DI MANUEL M. NAVARRETE
Rebelion.org
Leggo nei comunicati della sinistra
ufficiale, e perfino in quelli dei settori della sinistra extraparlamentare,
una difesa del “Stato del benessere” che mi sembra molto pericolosa.
E non per purismo, ma semplicemente per una questione di internazionalismo.
Una cosa è difendere con le unghie e con i denti le riforme ottenute
(cosa di cui tutti siamo d’accordo), un’altra, molto differente,
è quella di accettare, come sistema, come progetto, quello che viene
definito “Welfare State” e che, per dirlo chiaramente, è
stato possibile solo sulla base dello sfruttamento del Terzo Mondo.È ovvio che difendere lo “Stato
del benessere” implica abbandonare la prospettiva di Rosa Luxemburg,
dove la riforma non è un fine in sé stesso, bensì un mezzo verso
la rivoluzione. Ma implica, inoltre, una grave incomprensione del carattere
di classe dello Stato, in un contesto storico in cui questo carattere
è diventato sempre più evidente. E quindi solo un approccio internazionale
può aiutarci a comprendere la realtà, al constatare che fu proprio
la correlazione di forze a livello mondiale quella che, dopo le rivoluzioni
socialiste e i movimenti di liberazione nazionale, invitò i capitalisti
a fare concessioni e politiche preventive. Adesso, una volta sconfitto
il campo socialista, schiacciato i sindacati e disarticolate le organizzazioni
operaie in tutto il mondo, il capitale mette in azione la sua controffensiva
Tuttavia, la socialdemocrazia, nonostante
stia ricevendo la confutazione definitiva per via delle sue pratiche,
sembra tornare di moda. Per quale motivo collettivizzare i mezzi di
produzione, scambio e distribuzione? Basta resuscitare il “modello
sociale europeo” (come suggerisce la CCOO), incrementare le imposte dirette così come
la sua progressività (come suggerisce Vicenç Navarro) e, come dicono
molti, creare “una” banca pubblica – senza nazionalizzare,
mancava più, la privata – o una qualche sorta di Tobin Tax (come suggerisce
ATTAC).
I problema? In un capitalismo globalizzato,
i neoliberisti hanno ragione: se fai questo, Moody’s abbassa il
tuo rating, il tuo debito si incrementa automaticamente e
le imprese, semplicemente, delocalizzano e vanno in un altro paese
dove trovano condizioni più vantaggiose, affondando l’economia. La
socialdemocrazia è diventata praticamente impossibile. Per questo motivo,
oggi i riformisti sono più utopici dei rivoluzionari: per la
sinistra un’uscita dalla crisi è impossibile da un punto di vista strettamente
tecnico e senza abbandonare il sistema economico capitalista.
Ma soprattutto, tornando all’inizio,
il progetto dello “Stato del benessere” non può separarsi dal suo
carattere imperialista, poiché le concessioni nelle metropoli del Primo
Mondo sono strettamente legate allo storico sovrasfruttamento delle
neocolonie. Questo sfruttamento ha finanziato, in ultima istanza, l’”economia
sociale di mercato”, che ha prodotto una redistribuzione internazionale
dei salari tra le classi più sfruttate. Grazie a questa redistribuzione,
i lavoratori del Primo Mondo si sono avvantaggiati dallo sfruttamento
dei loro “colleghi” nel Terzo Mondo. Lo disse già Che Guevara in
“Il socialismo e l’uomo in Cuba”: “Questa è una disquisizione
su come nei paesi imperialisti gli operai continuano a perdere lo spirito
internazionalista di classe a causa di una certa complicità nello sfruttamento
dei paesi dipendenti e come questo fatto, contemporaneamente, lima lo
spirito di lotta delle masse nel proprio paese.”
Se il livello di vita non si calcolasse
dividendo unicamente il PIL di un paese per il numero di abitanti, ma
se nel denominatore si includessero tutti gli abitanti degli altri paesi
che, in un modo o nell’altro, hanno contribuito alla sua ricchezza,
le statistiche dei paesi imperialisti non sarebbero tanto lusinghiere.
Per questa ragione, abbandonare la prospettiva mondiale del processo
di sfruttamento capitalista implica smascherare il funzionamento reale
del sistema.
La scuola mercantilista affermava che
“l’arricchimento di una nazione si può fare solo a costo dell’impoverimento
di altre”. In realtà, il mercantilista concepiva unicamente la
ricchezza sotto forma di metalli preziosi che, ovviamente, potevano
incrementarsi solo portandoli all’estero. Tuttavia, il concetto di ricchezza
attuale non è meno scarso di quello analizzato dai mercantilisti. In
realtà, al
seguente indirizzo, si
può scaricare uno studio in castigliano della Rete dell’Impronta
Globale (California) che analizza l’Impronta Ecologica dell’uomo.
Questa ricerca afferma che il livello medio di consumo per abitante
negli Stati Uniti e nell’Europa non può essere generalizzato a tutta
la popolazione del pianeta, perché sarebbero necessari rispettivamente
5,3 (per gli USA) e 3 (per l’UE) pianeti Terra.
La genealogia di questa situazione
di privilegio non è assolutamente un mistero, visto che viene
ben spiegata nei di storia. I paesi che sperimentarono la rivoluzione
industriale occuparono i paesi precapitalisti per necessità commerciali,
per estrarre le materie prime e per trovare manodopera a basso costo.
Nonostante il trascorrere dei secoli, le antiche colonie, sempre in
ritardo nella competizione tecnologica, sono riusciti solo a specializzarsi
solamente in linee di produzione che erano state smantellate nelle metropoli,
causando così una nuova dipendenza dall’apporto straniero.
L’eredità storica dell’imperialismo
ha implicato la spoliazione delle risorse naturali delle neocolonie
da parte delle compagnie straniere – che rastrellano i benefici ottenuti
e li reinvestono nelle metropoli -, la distorsione della struttura economica
mediante l’imposizione della monocoltura, lo scambio disuguale, poiché
i prezzi dei prodotti che esportano i paesi sottosviluppati tendono
a calare, mentre i prezzi dei prodotti importanti continuano a crescere;
il debito pubblico, per via dei crediti con elevati tassi di interesse
e vincolati alle privatizzazioni concessi dal FMI…
Il filosofo Carlos Fernández Liria,
osservando le frontiere e le leggi imposte dagli stranieri, scrisse
che i ministri delle finanze europei propongono “di rinchiuderci
in fortezze, protetti per steccati sempre più alti, dove poter divorare
letteralmente il pianeta senza che nessuno ci disturbi o possa imitare.
È la nostra “soluzione finale”, un nuovo Auschwitz capovolto, dove
invece di rinchiudere le vittime, siamo noi a rinchiuderci per salvare
l’arma di distruzione massiccia più potente della storia: il sistema
economico internazionale.”
E questa è la chiave. Naturalmente,
dovremo affrontare grossi tagli sociali. Ma difendere il “Stato
del benessere” è difendere un progetto politico ben determinato,
quello che ci trasforma nei complici progressisti dell’”Auschwitz
capovolto” del quale parlava Fernández Liria. Perché lo Stato
del benessere è un progetto controrivoluzionario di una classe dominante
che, spaventata dalle rivoluzioni del XX secolo, ha corrotto la classe
lavoratrice del Primo Mondo per tacesse di fronte allo sfruttamento
del Terzo Mondo, abbandonando una prospettiva globale e i principi dell’internazionalismo.
Fonte: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=133233
30.07.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE