DI GEORGE MONBIOT
The Guardian
Il cambiamento di imagine di Shell e BP è un inganno
Per un’azienda che afferma di andare “oltre il petrolio”, la BP è riuscita a riversarne un’enorme quantità nella tundra in Alaska. Dopo che la notizia è stata rilasciata ai giornalisti la settimana scorsa, ha ammesso agli investitori che sta affrontando delle accuse per aver permesso che 270.000 galloni di greggio venissero sparsi in uno degli ambienti più delicati del mondo (1). L’incidente è stato talmente grave che alcuni dei dipendenti potrebbero essere mandati in prigione.Se fosse stata la Exxon, l’incarnazione dello scherno della brutalità della aziendale, la notizia non avrebbe sorpreso nessuno. Ma il cambiamento di immagine della BP, così come quello della Shell, è stato così efficace che vi si può perdonare per aver creduto che sia diventata un gruppo di pressione per le questioni ambientali. Queste società hanno utilizzato gli immensi profitti del petrolio per dare l’impressione che lo stiano abbandonando.
Nelle foto della pubblicità della Shell ci sono i suoi tecnici con le camicie col colletto sbottonato che mostrano denti perfetti (il che prova che non possono essere davvero verdi). Ci raccontano dei loro begli esperimenti con l’energia eolica, l’idrogeno, i carburanti fossili e il gas naturale. Il presidente della Shell nel Regno Unito è stato uno dei 14 firmatari di una lettera scritta dagli imprenditori a Tony Blair la settimana scorsa, nella quale si chiedeva al governo di esercitare “una forte autorità nei confronti della politica nazionale sul cambiamento del clima” per accelerare “la transizione verso un’economia a bassa emissione di carbonio” (2).
Anche la pubblicità della BP ci racconta la stessa storia, illustrata dal suo logo, una specie di girasole verde e giallo che sembra piuttosto quello di un partito dei verdi. Per cui cos’è che stava facendo in Alaska, spargendo in giro petrolio greggio? Le sue stazioni di rifornimento ora non dispensano solo succo di carota?
In realtà l’ultima campagna della BP, “alla ricerca di nuovi modi per vivere senza” petrolio era stata preceduta da pubblicità che si vantava dei suoi nuovi mezzi per trovare la sostanza. “Sviluppando tecnologie innovative come l’Advanced Seismic Imaging della BP, siamo stati in grado di fare delle scoperte che pensavamo fossero impensabili solo dieci anni fa” (3). Ma anche questa campagna cerca di rispondere alle questioni ambientali. Per gli ultimi due o tre anni gli ambientalisti (compreso me) hanno parlato dell’idea che la produzione globale del petrolio avrebbe potuto raggiungere presto il suo picco per poi declinare rapidamente. Sostenevamo che questa possibilità aiutasse a dimostrare che la nostra dipendenza dal petrolio non è sostenibile, e che dobbiamo trovare il modo di liberarcene. Le compagnie petrolifere si sono appropriate delle nostre argomentazioni e le stanno usando per lo scopo opposto: se le riserve di petrolio sono in pericolo, si deve loro permettere di esplorare nuovi campi.
Qualsiasi cosa succeda, non possono perdere. Se investono in nuove esplorazioni e produzioni, si assicurano il controllo dei profitti su una risorsa in diminuzione. Se non investono, come hanno fatto negli ultimi 10 anni, il prezzo cresce e stanno anche meglio. In entrambi i casi fanno talmente tanti soldi che possono anche buttare un paio di milioni senza batter ciglio per sviluppare tecnologie alternative, prendendo così il controllo anche dei futuri mercati dell’energia.
Non fraintendetemi per cortesia. Sono felice che stiano spendendo un po’ dei loro soldi in questo modo. Sono fra le poche aziende in grado di ottenere le economie di scala necessarie per far abbassare i prezzi delle nuove costose tecnologie, come l’energia solare e il carburante a cellule di idrogeno. Il problema è che stanno sviluppando queste nuove capacità non per sostituire la loro produzione di petrolio, ma per integrarla. I prezzi delle loro azioni dipendono dal valore attuale e futuro dei loro capitali. Per assicurarne il valore futuro il loro obiettivo è di costituire un “indice di sostituzione delle riserve” pari al 100%. In altre parole, indipendentemente dalla quantità di petrolio che producono, cercano di sostituirlo con nuove scoperte. La BP finora è riuscita a raggiungere questo obiettivo (4). La caparbietà della Shell nel voler fare lo stesso ha portato allo scandalo due anni fa riguardo le false dichiarazioni sulle sue riserve. L’impressione che hanno creato in alcune delle loro pubblicità, e cioè che stanno cercando di abbandonare il petrolio per passare ad altri prodotti, è ingannevole.
E nonostante siano diventate più trasparenti, più disponibili e meno aggressive nel loro impegno con il pubblico, l’impatto del loro business principale rimane praticamente lo stesso. La BP ha continuato con la sua estrazione di gas naturale dal Tangguh nella Papua occidentale, nonostante questo significhi una collaborazione col governo indonesiano, che ha annesso il territorio e lo controlla attraverso una terribile occupazione militare (5). Tre settimane fa una dimostrazione fuori dalla sede centrale della BP a Londra ci ha ricordato che alcune delle espropriazioni territoriali, del danno ambientale e delle violazioni dei diritti umani associati al suo oleodotto da Baku in Azerbaijan a Ceyhan in Turchia (in funzione dal 27 maggio) non sono state né ammesse né menzionate (6). La BP ammette che il petrolio e il gas che estrae producono circa 570 milioni di tonnellate di diossido di carbonio all’anno (7), circa la stessa quantità che emette il Regno Unito (8). E questo dopo che ha cambiato il suo metodo per escludere alcune delle sue operazioni: altrimenti sarebbe stata responsabile di più del doppio di queste emissioni (9).
Il comportamento della Shell è ancora peggiore. Nonostante dal 1969 in Nigeria sia proibito bruciare in torcia il gas dei pozzi petroliferi (10) (cfr. anche Nigeria: petrolio e inquinamento e gas serra, ndt.), sta continuando a bruciare centinaia di milioni di piedi cubi al giorno, sprecando una risorsa preziosa e producendo più emissioni di carbonio di chiunque altro in tutta l’Africa subsahariana messa insieme (11). Le comunità circostanti sono lastricate di fuliggine appiccicosa. Ad aprile un tribunale in Lagos ha ordinato alla Shell di smettere di bruciare il gas (12), ma questa non ha intenzione di farlo fino al 2009 (13). È stata anche condannata a pagare una multa di 1,5 miliardi di dollari per aver inquinato il delta del Niger, ma non li pagherà in attesa di appello (14).
L’anno scorso ha portato in tribunale cinque uomini di Bog of Erris in Irlanda per essersi rifiutati di permettere che il gasdotto ad alta pressione attraversasse le loro terre. Sono stati in prigione per 94 giorni (15). Gruppi di verdi le hanno chiesto di non estrarre il petrolio dai mari intorno all’isola Sakhalin di fronte alla costa orientale della Siberia, dove una fuoriuscita di petrolio potrebbe far scomparire le ultime 100 balene grigie del Pacifico Occidentale, ma non cederà. Per incrementare le sue riserve ha appena investito altri 2 miliardi di dollari per estrarre petrolio dalle sabbie petrolifere in Canada (16). È difficile escogitare un commercio più inquinante.
Entrambe le compagnie petrolifere si sono fatte più furbe. Hanno smesso di far finta che il cambiamento climatico non esista o che nessuno mai verrà colpito dai loro progetti. La Shell addirittura pubblica una lista delle sue recenti condanne (17). Ma non significa che abbiano smesso di tessere le loro trame. La nuova relazione sulla sostenibilità della Shell, per esempio, dice che ridurrà le sue emissioni di diossido di carbonio “fino a 2,5 tonnellate all’anno” sotterrando il gas in vecchi giacimenti di petrolio nel Mare del Nord (18). Ma lo sta facendo per riuscire a fare uscire del petrolio inaccessibile dai bacini. Non spiega se le 2,5 tonnellate sono un risparmio lordo o netto (dopo aver tenuto conto della combustione del nuovo petrolio). Sospetto si tratti della prima possibilità, ma finché il Regno Unito non avrà delle leggi efficaci sulla rendicontazione delle aziende, le società potranno continuare a darci solo l’informazione che fa loro comodo.
La BP e la Shell stanno alla Exxon come il nuovo partito laburista sta ai vecchi Tories. È cambiato il linguaggio, ma le politiche sono molto simili. La politica di negazione e di aggressione che ha caratterizzato l’approccio di Shell ai tempi della campagnia di Brent Spar e l’impiccagione di Ken Saro-Wiwa è finita. Mi sembra però che questo le renda solo più pericolose.
REFERENZE:
1. Terry Macalister, 9th June 2006. BP admits it faces criminal inquiry into Alaskan spill. The Guardian; Bloomberg, 8th June. BP Faces Grand Jury Probe Over March Alaska Oil Spill.
http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=10000102&sid=aB0f2Gu.sFZU&refer=uk
2. The Corporate Leaders Group on Climate Change, 5th June 2006. Letter to Tony Blair. Text of letter sent to me by the BBC.
3. Eg advert in the New Statesman, 8th May 2006.
4. BP, 2006. Making Energy More: sustainability report 2005, p3.
PDF
5. See George Monbiot, 3rd May 2005. In Bed with the Killers. The Guardian.
http://www.monbiot.com/archives/2005/05/03/in-bed-with-the-killers/
6. http://www.bakuceyhan.org.uk/about.htm. See also George Monbiot, 3rd September 2002. Trouble in the Pipeline. The Guardian.
http://www.monbiot.com/archives/2002/09/03/trouble-in-the-pipeline/
7. BP, 2006, ibid, p41.
8. HM Government, 2006. Climate Change: The UK Programme 2006, p31. To convert tonnes of carbon into tonnes of CO2, you multiply by 3.667.
http://www.defra.gov.uk/environment/climatechange/uk/ukccp/pdf/ukccp06-all.pdf
9. Ashley Seager and Simon Bowers, 21st April 2006. BP attacked over CO2 emissions. The Guardian.
10. http://www.foe.co.uk/campaigns/corporates/case_studies/shell/index.html
11. Terry Macalister, 12th April 2006. Shell ordered to stop flaring off excess gas. The Guardian.
12. ibid.
13. Shell, 2006. Meeting the Energy Challenge: The Shell Sustainability Report 2005, p27.
http://www.shell.com/static/hongkong-en/downloads/news_and_library/shell_sustainability_report_2005.pdf
14. Howard Lesser, 24th May 2006. Shell Oil Company Refuses to Pay Fine.
http://www.voanews.com/english/Africa/2006-05-24-voa55.cfm; Rory Carroll, 25th February 2006. Shell told to pay Nigerians $1.5bn pollution damages. The Guardian.
15. See http://www.corribsos.com/index.php?id=1&type=page and
http://www.indymedia.ie/newswire.php?story_id=70547
16. Terry Macalister, 2nd June 2006. The next big thing or a risky gamble: Shell looks to turn sand into oil. The Guardian. Shell is already the major partner in the Athabasca development.
17. Shell, 2006, ibid, p17.
18. ibid, p10.
George Monbiot
Fonte: http://www.guardian.co.uk/Columnists/Column/0,,1796114,00.html
Link: http://www.monbiot.com/archives/2006/06/13/still-drilling/#more-992
13.6.2006
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da OLIMPIA BERTOLDINI