DI ERYC EYMARD
Mondialisation.ca
Possiamo attribuire una certa forza
alle parole? Ne dubito. Le parole sono deboli. Come noi stessi. Discorsi
euforici, diverbi e sproloqui da sempre hanno caratterizzato la
cattiveria e la debolezza umana; le parole non hanno mai frenato la
sete di potere, mai scosso la compiacente mediocrità. Tutt’al più
soddisfano le pretenziose volontà di gloria effimera di coloro i quali
le utilizzano, e danno l’opportunità ai destinatari di manifestare
con orgoglio il proprio dissenso.Ma aspireranno mai a cambiare questa
triste farsa chiamata mondo?
Tuttavia, se ben padroneggiate, le
parole possono dare l’illusione della realtà. Nelle mani di esperti,
possono servire a far prendere lucciole a una democrazia alla ricerca
di lanterne che possano illuminare il cammino verso la rivoluzione.
Considerata dai media e dai blog come una “rivoluzione democratica”
che permetta al popolo islandese di cambiare le sorti di uno Stato corrotto
e di riformare una società messa in ginocchio dalla crisi economica,
sostenuta a gran voce dai social network, concepita in modo tale
da dover chiamare in causa il “cittadino medio”. Riuscirà la revisione
costituzionale attuata dall’Islanda a sostenere il peso qualitativo
degli aggettivi usati per definirla?
Indipendenza e sovranità nazionale,
integrità morale e politica, rispetto dei diritti umani, tutela
delle risorse naturali, azioni di pace e cooperazione internazionale:
qualche settimana fa il Consiglio Costituzionale (Stjórnlagaráð),
affrontando i temi nazionali più importanti, ha presentato in parlamento
i suoi nove capitoli di programma. Sottoposti molto probabilmente a
un referendum popolare (tale sembra la volontà dei membri della commissione),
i 114 articoli redatti possibilmente rimpiazzeranno i 79 articoli della
Costituzione vigente, concessa dalla Danimarca nel 1874 e parzialmente
modificata nel 1944, quando la Repubblica Islandese ottenne l’indipendenza.
Le prime consultazioni pubbliche da
parte del governo di Jóhanna Sigurðardóttir risalgono al 2009, sotto
la pressione dei collettivi
popolari indipendenti,
gruppi di cittadini intenzionati a ricreare le condizioni di una società
più giusta. Le procedure per la nomina dei candidati all’Assemblea
Costituente delineate dalle “tavole rotonde” furono avviate
nel 2010. Contrariamente a quanto è stato scritto, il procedimento
di revisione costituzionale richiede tempi molto lunghi. E considerando
che la crisi finanziaria del 2008, al posto di frenare, ha accelerato
i tempi di esecuzione, tale progetto di revisione costituzionale non
può neanche essere considerato un effetto politico di una causa scatenata
dal popolo, né il prodotto di un malcontento generale o di una delle
tante “rivoluzioni delle pentole” [il 23 gennaio del 2009 i manifestanti
islandesi ottennero le dimissioni del primo ministro conservatore Haarden
e di tutto il suo governo in blocco a suon di pentole, casseruole e
picchettaggio dei centri istituzionali NdT], ma in verità è una conseguenza
politica, ovvero quella di un partito di opposizione (il Partito Progressista)
che con la richiesta di una revisione costituzionale ha ottenuto il sostegno
del partito d’alleanza fondato nel 2009, la Sinistra Verde.
I venticinque membri dell’Assemblea
Costituente furono eletti nel mese di novembre 2010. A causa del brevissimo
lasso di tempo concesso ai candidati per la campagna elettorale (tre
settimane), l’inizio è stato piuttosto timido. Ma si è manifestato
o meno l’entusiasmo popolare nel seguire sulla rete l’avanzamento dei
lavori dell’Assemblea Costituente? Non hanno parlato i media
di democrazia partecipativa che, attraverso l’utilizzo degli strumenti
accessibili da Internet, promuove l’espressione e le volontà del popolo?
I server di Facebook, Twitter, Youtube e Flickr stanno subendo ondate
di commenti e di proposte indirizzate dalle decine di migliaia di islandesi
entusiasti, in trepidante attesa che i venticinque “saggi”
si mobilitino per cambiare la nazione e magari ispirare gli altri paesi?
“Un nuovo processo che potrebbe
prefigurare il futuro della democrazia”
(Télérama – 23/06/11)
“Venticinque cittadini eletti
per redigere una nuova costituzione”
(Cyberpresse.ca – 30/11/10)
“L’Islanda fa la rivoluzione:
elezione di una Costituente. È una notizia!”
(Politica-actu.com)
“Rivoluzione della cittadinanza
in Islanda”
(LePoint.fr – 10/04/11)
“Un evento da considerare superiore
alla Rivoluzione Francese”
(Parisseveille.info – dicembre 2010)
E infatti, per diversi mesi, dopo il
susseguirsi di notizie sulla nuova costituzione proposta in termini
di evento globale, seguì un silenzio prolungato (per alcuni definitivo:
le Figaro), silenzio che un
blog denunciò aspramente.
Il fatto è che, in teoria, l’istituzione
di una Assemblea Costituente1, nella sua facoltà di sostituire
il potere esecutivo, appare come una soluzione in grado di dare al popolo
un governo democratico. La democrazia “dovrebbe consentire l’espressione
dei diritti politici e sociali di tutti i francesi“, scrive Andrew Bellon su Le Monde. Per l’ex presidente della Commissione Affari
Esteri della nostra Assemblea Nazionale “l’elezione di una Costituente”
sarebbe una “soluzione pacifica” che accorcerebbe “il
divario tra elettori e politici, fonte di gravi tensioni” e
offrirebbe l’opportunità di “ridare credibilità
alla politica e riformarne il quadro tenendo conto delle richieste del
popolo francese“.
In una mail ricevuta nei primi
di agosto, uno dei membri eletti del Consiglio Costituzionale islandese
ha giudicato positivamente sia i risultati ottenuti che il metodo utilizzato
per raggiungerli.
“Abbiamo acquisito il consenso e approvato il progetto costituzionale
all’unanimità. Un evento straordinario, soprattutto a causa della natura
radicale delle riforme costituzionali che proponiamo“, scrive
Thorvaldur Gylfason in un messaggio indirizzato a una ventina di giornalisti.
“Il nostro progetto è incentrato sulla necessità
di trovare il modo di controllare e bilanciare i tre organi del nostro
sistema di governo, e rivedere anche i concetti stessi di potere e di
responsabilità. Sostenere con forza i principi di trasparenza, equità,
tutela dell’ambiente e richiamare all’uso efficiente ed equo delle risorse
naturali. Ha lo scopo di sradicare la corruzione e l’oscurantismo.”
Tutto ciò porta a credere che
un tale sistema, essendo un processo democratico di “governo
del popolo, dal popolo per il popolo“, potrebbe cambiare il
concetto odierno di fare politica che, secondo Voltaire, si riduce nell’”arricchimento
di una classe di cittadini che determina lo sfruttamento di altre“.
Ma i numeri ottenuti da questo procedimento
di revisione costituzionale avviato in Islanda sono conformi alle tante
descrizioni e alle aspettative offerte dalla società mediatica internazionale?
Una partecipazione inferiore
al 36%
Meno di quattro su dieci islandesi
hanno partecipato all’elezione dei rappresentanti all’Assemblea Costituente.
L’affluenza non è mai stata così bassa, le precedenti elezioni
hanno riportato una media del 90 per cento. È ragionevole imputare
la colpa del disinteresse a questa “reinvenzione democratica“2?
E come spiegare una campagna pubblicitaria di tali dimensioni per delle
elezioni che hanno mobilitato l’equivalente della popolazione di una
città delle dimensioni di Aulnay-sous-Bois [comune francese di circa
80.000 abitanti, NdT]?
“Finalmente! Questa
è un’e-rivoluzione partecipativa,
è la democrazia del domani che ha il nome di un futuro autunno caldo!“,
potrebbe urlare qualche estasiato anticapitalista, zavorrato dallo sceverare
un gregge di pecore che confonde la caduta di cenere del vulcano Eyjafjallajökull
con l’impressionante nebbia autunnale dei fiordi orientali.
Per Ragnhildur Helgadóttir la bassa
partecipazione dei cittadini “solleva problemi riguardanti l’etica“.
Professore di giurisprudenza presso l’Università di Reykjavik, Helgadóttir
ha aggiunto che la decisione del Parlamento di ignorare l’annullamento
delle elezioni da parte della Corte Suprema lo scorso gennaio fu un
errore, ci sia stato o meno modo di discutere le motivazioni addotte
dai nove giudici. “Questi individui sono stati scelti da Althingi,
non dal popolo, pertanto le elezioni non hanno rispettato il principio
democratico”, ha detto l’insegnante, appellandosi alla validità
dei criteri formali in ambito legislativo.
Altri in Francia hanno apportato una
diversa analisi; “i sostenitori dell’ordine costituito avevano
il dovere di denunciare le irregolarità
del processo elettorale, ad esempio l’altezza
irregolare del muro di cartone che separava ciascun comparto, o il fatto
che la scheda di voto non poteva essere piegata a metà, rischiando
di influenzare l’esito delle elezioni. Si tratta quindi di un tentativo
di destabilizzare il processo costituzionale da parte delle istituzioni
attraverso le riforme“, ha pubblicato il sito del Partito di Sinistra il 27 gennaio scorso. Il rigore dell’analisi
dimostrativa lascia senza fiato.
3600 commenti e 370 suggerimenti
in rete nel giro di tre mesi circa
Questa è la traduzione in cifre di tale partecipazione. Rapportati al numero
di abitanti dell’isola (318.000), i 3600 commenti riflettono “l’interesse reale” dei cittadini che in percentuale supera di
gran lunga l’1,1%! Per quanto riguarda le 370 proposte, invece, il numero
rispecchia una partecipazione attiva degli islandesi in rappresentanza
di oltre lo 0,1%. Sembra si tratti di una “rivoluzione in crisi“,
ha pubblicato Rue89.com a febbraio.
Gli islandesi si sono dimostrati molto
più indifferenti alle elezioni di quanto la maggior parte dei
media vorrebbe farci credere. Ma almeno, tra questi 25 eletti, figurano
dei veri rappresentanti del popolo, Lavoratori delle poste, muratori,
contadini, disoccupati, cuochi, venditori? Fanno parte della categoria
dei “cittadini comuni” quelli che sono stati invitati al banchetto
del potere per perfezionare il nuovo menù proposto per rendere la situazione
più appetibile?
La maggior parte dei venticinque membri
dello Stjórnlagaráð fanno parte della schiera degli opinion
leader.
Avvocati, giornalisti, insegnanti e
docenti universitari, dirigenti d’azienda… l’assemblea ha eletto a
larghissima maggioranza alcuni individui la cui fama è indiscussa.
Possiamo quindi considerare questo comitato come rappresentante della
popolazione dell’isola? Che fine fa l’islandese medio che aspettava
di vedere difendere i propri interessi?
Candidato con il maggior numero di
voti, Thorvaldur Gylfason, ad esempio, vanta una ricca serie di esperienze.
Economista presso il Fondo Monetario Internazionale, consulente alla
Banca Centrale d’Islanda (e per un periodo la anche diretta), membro
o dirigente di un numero di organizzazioni e di aziende (tra cui un
fondo di investimento nei primi anni ’90), l’uomo che puntava al rimborso
del debito Icesave3, il contrario di quello che la
maggioranza degli islandesi avevano espresso nel voto di due referendum.
È difficile annoverare quest’uomo, fratello di un ex ministro e figlio
un altro ministro, nel rango dei “cittadini
comuni”.
Una rapida ricerca svela il livello
di coinvolgimento politico, imprenditoriale e mediatico di questi
individui, passati spesso per studenti modesti, professori semplici,
discreti rappresentanti della chiesa, ecc.
Il “matematico” Thorkell Helgason ha ricoperto diversi incarichi in vari ministeri;
un altro “matematico”, Pawel
Bartoszek, teneva una rubrica
fissa per Fréttablaðið [il più grande quotidiano islandese,
NdT], candidato senza successo alle elezioni comunali del 2010 per il
Partito dell’Indipendenza (formazione politica conservatrice al potere
per quasi mezzo secolo) e tuttora membro supplente del Consiglio
per il trasporto e l’ambiente della città di Reykjavik; il “dottore” Katrín Fjeldsted ha lavorato instancabilmente per molte istituzioni
(in Consiglio comunale della capitale islandese, come patrono del Comitato
permanente dei medici europei, in Parlamento islandese, agli affari
esteri, eccetera).
Tuttavia la messa in scena di un messaggio
democratico guidato da schiere di élite della nazione non avrebbe mai
avuto tanta risonanza. Sarebbe come legittimare una Rivoluzione francese
orchestrata da Luigi XVI e i suoi ministri.
coloro che erano noti al grande pubblico per le loro attività, la maggior
parte dei candidati erano neofiti del tutto sconosciuti“, conferma
Gudmundur Guðlaugsson. “A causa del breve tempo della campagna
elettorale, non avevano possibilità
di far conoscere il loro programma“, ha aggiunto l’ex sindaco.
Dovremmo quindi concluderne che le
condizioni per promuovere tale situazione come “processo popolare
di rifondazione repubblicana”
(a detta dei più ottimisti) non furono per nulla favorevoli.
Alcuni sostengono che siano soltanto
inutili spese, alla luce della situazione economica del paese; altri
invece non nascondo la loro diffidenza (sui benefici della revisione
costituzionale, sulla reale volontà del Parlamento di cambiare il “sistema”).
Molte sono le ipotesi avanzate per cercare di giustificare questa perdita
di fiducia. Le più credibili mostrano diversi parametri i quali, correlati
fra loro, hanno ostacolato la nascita del “candidato popolare”
e manovrato il coinvolgimento degli islandesi: oltre 520 contendenti in lizza, la copertura mediatica di alcuni
candidati ridotti al silenzio e le
lamentele di altri, un
sistema di scrutinio, benché imparziale, certamente nuovo e complicato4,
soltanto tre settimane per consentire agli elettori di fare la loro
scelta prima del voto, e dulcis in fundo: il lobbying efficace
di coloro i quali non avevano alcun interesse rivolto al cambiamento
del sistema.
Note:
1. Dal mese di febbraio 2011 è diventato Consiglio Costituzionale dopo che la Corte Suprema ha rilevato dei vizi di forma suscettibili alla segretezza del voto.
2. http://www.cadtm.org/Quand-l-Islande-reinvente-la http://www.parisseveille.info/quand-l-islande-reinvente-la,2643.html
3. Nome della filiale online ex Landsbanki che, incapace di rimborsare i clienti, avrebbe inghiottito miliardi di euro tuttora rivendicati da Olanda e Gran Bretagna.
4. Considerata come forma di rappresentanza proporzionale che possa offrire una migliore equità di voto di maggioranza in due turni, il “voto singolo trasferibile” è utilizzato da meno di una dozzina di paesi in tutto il mondo, tra i quali l’Irlanda, il Canada e l’Australia.
Fonte: Constitution islandaise : une révolution pour les Islandais ?
28.10.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FLAVIO MELE
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