DI ERIK CURREN
Transition Voice
“Voglio dichiarare guerra alla
Cina”, ha detto il promettente candidato alle presidenziali Rick Santorum nel corso di un recente dibattito del Partito
Repubblicano, mostrando una cavernosa mancanza di un qualsiasi buonsenso
che è diventata il suo segno distintivo. Tuttavia, Santorum stava probabilmente
parlando a nome di molti americani che temono che la Cina presto potrebbe
superare gli Stati Uniti nel ruolo di prima potenza mondiale.
Per contro, molti di quegli stessi
Americani pensano forse all’Arabia
Saudita, i cui prìncipi
riconoscenti sembrano sempre essere sul punto di pompare più greggio
nei mercati mondiali per moderare i picchi del prezzo del petrolio,
come farebbe il migliore amico dell’automobilista americano.
Ma che succederebbe se le cose cambiassero
e il Regno diventasse il flagello degli Americani infedeli, mentre la
Repubblica Popolare si trasformasse nel nostro più grande alleato?
Queste sono le premesse geopolitiche del nuovo thriller sul picco
del petrolio di R. Michael Conley, Lethal
Trajectories.
Orgoglio e pregiudizio
Ogni thriller ha bisogno del
cattivo e Conley ci regala Mustafà, un principe saudita simile a Bin
Laden che si propone di intraprendere la jihad a Riad dall’interno
delle più alte sfere della società saudita.
Conley – da non confondere con Michael
Connelly che ha scritto The
Lincoln Lawyer – dota
Mustafà di una tale consistenza da elevarlo al di sopra di un perfido
semplice e melodrammatico. Con “la mascella quadrata assomiglia
a un giovane Omar Sharif e [Mustafà] odia il modo peccaminoso con cui
l’economia guidata dal petrolio a poco a poco allontanato la società
islamica dalla retta via”.
Per riportare il regno alla religione
di un tempo, il pio principe recluta un gruppo segreto di golpisti,
tra cui un mullah estremista e una banda di ufficiali militari,
per rovesciare i propri consanguinei della decadente Casa di Saud, cacciare
tutti gli Occidentali e quindi dichiarare una jihad globale utilizzando
il petrolio saudita come ultima arma di ricatto politico.
I cospiratori aspettano il loro momento
fino a quando gli Stati Uniti non vengono distratti da uno scontro tra
Cina e Giappone riguardo una piattaforma petrolifera contestata nel
Mar Cinese Orientale. Mentre le navi statunitensi si dirigono verso
il Pacifico e la Casa Bianca è bloccata nel tentativo di calmare gli
agitatori di Pechino e Tokyo, Mustafà coglie l’opportunità di colpire
Riad.
Il risultato, come Conley dice, è
una “tempesta perfetta” di crisi geopolitiche che manda al collasso
la già agonizzante economia mondiale del 2017. Una volta stabilitisi
nel palazzo a Riad, i cospiratori vittoriosi, sotto il comando del nuovo
re Mustafà, richiamano tutte le petroliere saudite in porto. Poi annunciano
un embargo globale immediato e iniziano a fare pressioni affinché i
loro piccoli, inermi vicini di casa si uniscano loro, bloccando di fatto
la maggior parte del petrolio OPEC per costringere le altre nazioni
ad accettare una serie di dure richieste, tra le quali l’isolamento
di Israele.
E, come se non bastasse, la tempesta
aumenta di intensità. Il Presidente degli Stati Uniti sta morendo di
cancro, mentre la crisi del Pacifico resta su livelli alti, l’economia
nazionale inizia a collassare, i prezzi del gas arrivano a 10 dollari
al gallone e l’ala destra politica e i vari esperti chiedono la testa
del presidente morente e del suo successore. Persino i climatologi non
possono evitare di gettare benzina sul fuoco, avvertendo che il mondo
ha infine raggiunto il punto di non ritorno verso l’anarchia atmosferica.
Ragione e sentimento
Quest’ultimo tipo di persone ci porta
all’altro importante cattivo del romanzo, il magniloquente esperto
televisivo Wellington Crane (chiaramente modellato su Rush Limbaugh), che vede come il gradimento radiofonico
diventa oro nel periodo di profondo stress della nazione. Mentre colpisce
la Casa Bianca per la sua linea morbida sia contro i comunisti che la
jihad islamica, la sua popolarità decolla. Ma la sua stessa arroganza
lo spinge troppo oltre.
Una delle mie scene preferite è
quando l’ultra fiducioso Crane discute con il vicepresidente Clayton
McCarty in un dibattito finanziario in televisione. McCarty se ne intende
di energia e di ambiente, mostra una passione per la scienza climatica
paragonabile ad Al Gore e un buonsenso sul picco del petrolio pari al
deputato repubblicano
Roscoe Bartlett. È soddisfacente
vedere McCarty trionfare sull’antipatico e male informato Crane, che
chiaramente segue la
scuola di Daniel Yergin,
ovvero che il picco del petrolio è molti anni di là a venire.
Sì, è poco realistico pensare
che un vice-presidente degli Stati Uniti possa mai essere così
sensibile e ben informato riguardo al picco del petrolio. Ma non si
può biasimare un uomo per voler sognare.
Crane sciorina una teoria dietro l’altra
su come i combustibili fossili non convenzionali possano produrre abbondanza
di petrolio: i giacimenti di scisto nelle Montagne Rocciose, l’Arctic
National Wildlife Refuge in Alaska, il petrolio nelle acque profonde
nel Golfo, eccetera. Quindi, McCarty le confuta tutte, non per ragioni
ambientali ma economiche. Ciò permette al vicepresidente di dare una
spiegazione magnificamente esaustiva del perché l’attuale situazione
del picco del petrolio sia peggiore di quanto possiamo immaginare, se
a questa si aggiunge il problema del picco della produzione.
Cosa sto suggerendo?
Solo questo – a differenza del concetto geologico di picco del petrolio,
il picco di produzione riflette limitazioni sia geologiche che post-estrazione,
come le condizioni del mercato, i costi di produzione, le considerazioni
geopolitiche, la disponibilità degli impianti e delle attività
di perforazione in acque profonde, le sfide tecnologiche e simili. Quando
si perfora, attraverso diecimila piedi di acqua, per ventimila piedi
sotto il pavimento oceanico in cerca di petrolio, il costo della perforazione,
dell’estrazione e della lavorazione alla fine supera il valore commerciale
del petrolio. […] Il picco di produzione
è come dire “Potrei anche trovare nuovo petrolio a venti dollari
al gallone, ma chi lo comprerà?”
Persuasione
In definitiva, l’esito della storia
verte su una domanda: cosa succederà con la Cina, che rimane il maggior
partner commerciale degli USA nonostante una nascente guerra fredda
tra le due potenze.
Conley, che ha prestato servizio come
tecnico delle comunicazioni nella Marina, conosce la sua geopolitica
bene come il suo armamentario, esperienza che dimostra in quaranta pagine
di appunti piazzati discretamente alla fine del libro. Eppure, per essere
un deciso militare, che ha anche lavorato nel campo delle assicurazioni,
Conley mostra un cuore tenero.
Alcune delle scene più coinvolgenti
del libro hanno luogo nella città di Mankato, nella depressa Rust Belt, nello stato nativo
di Conley, il Minnesota, dove il ministero del pastore Veronica Larson,
“Life Challenges”, presta soccorso alle persone messe male
finanziariamente nell’ottica di un circolo
di resilienza, con appoggio
fornito ai disoccupati e la condivisione dei mezzi per coloro che ancora
fanno i pendolari, ma che non possono affrontare il costo del carburante
delle proprie auto.
So che Conley è un vecchio sentimentale,
perché alla fine quelli che cooperano con alleati improbabili
vincono su quelli che competono semplicemente per i propri interessi.
E questo è un messaggio che non troverete in ogni thriller
politico. O in nessun romanzo sul picco del petrolio, molti dei quali
tendono a un’apocalisse intensamente individualistica dove le comunità
si sgretolano rapidamente e la sopravvivenza proviene dalla canna di
un fucile.
Chiamatelo ingenuo, ma Conley pensa
che la civiltà industrializzata sia in grado di salvarsi dal collasso
programmato del petrolio se i cittadini, insieme con i dirigenti mondiali,
smettessero di pensare con il portafogli e iniziassero a farlo con il
cuore.
I cittadini potrebbero già essere
pronti. Ma, anche se il movimento Occupy ci ha permesso di metterlo
in luce, i
nostri leader sono ancora ben finanziati dalle
multinazionali. Così,
dato per certo il potere dei plutocrati, prima che possiamo mai eleggere
un vicepresidente McCarty disposto a traghettare l’America oltre il
petrolio, dobbiamo prima far sloggiare Exxon
Mobil e la Camera di Commercio da Washington.
Un grande compito, forse impossibile
in questa fase. Ma a meno che non vogliate alzare le mani per la disperazione,
un buon inizio potrebbe essere smettere di ascoltare persone come Rick
Santorum, di promuovere entusiasticamente i propri spaventosi interessi
e di mercanteggiare la guerra e iniziare ad ascoltare più da vicino
persone come Comley. Cosa succederebbe se i nostri più grandi rivali
diventassero i nostri migliori amici e le nostre più grandi sfide diventassero
le opportunità che ci riscattano?
Fonte: How Saudi oil could start World War III
05.12.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ALESSANDRA BALDELLI