione dei radioisotopi di molibdeno, iodine e xeno di Tehran; e i Jabr Ibn Hayan Multipurpose Laboratories di Tehran. Nessuno parla naturalmente di “danno collaterale”, o del fatto che centinaia di esperti russi potrebbero venire eliminati a Bushehr (che ve ne sembra come dichiarazione di guerra?), o del fatto che centinaia di migliaia di civili residenti nella leggendaria Isfahan potrebbero rimanere vittime di radiazioni provocate da mini-bombe americane.
Nel frattempo Bush e il “nuovo Adolf Hitler” Mahmud Ahmadinejad continuano a rimbeccarsi a vicenda. Il presidente iraniano ha escluso un attacco da parte degli USA (“non possono implementarlo”) come pure la nuova scelta occidentale coniata da Sarkozy (“è inesperto”): “la bomba iraniana o il bombardamento dell’Iran”. Per quanto riguarda Ahmadinejad, “il caso nucleare dell’Iran è chiuso. L’Iran è una nazione nucleare e ha la conoscenza approfondita del ciclo del combustibile nucleare”.
Allontanando astutamente l’attenzione dagli enormi problemi degli USA – dall’economia, alla dipendenza energetica, all’emergenza di potenze multilaterali- l’amministrazione di Bush sembra tuttavia vincere anche la guerra propagandistica, per lo meno negli USA, nell’Europa occidentale e in grandi fasce del mondo arabo. L’Iran internazionalmente parlando, sembra molto isolato.
Di fronte ad una guerra asimmetrica
Il regime iraniano si sta comunque chiaramente preparando al futuro attacco.
Kazemi Qomi, l’ambasciatore iraniano a Baghdad fa un cenno all’IRGC. Parlando questa settimana alla agenzia ufficiale di informazione iraniana IRNA, ha indirettamente avvisato gli Stati Uniti senza mezzi termini che “qualsiasi cambiamento del governo del [primo ministro Iraqeno Nuri al-] Maliki porterà allo scoppio di una crisi della sicurezza in Iraq”. Questo può sottointendere ad esempio, che il corpo dei Badr addestrato dall’IRGC darebbe agli Iraniani le precise coordinate delle forze americane da prendere come bersaglio all’interno dell’Iraq.
Lo scorso sabato il capo supremo iraniano Ayatollah Ali Khamenei ha nominato l’esperto generale Mohammad Ali Jafari come nuovo capo dell’IRGC. Il suo predecessore degli ultimi dieci anni Yahya Rahim Safavi è stato catapultato in alto ed è ora “consigliere militare” del capo supremo. Alcune fonti a Tehran dicono che questa mossa non è stata una reazione alla minaccia USA. Entrambi i comandanti hanno detto alla stampa iraniana che la decisione era stata presa all’inizio di luglio.
I neoconservatori americani possono dimenticarlo, ma è sempre di cruciale importanza ricordare che in Iran l’IRGC, come pure l’esercito regolare, sono sotto il controllo di un religioso civile, il capo supremo. Lo stesso nuovo comandante Jafari nel corso di una conferenza stampa a Tehran, ha definito l’IRGC una “forza precauzionaria al servizio del comandante in capo per correre al soccorso di altre organizzazioni ovunque questo sia necessario”.
I Guardiani, un ex esercito popolare nato dalla rivoluzione islamica del 1979 deve, secondo la costituzione del paese, “salvaguardare la rivoluzione e i suoi successi”. L’esercito regolare ha per suo compito “salvaguarda l’indipendenza, l’integrità territoriale e l’ordine politico della Repubblica islamica”.
Durante la rivoluzione Jafari era uno studente presso l’elitaria scuola di architettura dell’università di Tehran. Secondo la sua autobiografia “è stato attivo durante il golpe” dell’ambasciata americana. Ha partecipato alla guerra tra Iran-Iraq degli anni ’80 come membro della milizia Basij, per poi arruolarsi nel corpo dei Guardiani della rivoluzione islamica quando aveva 25 anni (ora ha 50 anni) ed è diventato presto un comandante. Dopo la guerra è stato comandante delle forze di terra dell’IRGC. Nel 2005 il capo supremo gli ha dato il controllo del centro strategico dell’IRGC, sviluppando una nuova strategia militare iraniana.
Questo acuto stratega identifica il ruolo dell’IRGC come prevalentemente “di deterrenza e di difesa”. Cosa più importante, caratterizza l’IRGC come un’organizzazione popolare che eccelle nella guerra asimmetrica – “simile a quella che Hezbollah ha combattuto contro Israele” usando le sue stesse parole – e si potrebbe aggiungere, simile a quella che l’Iran combatterà contro gli Stati Uniti. Il suo messaggio agli Stati Uniti dopo la sua nomina è stato chiaro: “suggerisco che mettano fine alla loro presenza e che interagiscano con l’Islam e i paesi della regione da lontano. Questo andrà certamente a loro vantaggio e suggerisco che lascino la regione appena possibile”.
L’eterno Rafsanjani
Martedì scorso l’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani è diventato capo dell’Assemblea degli Esperti – il supremo corpo segreto di 86 religiosi che elegge il successore del capo supremo. Ha vinto per 41 voti a 33 con 11 astensioni e un voto invalidato.
Rafsanjani aveva già raccolto più voti nelle elezioni di dicembre 2006 per l’Assemblea, ma era ancora secondo a Ayatollah Ali Meshkini, che è deceduto alla fine di giugno. Una figura chiave “stonante” – e dalla linea ultra dura, Ayatollah Mesbah Yazdi, mentore di Ahmadinejad – non ha neanche partecipato all’ultima elezione; è stato Ayatollah Janati, un pupillo di Yazdi, che ha perso con Rafsanjani.
Innanzitutto questo significa una nuova, seppur stretta, sconfitta della linea dura. Mostra anche la ferocia della competizione tra almeno quattro fazioni al vertice del sistema iraniano. Ma per lo più riporterà pienamente Rafsanjani sulla scena – un pragmatico molto favorevole ad un compromesso con gli Stati Uniti. Adesso è a capo sia dello Expediency Council (per cui è stato nominato da Khamenei) che dell’Assemblea degli Esperti. Ora avrebbe persino il potere di far destituire il capo supremo se lo ritenesse opportuno. La prospettiva entusiasmerebbe di certo i conservatori americani.
La percezione di Rafsanjani in Iran è mista. E’ molto popolare tra le classi medie di Tehran. Le province distanti sostengono principalmente il populista Ahmadinejad. Forse l’uomo più ricco del paese, potrebbe essere anche uno dei più corrotti. La sua presidenza (1989-1997), secondo i riformisti di Tehran, è stata un disastro. Il sistema giudiziario argentino ha emesso un mandato internazionale per il suo arresto in relazione ad una bomba anti-israeliana a Buenos Aires del 1994 in cui sono rimaste uccise 85 persone.
Rafsanjani utilizzerebbe tutti i suoi canali privilegiati non ufficiali a Washington per evitare un conflitto. E’ ben consapevole della posta in gioco, avendo dichiarato dopo la sua elezione che “il piano degli Stati Uniti per il Grande Medio Oriente, che è stato redatto dopo l’11 settembre [2001] minaccia seriamente la nostra regione”. Ma potrebbe essere altrettanto impotente nell’alleviare la situazione quanto i demoralizzati diplomatici europei.
L’unica logica guida dell’estrema destra americana al potere è la guerra permanente. Il meccanismo infermale è già in posizione. Andrà bene qualsiasi pretesto perché Bush ordini un attacco sulle forze Al-Quds all’interno dell’Iran. L’IRGC reagirà. Ed eccolo qui il prezioso casus belli per un “colpisci e terrorizza” remixato. Prima il bombardamento dell’Al-Quds; poi di Bushehr, Natanz e Isfahan. Tutto l’Iran, infuso di orgoglio nazionale persiano, sarà al seguito di Ahmadinejad, del capo supremo, dell’IRGC e dello stato di polizia teocratico. Alla faccia del cambiamento di regime.
Nota
[1] “Considering a war with Iran: A discussion paper on WMD in the Middle East”.
Pepe Escobar è l’autore di “Globalistan: How the Globalized World is Dissolving into liquid War” [“Globalistan: come il mondo globalizzato si sta dissolvendo in guerra liquida” n.d.t.]
(Nimble Books, 2007). Può essere contattato via e-mail: [email protected].
Titolo orignale: “From Al Qaeda to Al Quds: America prepares for War on Iran”
Fonte: http://atimes.com/
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09.09.2007
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI