A CURA DEL CLUB ORLOV
Ci stiamo confrontando con un periodo di collasso economico, politico e sociale. Ogni giorno che passa ci avvicina sempre di più a questo collasso e non sappiamo nemmeno come fermarci, vero? Ma, quale parte della frase “più duramente ci si prova, più duramente si cade” non capiamo? Perché non siamo in grado di capire che ogni dollaro in più di debito ci porta sempre più velocemente, più duramente e più profondamente verso la bancarotta? Perché non riusciamo ad afferrare il concetto che ogni dollaro investito in spese militari mina la nostra sicurezza? Esiste per caso qualche sorta di debolezza mentale che ci impedisce di capire che ogni dollaro che finisce nell’industria medica ci rende solo più malati? Perché non riusciamo a vedere che ogni figlio messo al mondo in questa situazione insostenibile renderà solo la vita più difficile a tutti i bambini? In breve, quale diavolo è il nostro problema?
Perché non ci fermiamo? Possiamo dare la colpa all’evoluzione, che ha prodotto in noi degli istinti che ci obbligano ad ingozzarci quando il cibo è abbondante, a costruirci riserve di grasso per i periodi di magra. Questi istinti non ci sono utili quando ci si trova in uno di quei buffet sempre aperti. Questi istinti non sono nemmeno del tutto nostri: anche altri animali non sanno quando fermarsi. Le farfalle banchettano con la frutta fermentata fino a quando non sono troppo ubriache per volare. I maiali continuano a mangiare ghiande fino a quando non sono troppo grassi per stare in piedi e sono costretti a carponare sulla pancia per, ovviamente, riuscire a mangiare altre ghiande.
Gli americani che sono troppo grassi per camminare sono considerati come dei disabili e il governo li ha dotati di scooter motorizzati affinché non provino l’umiliazione di carponare sulle loro pance fino ad un buffet all-you-can-eat. Un progresso considerevole.
Oppure diamo colpa alla nostra educazione che mette il ragionamento matematico in cima al senso comune. La matematica fa uso dell’induzione – cioè l’idea che se uno più uno fa due quindi due più uno deve fare tre e così via fino all’infinito. Nel mondo reale, contando le ghiande, una ghianda più una ghianda non è lo stesso di un milione di ghiande più una – non se ci sono scoiattoli che ci girano attorno, soprattutto una volta scoperto che siete stati voi i primi a rubare le loro ghiande. Un milione di ghiande è semplicemente una quantità impossibile da portarsi via e voi siete concentrati invece a trovare il modo per aggiungerne ancora una alla pila mentre state combattendo contro gli scoiattoli facendo venir voglia ai bambini di iniziare a deridervi con nomi stupidi. La pila di ghiande cresce, ancora più di quanto previsto ma in questo modo non state facendo altro che commettere un errore sempre più grande dimostrando che 1.000.000 + 1 è effettivamente 1.000.001 – ∂, dove ∂ è il numero di ghiande di cui avete perso le tracce, chissà dove. Una volta che ∂ > 0, voi avete in realtà messo da parte qualcosa che è in diminuzione e una volta che ∂ > 1 avrete un vero e proprio risparmio negativo. Nella realtà dei fatti, per quanto pensiate possa questo essere un grande numero, nella realtà, si rivelerà sempre più piccolo. Come risultato può non essere soddisfacente e non ci sono teorie a supporto di questa tesi ma, in compenso, è qualcosa che si può osservare ovunque. Il fatto è che non siamo in grado di spiegare tutto ciò che succede usando solo il nostro cervellino da primate ma questo non rende i fenomeni meno reali.
Il concetto di risparmio decrescente è abbastanza semplice da comprendere e da osservare, eppure è notoriamente difficile da percepire dalle persone che stanno cercando di ottenerlo. Il punto centrale del risparmio decrescente effettivamente è difficile da individuare perché ci siamo allontanati talmente tanto da quel punto da non essere in grado di riconoscere niente. Se voi ora beveste un drink sapreste dirmi quando sarete al punto di ottenere un risparmio decrescente? Un altro drink vi renderebbe più felici e socievoli o non farebbe poi molta differenza? Oppure vi causerà un imbarazzante dopo-sbronza? O ancora, vi farà arrivare al pronto soccorso perché avete respirato il vostro vomito? Come regola generale, più di quanto possiate pensare, tutto dipende dalla difficoltà per voi di tracciare delle sottili distinzioni tra tutte queste cose. Questa regola non è legata solo al bere ma si può applicare a quasi tutti i comportamenti legati alla produzione di euforia o alla semplice soddisfazione dei bisogni. La maggior parte di noi è in grado di fermarsi prima di bere troppa acqua o mangiare troppo porridge o di accatastare troppe balle di fieno. Invece tendiamo a commettere degli errori con l’autocontrollo quando si parla di cose particolarmente piacevoli o che causano assuefazione come droghe, tabacco, alcol e cibi particolarmente gustosi. In più tendiamo a perdere completamente l’autocontrollo quando quest’iniezione di euforia riguarda aspetti sociali quasi intangibili come l’ingordigia, la ricerca di uno status, il potere e così via.
Questo è il meglio che siamo in grado di fare? Assolutamente no! La cultura umana è piena di esempi in cui le persone decidono di opporsi con successo a queste tendenze primitive. Gli antichi greci fecero della moderazione una virtù: il tempo di Apollo a Delfi porta l’iscrizione “Niente in eccesso”; la tradizione taoista si basa sull’idea di equilibrio tra lo ying e lo yang, forze apparentemente in contrasto ma che in realtà lavorano insieme per mantenere questo equilibrio. Anche nella moderna cultura dell’ingegneria esiste il motto “Il meglio è nemico del bene” (Voltaire) sebbene, sfortunatamente, gli ingegneri abbastanza bravi da rispettare questo motto siano una rarità. A livello microscopico il business che li circonda li forza perennemente ad ottenere il massimo (inteso come massima crescita, reddito e profitto) o un minimo poco intelligente (di costi, di ciclo di produzione e di manutenzione); sono costretti a fare questo a causa dell’influenza di un pernicioso concetto che si è insinuato in loro e in molti altri aspetti della cultura: il concetto di competizione.
Il concetto di competizione sembra essere stato il primo ad elevarsi allo status di culto al tempo dei giochi intesi come forma di sacrificio agli dei, in culture molto differenti come quella dell’antica Grecia o dei Maya, in cui gli eventi competitivi erano concepiti come mezzo per compiacere gli dei. Io preferisco decisamente la versione olimpica, in cui il principio ispiratore del gioco era l’ideale di perfezione umana sia nella forma che nella funzione, rispetto a quella dei Maya, in cui risultato dei giochi era il modo per decidere chi sarebbe stato sacrificato sull’altare di qualche particolare archetipo culturale, ma essendo abbastanza di mentalità aperta sono in grado di accettare anche questo principio come valido. È stato Aristotele a sottolineare che l’inseguimento del principio primo non è un’area in cui la moderazione non può essere d’aiuto, e chi sono io per contraddire Aristotele? Ma quando ci si sposta dal difendere un ideale o un principio alla vita mondana, pratica e utilitaristica, è l’idea stessa della competizione che dovrebbe essere vista come un’offerta buona, calda e gustosa sacrificata sull’altare del nostro buon senso.
Se il fine è conseguire un successo adeguato con uno sforzo minimo, perché due persone dovrebbero competere per uno stesso lavoro? E se esiste abbastanza lavoro per tutti e due perché questi non dovrebbero collaborare invece di sprecare energie nella competizione? Beh, forse ad entrambi è stato fatto il lavaggio del cervello che li ha portati a pensare di dover competere per avere successo, ma non è questo il punto. Il punto è che c’è una grande differenza tra il competere per rispondere ad un principio come quello della perfezione divina e il competere per il mero denaro. Non c’è niente di divino in una montagna di soldi e, proprio come per una montagna di ghiande, gli scoiattoli attratti saranno molti; infatti chi si trova seduto su una qualche pila di ghiande spesso sembra egli stesso uno scoiattolo. Mischiando un po’ di metafore si può dire che sembri una gallina che sta arrostendo sulla sua pila di ghiande non aspettando altro che quella si trasformi in più ghiande ancora; ma sia che siano scoiattoli o galline certamente non si tratta di divinità e le loro ghiande non valgono certo il nostro sacrificio.
Una volta dispensata l’idea che la competizione è qualcosa di necessario, o addirittura auspicabile, si aprono nuove scuole di pensiero. Quando si può dire di possedere abbastanza? Probabilmente è molto meno di quanto possediamo in questo momento. Quanto duramente bisogna lavorare per riuscire ad ottenere questo risultato? Probabilmente molto più duramente di quanto stiamo lavorando adesso. Cosa succede se non sentiamo di possedere abbastanza? Beh, probabilmente sarebbe il caso di metterci un po’ più di impegno, oppure forse è arrivato il momento di prendersi qualche ghianda da chi continua ad averne troppe. Dato che possedere troppo è un lavoraccio (maledetti scoiattoli!) noi dobbiamo prestare loro il nostro aiuto. Di certo non a diventare come loro, dato che noi sappiamo che quelle persone si stanno dirigendo verso un pittoresco, esclusivo, piccolo posto chiamato collasso. Quello che probabilmente potremmo fare è invece stabilire una specie di bilancia, in cui abbastanza è effettivamente abbastanza.
Titolo originale: “Collapse Competitively”
Fonte: http://cluborlov.blogspot.com
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02.04.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RAFFAELLA COLOMBI