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Un appello per il cambio di
regime ci suggerisce una replica di quanto successo in Libia

DI JUSTIN RAIMONDO
original.antiwar.com

Nel mezzo delle denunce dirette al governo siriano per la repressione dei manifestanti, e mentre ora il Presidente Obama richiede che il dittatore Bashar al-Assad si faccia da parte, la “comunità internazionale” non ha voglia di stare a sottilizzare. Ma seguire le sfumature è proprio quello di cui si ha bisogno in quello che deve essere il più delicato, e complesso, panorama geopolitico nel Medio Oriente.

I racconti dei media, come sempre, oppongono i bravi ragazzi (i manifestanti) ai ragazzi cattivi (il regime), ma la realtà raramente è così semplice e lineare e in questo caso questo ammonimento deve essere doppiamente enfatizzato.
Ci viene detto che tutta la violenza proviene da una parte (il regime) contro gli altri (i manifestanti), ma l’International Crisis Group
per niente amico del regime, e difficilmente considerabile un oppositore dell’intervento USA ha esposto un punto di vista differente nei suoi resoconti sulla crisi:

“I manifestanti

affermano di essere totalmente pacifici, ma quest’affermazione si

concilia difficilmente con le testimonianze e con gli omicidi violenti

di molti agenti di polizia. Più plausibilmente, le reti criminali,

alcuni gruppi islamisti armati, elementi a sostegno dall’estero e

alcuni dimostranti per legittima difesa hanno preso le armi.”

Il report prosegue dicendo che

“si tratta di una parte marginale della storia”, dicendoci che

“la gran parte delle vittime erano tra i contestatori pacifici,

e che la grande maggioranza della violenza è stata perpetrata dai servizi

di sicurezza.” Ma questo non ci dice niente sul tipo di violenza

dal lato dei “Bravi Ragazzi”: è una violenza organizzata

o si tratta di incidenti causali? I dimostranti stanno organizzando

una campagna di provocazione organizzata, cercando di incitare il regime

a un livello di violenza più alto per poter giustificare un intervento

straniero?

Per capire quello che sta succedendo

in Siria, i resoconti di Joshua

Landis, che scrive su Syria Comment,

sono di valore inestimabile. Landis è il direttore del Center for

Middle East Studies dell’Università dell’Oklahoma, dove è

professore associato, e vive al momento in Siria. Mentre i media occidentali

glissano sulla violenza dei manifestanti, Landis è nelle condizioni

di poter riferire i fatti, e così li ha riportati:

“Questa controversia

è nata ad aprile durante le proteste a

Banyas, quando nove soldati sono stati uccisi mentre viaggiavano sulla

strada principale fuori dalla città

a bordo di due mezzi di trasporto.

Gli attivisti hanno affermato che questi soldati sono stati giustiziati

dai colleghi per essersi rifiutati di sparare ai dimostranti.

“Questa storia alla

fine si è rivelata di pura fantasia, ma

è stata diffusa dalla stampa occidentale e mai rettificata.

Ho scritto di questo fatto il 14 aprile in un articolo intitolato Western Press Misled

– Who Shot the Nine Soldiers in Banyas? Not Syrian Security Forces. La ragione per cui mi sono interessato

a questa storia è a causa del fatto che il cugino di mia moglie, il tenente colonnello Yasir Qash`ur, era uno dei nove soldati uccisi il 10

aprile. Lo conoscevamo bene. Abbiamo parlato con il cognato di Yasir.,

il colonnello ‘Uday Ahman, che era nel sedile posteriore dove Yasir

e molti degli altri soldati sono stati uccisi.

“Uday ci ha detto

che i due mezzi militari hanno avuto un’imboscata mentre attraversano

un ponte dell’autostrada da uomini ben armati che si stavano nascondendo

del mezzo dell’autostrada e in vetta agli edifici ai margini della

strada. Hanno sparato a raffica sui due camion con i fucili automatici,

uccidendone nove. L’incidente non ha avuto niente a che fare con rifiuto

di obbedire agli ordini. La sua descrizione di quanto successo contraddiceva

così tanto i resoconti che leggevo nella stampa che ho cominciato a

indagare. Successivamente è apparsa una ripresa video della sparatoria

e fu trasmessa

dalla TV

siriana. La cosa collimava

con la storia di Uday.”

Il professore Landis prosegue dicendo

che “la stampa occidentale e i suoi analisti non vogliono riconoscere

che gli elementi armati sono sempre più attivi. Preferiscono raccontare

una storia semplice di brave persone che combattono gente malvagia.”

Poi ripete la valutazione dell’ICG secondo cui la maggioranza delle

proteste erano pacifiche, e aggiunge: “Ci si chiede solamente perché

questa cosa non poteva essere detta rispecchiando la realtà, ossia

che gli elementi armati, le cui intenzioni non sono pacifiche, stanno

avendo un ruolo.”

Non c’è bisogno di chiederseli.

La realtà è nemica dei media

occidentali, che insistono

nel presentare la sua narrativa preconfezionata come verità: e, naturalmente,

è solo una coincidenza che questa narrativa calzi a pennello con gli

obbiettivi del governo statunitense e con la sua propaganda.

Chi sono questi gruppi armati, chi

li sta armando, e quali sono le loro intenzioni? Sono domande che la

“comunità internazionale” non è assolutamente interessata

a porsi, figuriamoci a risponderne, forse perché alcuni dei governi

che ora condannano la violenza in Siria stanno dando una mano a provocarla.

E ancora, l’ipotesi denuncia dell’opposizione

e dei suoi sostenitori occidentali che 100 militari sono stati uccisi

a Jisr ash-Shaghour per essersi rifiutati di sparare sui compagni siriani

è stata ripetuta senza alcuna critica dai media occidentali.

È stato poi verificato che questi soldati erano stati uccisi da “bande

armate”, come venivano definite dal governo siriano: Landis riporta

dei video qui e qui che

sembrano confermarlo. Un attivista dell’opposizione siriana, intervistato

dalla CNN, ha ammesso la

verità:

“Un importante

attivista anti-governativo, che ha chiesto di rimanere anonimo per i

pericoli che potrebbero sorgere dal rilascio di queste informazioni,

ha detto alla CNN che il racconto della

TV di stato era corretto. I corpi erano quelli di agenti segreti della

polizia siriana uccisi dai combattenti siriani proveniente dall’Iraq

che si sono uniti ai combattimenti contro il governo,

ha detto l’attivista, che riceve le informazioni sugli accadimenti

siriani da una rete estese di informatori.”

Questi siriani dall’Iraq potrebbero

essere gli stessi combattenti che hanno ucciso i soldati statunitensi, e

che ora hanno rivolto i propri fucili contro i ba’athisti siriani?

Si tratta di una replica dello scenario libico, dove la fazione dei

ribelli sostenuta dagli USA e dalla Nato presenta numerosi componenti islamisti, alcuni dei quali erano effettivamente coinvolti nei combattimenti in Iraq.

Questa volta, invece, le presenze sono

molto più forti. Quello che sta succedendo in Siria è molto

più grave per la regione di quanto possa essere accaduto in Libia.

Ho già scritto in

precedenza delle conseguenze

terribili nel caso in cui la Siria dovesse andare a pezzi: il terrore

sarebbe davvero sanguinario visto che le minoranze religiose del paese

cristiani e membri della idiosincratica setta alawita – sono preoccupati. C’è di peggio: una

guerra civile in piena regola nel punto più instabile del centro geografico

del Medio Oriente – la “linea di frontiera” siriana, dove il conflitto

arabo-israeliano è ancora

più esplosivo – potrebbe

far detonare una guerra nella regione, e persino un conflitto mondiale

se la cosa uscisse fuori dal controllo.

La tempistica della crisi attuale,

che si approssima al climax con l’appello di Obama per il cambio

di regime, costituisce un pericolo rilevante. Con i palestinesi che

sono sul punto di dichiarare la propria indipendenza e le Nazioni Unite pronte ad appoggiarli, la tentazione di creare un

qualche diversivo potrebbe venire in mente alla dirigenza israeliana.

E io ipotizzo che già lo abbia fatto. Queste “bande armate”

non escono dal nulla e non sarebbe la prima volta che gli israeliani

dimostrano quanto forti siano i contatti all’interno della Siria.

L’alleato della Siria, l’Iran,

è il vero obbiettivo e tutto questo mi sembra un’iniziativa coordinata

per seminare il caos nella regione: l’idea è quella di pilotare gli

iraniani nel sostenere segretamente il regime, e disporre il terreno

per un

attacco USA-Israele su

Teheran. L’accerchiamento degli iraniani sta procedendo a buon ritmo,

con gli israeliani in prima linea, gli statunitensi in Iraq, in Afghanistan e sempre più in Pakistan. Mentre la potente lobby israeliana negli Stati Uniti sta senza sosta chiedendo a Washington di “fare qualcosa”

per gli iraniani, e il diluvio soffocante di “intelligence” farlocche che

si suppone provino l’esistenza

di un programma nucleare, sembra solo una questione di tempo prima che

il fiammifero si accenda e la regione esploda. La richiesta di Obama

che Assad si debba fare da parte è un passo fondamentale su questo

percorso.

Con la sua tipica mendacia, la dichiarazione

del Presidente asserisce:

“Gli Stati Uniti

non possono e non vogliono imporre questa transizione in Siria. Dipende

dal popolo siriano scegliere i propri dirigenti, e abbiamo udito il

loro profondo desiderio che non ci sia un intervento straniero

nel loro movimento. Quello che gli Stati Uniti sosterranno saranno quelle

iniziative che porteranno a una Siria che sia democratica e inclusiva

per tutti i siriani. Sosterremo questo esito facendo pressioni al

Presidente Assad di farsi da parte da questa transizione, e schierandoci

per il rispetto dei diritti universali del popolo siriano come per tutti

gli altri della comunità internazionale.”

Da notare, prima di tutto, che quest’affermazione

non suggerisce di non intervenire – l’autore riferisce solamente

di aver “udito” questo “forte desiderio” di non

intervenire a favore di una parte del popolo siriano. Se l’Imperatore

rispetterà la loro volontà – o se gli interventi degli Stati Uniti

nel paese hanno già reso la cosa opinabile – lo vedere mo in futuro.

In secondo luogo, gli statunitensi

sanno che il loro appello per le dimissioni di Assad e l’abbinamento

con le sanzioni

economiche e diplomatiche

rafforzeranno la posizione baathista all’interno del paese. L’affermazione

del Presidente non è comunque indirizzata al popolo siriano, ma agli

altri poteri imperialisti, Gran Bretagna e Francia, i colleghi criminali

“multilaterali” a cui verrà chiesto quando le cose si faranno

più pesanti, di condividere la responsabilità di gestire le proprie

ex colonie in Siria, e in Libia.

Le similitudini presenti in questi

due teatri di guerra sono sbalorditive: entrambe sono ex colonie europee

appesantite da dittature secolari che pretendono di essere “socialiste”

e che hanno al loro interno un’opposizione islamista “democratica”

sostenuta dalle potenze della Nato e dell’Unione Europea.

Che le forze di Assad non siano composte

di santi non

vale la pena neppure di ripeterlo:

quello che va detto, invece, e che i ribelli “democratici”, così

empaticamente ritratti dai media occidentali non sono proprio

quegli angeli che siamo riusciti a farli diventare. E anche se lo fossero,

questo è un giudizio che solo i siriani possono fare: un alawita o

un cristiano siriano potrebbero essere capiti, se non perdonati, per sostenere un regime

brutale per il timore di una presa al potere degli islamisti.

Il divampare della guerra civile in

Siria si assicurerà di trascinare la “comunità internazionale”,

inizialmente nella forma palese di un supporto aereo all’opposizione,

presumibilmente facendo fuori la marina siriana che circonda la ribelle Latakia. Tutto ciò culminerà

con un bombardamento aereo contro installazioni militari fondamentali,

compresi i siti che si suppone contengano “armi di distruzione di

massa”. E, in effetti, ci sono già abbastanza “evidenze” raffazzonate

e dalla dubbia provenienza per provare che la Siria sta cercando di costruire

una bomba nucleare per poter giustificare un bombardamento USA/NATO.

O potrebbero dichiarare un’altra “emergenza umanitaria” come hanno fatto in Libia, affermando che Assad ha massacrato

circa 100.000 persone. Forse è troppo presto per ripetersi.

In ogni caso, l’idea è quella di

trascinare le forze degli USA e della NATO nell’epicentro dei conflitti

settari del Medio Oriente, dove le passioni religiose dei tre grandi

culti mondiali si sono scontrati per migliaia di anni. Potranno così

arrivare i “peacekeepers”, instaurandosi nella zona più convulsa

del pianeta, assicurandosi che ogni fazione venga edulcorata e controllata

e, in modo non incidentale, posizionandosi tra la Sparta israeliana

e la furia crescente degli iloti palestinesi.

Israele è il più grande

beneficiario di questa politica: una Siria libanizzata è precisamente

quello che auspicano, fornendo così un profluvio di opportunità per

le incursioni espansionistiche, nel nome della loro “guerra al terrorismo”.

Una “Greater

Israel” emergerà dalle ceneri

della Seconda Guerra Mondiale, per confermare la “fine del mondo”

profetizzata nella Bibbia, scatenando la

folla degli evangelici per Israele

in un delirio di isteria bellicista.

Il Reverendo

John Hagee e i suoi compagni eretici cristiani forse stanno pregando

per l’Apocalisse, ma

a noi cosa ce ne viene?

E ancora la tempistica è tutto

in questi ambiti: non è un caso, come direbbero i marxisti, che la

nostra nuova politica per il cambio di regime in Siria sia stata annunciata

in questo momento particolare. Dopo tutto, è stata la politica reale

fin dal primo giorno delle proteste. È avvenuto un cambio di amministrazione

a Washington, ma non c’è stata alcuna modifica nelle praticamente

inesistenti relazioni tra USA e Siria quando Barack Obama è arrivato

in città. Le sanzioni sono state incrementate, e l’ambasciatore siriano

è stato ridicolizzato come un paria tra i diplomatici. La Siria, uno

dei componenti originari

dell’”Asse del Male”

è da tempo nel mirino di Washington: il cambio di regime in Siria è

un altro progetto dell’amministrazione Bush che è stato abbracciato

con rinnovato entusiasmo dagli Obamiti.

Come avevo evidenziato subito dopo gli attacchi dell’11 settembre:

“La polvere non era

ancora stata tolta dalla rovinosa skyline di

Manhattan quando Bill Kristol e il suo

‘Progetto per un Nuovo Secolo Americano’ acquisto una pagina intera

di un giornale sotto forma di lettera al Presidente,

chiedendo che Bush invadesse non solo l’Iraq,

ma anche la Siria e l’Iran se non avessero

soddisfatto tutte le nostre richieste.

La lettera era firmata da tutti i neoconservatori presenti sulla faccia

della Terra.”

Negli anni a venire, la spinta del

PNAC per l’intervento degli Stati Uniti ha riguardato praticamente

tutte le nazioni del Medio Oriente, Libia compresa. Questo Presidente

Democratico “liberale” potrebbe riuscire a realizzare completamente l’agenda del PNAC: proprio ora è a metà della strada. Se verrà

rieletto, avrà ampie opportunità di andare fino in fondo. Non c’è

niente come una guerra mondiale per distrarre l’attenzione dalla crisi

economica e per dotarsi di un buon

vecchiostimolo” keynesiano.

****************************************

NOTA A MARGINE:

Ho ricevuto un paio di lettere che

si lamentavano del mio

recente articolo su Paul Krugman e la sua deludente concezione

della guerra come “stimolo” economico. Per rinfrescare la memoria:

secondo Krugman, se il governo perpetrasse una truffa su un’imminente

invasione aliena, e costruissimo un’enorme sistema difensivo contro

questa minaccia inesistente, potremmo uscire dalla crisi della depressione.

L’ho contestato nel mio articolo, e ho ricevuto proprio due lettere

che si lamentavano che io non avessi menzionato, ad esempio, l’opposizione

di Krugman alla guerra in Iraq etichettandolo come un “guerrafondaio”.

Sono contento che questo sia successo,

perché avrei dovuto menzionarlo per chiarire che questo è molto

peggio che essere un onesto guerrafondaio. Perché questo ci vaccina

contro quelli come Krugman che spianano la strada ai “veri” guerrafondai:

dopo tutto, diranno, persino il “progressista” Krugman, che

si è opposto alla guerra con concezioni “morali” sorpassate, sa

che sarebbe un’ottima cosa per il paese. E questo tipo di messaggio

indirizzato agli statunitensi afflitti è molto più insidioso e pericoloso

rispetto al solito blaterare dei neocon sull’”esportare la democrazia”,

a cui nessuno credo davvero in ogni caso. Se riesci a persuadere le

persone che possono materialmente beneficiare di una guerra, ha già

dalla tua parte la metà della popolazione, ed è solo questione di

tempo, in questo abisso spaventoso, prima che l’altra metà si liberi

dei freni morali e salti sul carro della guerra.

****************************************

Fonte: D-Day

for Damascus?

18.08.2011

p>Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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