COSA CERCA ISRAELE

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DI MAURIZIO BLONDET

“E non si ravvidero dal commettere omicidi, magie, dissolutezze e furti”
(Apocalisse, 9, 20)

Gli israeliani stanno cercando di identificare geni esclusivamente specifici degli arabi. Lo scopo: “creare per manipolazione genetica dei microrganismi che aggrediscano solo gli individui portatori di quegli specifici geni”. Non stiamo citando un romanzo di fantascienza né di fantapolitica, e nemmeno le elucubrazioni di complottisti paranoici. La notizia apparve il 15 novembre 1998 sul Sunday Times (1), l’inserto domenicale del Times di Londra, il più serio dei giornali britannici.
Il Times riportava che gli esperimenti erano in corso nel vasto centro di Nes Tziyona, sede dei laboratori militari più segreti di Israele, con installazioni per lo più sotterranee che coprono sei ettari. Citava un (anonimo) ricercatore israeliano, che riconosceva: “la comune origine semitica di arabi e israeliani rende il compito più difficile. Tuttavia, siamo riusciti a identificare certe caratteristiche particolari nel profilo genetico di certe popolazioni arabe, specificamente negli iracheni”.Il Times riferiva che la notizia aveva prodotto una piccola tempesta nella Knesset, il parlamento israeliano. Un deputato, Dedi Zucker, aveva dichiarato: “moralmente, data la nostra storia, la nostra tradizione e la nostra esperienza, un’arma di questo tipo è mostruosa e deve essere negata”.
Bella nobile dichiarazione, anche se notiamo in essa uno strano uso dei termini: l’arma razziale assoluta deve essere “vietata” o soltanto “negata”? Data la storia del popolo ebraico, è il possesso dell’arma finale del genocidio che va “negato” di fronte all’opinione pubblica?

Inutile chiedere a Dedi Zucker, che a quel tempo era membro, nel parlamento, della Commissione ricerca e sviluppo (dunque al corrente degli esperimenti in corso), e che nel frattempo ha lasciato il partito Meretz per fondare un proprio partito Verde. Non risponde a domande su quella sua uscita di tanti anni fa.
Anche più inutile bussare alle porte del centro scientifico Nes Tziyona presso Tel Aviv. Si tratta, come ha rivelato l’ex agente del Mossad Victor Ostrovsky, del “laboratorio per la guerra ABC di Israele”, ABC significa “atomica-biologico-chimica”: l’intera panoplia dell’armamento non convenzionale viene studiata e sviluppata segretamente lì.

Senza i minimi limiti morali, come fu detto ad Ostrovsky dai suoi superiori: “data la nostra estrema vulnerabilità, e che in caso di guerra non avremo un secondo appello, i nostri scienziati stanno sviluppando lì armi da giorno del ‘giudizio’. A questo riguardo, i palestinesi infiltrati [Ostrovsky parla di palestinesi catturati] venivano a proposito. Come cavie umane” (2). Converrà aggiungere subito che Ostrovsky ha avuto la casa bruciata ed è stato ridotto alla rovina economica per aver scritto queste righe. E che le rivelazioni del Sunday Times sono state accusate di “antisemitismo” dalla ben nota Anti-Defamation League.
Effettivamente, un’arma che colpisca una specifica razza umana e solo quella è molto difficile da sviluppare. Il DNA di ogni uomo, giallo, nero o bianco, è simile al 99,9 per cento a quello di ogni altro uomo sulla terra, di qualunque colore sia. Il DNA degli europei è composto al 65% del patrimonio genetico degli asiatici e al 35% di DNA africano, il che fa della “razza bianca” un ibrido delle due “razze” più antiche.

La ricerca di un’arma genetica razziale dovrebbe dunque concentrarsi su quello 0,1 per cento di differenze nella sequenza del genoma, che fa ciascuno di noi diverso da ciascun altro. Poco? Ma quello 0,1 per cento rappresenta pur sempre, nell’affollata catena del DNA umano, diverse decine di migliaia di componenti elementari. C’è un consorzio farmaceutico privato, il SNP (3), che sta lavorando proprio sui polimorfismi dei singoli nucleotidi ” insomma su quello 0,1 per cento di “diversità” genetica ” e sta cercando proprio le variazioni riscontrabili da gruppo a gruppo, da etnía ad etnía.
Perché nonostante tutto le differenze razziali esistono. Certe malattie colpiscono più frequentemente una razza, e risparmiano l’altra. Certi caratteri costanti nella disposizione e nella quantità di muscoli, grasso, pigmentazione della pelle, eccetera, sono visibili ad occhio nudo. Questi caratteri devono avere qualche corrispondenza nei geni. E’ qui che la ricerca è promettente.

Un profano faticherà a crederlo. E soprattutto ad essere creduto. Meglio lasciare la parola agli esperti, che da tempo “da anni” mettono in guardia contro quel certo tipo di ricerche. Nel 1993 un gruppo di biologi preoccupati, la Rural Advencement Foundation International, già sottolineava che la “raccolta e catalogazione di materiale genetico umano”, quale è il Progetto Genoma, avrebbe finito per rendere realizzabili dei virus specificamente diretti contro una etnía umana (4).
Nel 1996 fu un ente molto più ufficiale, la British Medical Association, a lanciare lo stesso allarme. La dottoressa Vivienne Nathanson, che nell’associazione medica guida il comitato etico, pubblicamente denunciò che “è oggi possibile” produrre armi biologiche che abbiano come bersaglio un gruppo umano geneticamente specificato. E suggerì che tali armi potevano essere usate non per uccidere, ma per indurre sterilità e deformazioni neonatali nel gruppo-bersaglio: un metodo di genocidio che, disse, sarebbe difficile denunciare, perché potrebbe sembrare un “atto di Dio” (5). Nel 1999 l’associazione dei medici inglesi è tornata ad avvertire, con più urgenza, del rischio: “negli ultimi decenni i rapidi progressi (6) della biologia molecolare hanno reso trasferibile da una specie all’altra e fra differenti organismi il materiale ereditario (DNA).

Il Progetto Genoma Umano e il Progetto Diversità Genetica Umana cominciano a consentire l’identificazione del codice genetico umano, e le loro variazioni, in gruppi etnici diversi. [“] Si esprime la preoccupazione crescente sull’uso potenziale della conoscenza genetica per lo sviluppo di una nuova generazione di armi biologiche e tossine. La ricerca legittima sugli agenti microbici, sia in relazione al loro utilizzo in agricoltura o per migliorare la risposta terapeutica alle malattie causate da quegli agenti, è difficile da distinguere da ricerche che abbiano il maligno scopo di produrre armi più efficaci”.
Negli anni ’80, il governo del Sudafrica, il governo dell’apartheid, finanziò un programma segreto di guerra biologica, chiamato “Project Coast”, dove cercò di mettere a punto un’arma genetica mirata alla popolazione nera. Una “bomba negra”, per uccidere o debilitare solo gli africani. Pare che studi accurati fossero fatti, in quella sede, sulla pigmentazione epidermica come “bersaglio” possibile. Si cercò anche un farmaco capace di provocare l’infertilità, e che potesse essere somministrato agli africani in modo surrettizio, magari sotto il pretesto di una vaccinazione di massa.
Tutto ciò è stato scritto nero su bianco non già in un romanzo fantapolitico, bensì su un rapporto che la US Air Force ha pubblicato nell’aprile 2001 (7). Gli autori danno conto dello smantellamento di quei programmi segreti, che in ogni caso non condussero a nulla di conclusivo. Ma si domandano: “quanto vicino è arrivato il Sudafrica ad una ‘bomba negra’? Altri paesi stanno sviluppando armi biologiche simili?” (8)

La domanda rischia di essere retorica. A causa dell’apartheid, il regime sudafricano fu colpito da embargo generalizzato. Sviluppò una sua propria industria di armamento con la collaborazione di Israele. Gli Stati Uniti ne erano consapevoli. Anzi, sembra, fu Henry Kissinger a incoraggiare quella collaborazione discreta: in quegli stessi anni l’Urss fomentava in Africa meridionale tutta una serie di “rivoluzioni” comuniste e il Sudafrica bianco era, in qualche modo, il solo contrafforte occidentale. Vi furono momenti in cui si produsse una vera integrazione delle due forze armate, Israele e Sudafrica.
Tutta una serie di armi rivoluzionarie furono concepite lontano da sguardi curiosi. Un cannone speciale a tiro rapido, creato dall’ingegnere Gerard Bull (9), fu adottato dai due eserciti. Nel 1977, un’esplosione nucleare nell’alta atmosfera sopra il deserto della Namibia rivelò agli americani che il primo test atomico israeliano aveva avuto successo. Sui progetti biologici condotti in comune sappiamo, ovviamente, molto meno. Ma nell’articolo rivelatore del Sunday Times compare il nome del dottor Dean Goosen, un sudafricano specialista di armamenti biologici: un personaggio che è riemerso in una recente faccenda assai oscura di contrabbando di armi biologiche.

Converrà ricordare che Israele non ha mai firmato la Convenzione contro le armi batteriologiche del 1972, sottoscritta da 140 paesi. Un portavoce israeliano, interrogato da giornalisti esteri sulla “bomba etnica”, rispose: “abbiamo un intero cesto di sorprese strategiche che non esiteremo ad usare se lo stato d’Israele sarà gravemente minacciato” (10).
E’ la dottrina strategica israeliana, applicata anche all’arma atomica. Negli anni della guerra fredda, Usa e Urss dichiararono preventivamente a quali condizioni avrebbero messo mano alle armi atomiche. Per esempio, non avrebbero risposto ad un attacco convenzionale con bombe nucleari. Israele si rifiuta di dichiarare a quali condizioni è disposta ad usare l’arma assoluta, per lasciare i potenziali nemici nell’incertezza strategica sulle sue reazioni, il che è in sé uno svantaggio strategico.
Il Sudafrica ha avuto il buon senso di smantellare i suoi progetti nucleari, scongiurando una corsa agli armamenti atomici in Africa. Israele non ha dato prova dello stesso buon senso per il nucleare, ed ora è costretta a bombardare preventivamente centrali dei potenziali nemici (lo ha fatto contro l’Irak distruggendo la centrale di Osirak, si prepara a farlo contro l’Iran) per soffocare tale corsa. Più Israele si arma, più paranoicamente si sente “insicuro” e “minacciato”: la condizione unica e soggettiva che, secondo la propria dottrina, l’autorizzerà ad usare per primo le armi non convenzionali.

Maurizio Blondet
Fonte:www.effedieffe.com
(capitolo tratto dal nuovo libro di Blondet “La strage dei genetisti – I retroscena della guerra nucleare, batteriologica e chimica”)

Maurizio Blondet
Tratto da “LA STRAGE DEI GENETISTI”
di Maurizio Blondet
2004, pp. 124, Edizioni EffediEffe

Note

[1] Uzi Mahnaimi e Marie Colvin, “The Israelis are making a virus that would target arabs: Israel planning ethnic bomb as Saddam caves in”, London Times, 15 novembre 1998.

[2] V. Ostrovsky, By Way of Deception, citato da Kellia Ramares in “Unholy Grail, the Quest fo Genetic Weapons”, sul sito From The Wilderness, 4 marzo 2003.

[3] IL SNP Consortium (Single Nucleotide Polimorphism Consortium) è stato formato da AP Biotech, AstraZeneca, Aventis, Bayer, Squibb, Hoffman-LaRoche, Glaxo Wellcome, IBM, Motorola, Novartis, Pfizer, Searle, SmithKline: insomma l’intero mondo dei colossi multinazionali del farmaco.

[4] Pat R. Mooney, “Technological Transformation: the Increase in Power and Complexity is coming just as the ‘Raw Materials’ are eroding”, ETC Century, Dah Hammarskjoeld Foundation, Development Dialogue 1999: 1-2, p.33.

[5] “Genetic Weapons Threat?”, nel Genetic Forum della World Medical Association, in The Splice of Life, 4 febbraio 1997, Vol. 3 N. 4.

[6] Il complesso dell’informazione genetica accumulato nelle banche internazionali del gene raddoppia ogni 14 mesi. Un quarto di secolo fa, un laboratorio impiegava due mesi per sequenziare 150 dei miliardi di nucleotidi (le “lettere” molecolari che costituiscono il “messaggio” di un gene); oggi, si è in grado di mappare 11 milioni di geni in poche ore. Il costo della mappatura del DNA è calato da 100 dollari per coppia di basi nel 1980 a un dollaro nel 2001. Mappare il DNA di un singolo individuo alla ricerca di almeno 100 mila “variazioni individuali” (Single Nucleotide Polimorphisms) costava dieci anni fa 20 mila dollari, oggi lo stesso esame costa qualche centinaio di euro. Negli Stati Uniti, questa mappa personale genetica è diventato un diffuso regalo di nozze.

[7] Stephen Burgess ed Helen Purkitt, “The Rollback of South Africa’a Chemical nd Biological Warfare Program”, USAF Counterproliferation Center, Air War College, Maxwell Air Force Base, Alabama, aprile 2001.

[8] Ibidem, p.84, nota 17.

[9] Gerard Bull, geniale innovatore dell’artiglieria, progettò come noto un super-cannone, capace di lanciare proiettili a “velocità di fuga”, ossia di metterli in orbita: più economico e sicuro di missili. Per qualche motivo, il progetto fu rifiutato dalla Nasa e da Israele. Bull finì per offrirlo a Saddam Hussein. Fu ucciso in Belgio nel 1988, in una stanza d’albergo, quasi sicuramente da agenti del Mossad.

[10] Roy R. Blake, “Genetic Bullets, Ethnically Specific Bioweapons”, su FreePress Org., 4 gennaio 2002.
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