DI GEORGE LAKEY
Waging Nonviolence
Se molti di noi stanno lavorando per
assicurare che il movimento Occupy abbia un impatto durevole, vale la
pena considerare altri paesi in cui masse di persone sono riuscite a
instaurare in modo non violento un alto grado di democrazia e di giustizia
economica. La Svezia e la Norvegia, ad esempio, hanno visto un drastico
cambiamento di potere negli anni ’30 dopo una prolungata lotta non
violenta. Hanno “licenziato” l’elite dell’1 per cento della
popolazione che determinava la direzione della società e hanno creato
la base per qualcosa di diverso.
I due stati avevano una storia di orrenda
povertà. Quando l’1 per cento era al potere, centinaia di migliaia
di persone emigravano per evitare la fame. Sotto la leadership
della classe operaia, invece, entrambi i paesi hanno costruito economie
robuste e di successo che hanno quasi eliminato la povertà, ampliato
l’accesso all’istruzione universitaria gratuita, abolito i quartieri
poveri, fornito un eccellente servizio sanitario accessibile a tutti
e creato un sistema di pieno impiego. Contrariamente ai norvegesi, gli
svedesi non hanno trovato il petrolio, ma questo non ha loro impedito
di costruire quello che il più recente World Factbook della
CIA definisce “un invidiabile standard di vita”.
Nessuno di questi paesi è un’utopia,
come sapranno i lettori dei libri “crime” di Stieg Larsson,
Kurt Wallender e Jo Nesbro. Gli autori critici di sinistra come loro
cercano di spingere la Svezia e la Norvegia verso società ancor più
giuste. Tuttavia, da attivista americano che ha visitato la Norvegia
da studente per la prima volta nel 1959 imparandone parte della lingua
e della cultura, i risultati che ho visto mi hanno stupito. Ricordo,
per esempio, di essere andato in bicicletta per ore attraverso una piccola
città industriale, cercando invano delle abitazioni sotto standard.
A volte resistendo alla prova di ciò che vedevano i miei occhi, ho
inventato storie che “giustificassero” le differenze che vedevo:
“piccolo stato”, “omogeneo”, “un consenso di valore”. Ho
infine rinunciato a imporre i miei schemi a questi stati, imparando
la vera ragione: le loro storie.
Poi ho cominciato ad apprendere che
gli svedesi e i norvegesi hanno pagato un prezzo per il loro tenore
di vita attraverso la lotta non violenta. C’è stato un periodo in
cui i lavoratori scandinavi non si aspettavano che l’arena elettorale
potesse portare ai cambiamenti in cui credevano. Compresero che, con
l’1 per cento al potere, la “democrazia” elettorale era diretta
contro di loro, quindi serviva un’azione diretta non violenta per
esercitare il potere di cambiamento.
In entrambi gli stati le truppe furono
schierate per difendere l’1 per cento; morirono delle persone. Il
premiato regista svedese Bo Widerberg ha raccontato vividamente la storia
della Svezia nel film Adalen 31, che narra dei lavoratori uccisi
nel 1931 e dell’inizio di uno sciopero generale in tutta la nazione.
(Sull’argomento, lette anche un articolo di Max Rennebohm nel Global Nonviolent Action
Database).
I norvegesi hanno avuto vita più
dura nell’organizzare un movimento popolare coeso, perché la scarsa
popolazione della Norvegia – circa tre milioni di persone– era sparsa
su un territorio grande quanto la Gran Bretagna. Le persone erano separate
da fiordi e montagne, e parlavano dialetti regionali nelle valli isolate.
Nel diciannovesimo secolo la Norvegia era sotto il governo della Danimarca,
poi sotto quello della Svezia; nel contesto europeo i norvegesi erano
i “provincialotti di campagna”, gente di poca importanza. La Norvegia
non è diventata indipendente fino al 1905.
Quando i lavoratori dettero vita ai
sindacati all’inizio del ‘900, si rivolsero in gran parte al Marxismo,
organizzandosi per la rivoluzione oltre che per risultati immediati.
Gioirono per il rovesciamento del regime dello zar di Russia, e il Partito
Laburista Norvegese si affiliò all’Internazionale Comunista organizzata
da Lenin. Ma i laburisti non ci rimasero a lungo. Una ragione per cui
la maggior parte dei norvegesi divergeva dalla strategia leninista era
l’approccio alla violenza: i norvegesi volevano vincere la loro rivoluzione
con una lotta collettiva non violenta, oltre ad instaurare cooperative
e a utilizzare l’arena elettorale.
Negli anni ’20 l’intensità degli
scioperi aumentò. La città di Hammerfest formò una comune nel 1921,
guidata da consigli di lavoratori; intervenne l’esercito per annientarla.
La risposta dei lavoratori si spostò verso uno sciopero generale nazionale.
I datori di lavoro, con il sostegno dello stato, combatterono lo sciopero,
ma i lavoratori intrapresero nuovamente lo sciopero degli operai metallurgici
del 1923-24.
L’1 per cento norvegese decise di
non fare affidamento solo sull’esercito; nel 1926 formò un movimento
sociale chiamato la Lega Patriottica che reclutò principalmente gli
appartenenti al ceto medio. A partire dagli anni ’30, la Lega contava
nientemeno che centomila persone per la protezione armata degli oppositori
agli scioperi, e si parla di un paese di appena tre milioni di persone!
Il Partito Laburista, nel frattempo,
aprì le iscrizioni a tutti, sia che fossero o meno in un posto
di lavoro sindacalizzato. I marxisti del ceto medio e alcuni riformisti
si iscrissero al partito. Molti lavoratori delle fattorie rurali si
associarono al Partito Laburista, come pure alcuni piccoli proprietari
terrieri. La dirigenza laburista comprese che, in una lotta protratta,
erano necessarie una costante solidarietà e un’organizzazione per
una campagna non violenta. Nel mezzo di una crescente polarizzazione,
i lavoratori norvegesi lanciarono un’altra ondata di scioperi e boicottaggi
nel 1928.
La depressione toccò il fondo
nel 1931. C’erano più persone disoccupate che qualsiasi altro stato
nordico. Contrariamente agli Stati Uniti, il movimento sindacale norvegese
mantenne come soci le persone che avevano perso il lavoro, anche se
non potevano pagare le quote. Tale decisione portò come risultato a
mobilitazioni di massa. Quando la federazione dei datori di lavoro chiuse
gli operai fuori dalle fabbriche per cercare di costringerli a una riduzione
degli stipendi, i lavoratori risposero con massicce dimostrazioni.
Molte persone scoprirono allora che
i propri mutui erano a repentaglio (suona familiare?) La crisi proseguì
mentre gli agricoltori non erano più in grado di continuare a
ripagare i propri debiti. Quando la turbolenza colpì il settore
rurale, si riunirono gruppi non violenti per scongiurare lo sfratto
delle famiglie dalle loro fattorie. Il Partito Agrario, che comprendeva
i grandi agricoltori ed era stato precedentemente un alleato del Partito
Conservatore, iniziò a distanziarsi dall’1 per cento; qualcuno poté
intravedere che l’abilità dei pochi di governare i molti era in dubbio.
Nel 1935 la Norvegia era sull’orlo
del crollo. Il governo guidato dai Conservatori perdeva legittimità
di giorno in giorno; l’1 per cento diventava sempre più disperato
mentre cresceva l’attivismo tra lavoratori e agricoltori. Un completo
rovesciamento sarebbe potuto avvenire in un paio d’anni appena, pensarono
i lavoratori radicali. Tuttavia, la miseria degli indigenti divenne
quotidianamente più urgente e il Partito Laburista sentì crescere
la pressione da parte dei suoi membri per alleviarne le sofferenze,
cosa che poteva fare solamente se avesse preso le redini del governo
in un accordo di compromesso con la controparte.
E così fece. Con una trattativa
che consentì ai proprietari di conservare il diritto di possedere e
gestire le proprie ditte, la sinistra nel 1935 salì al governo in coalizione
col Partito Agrario. Ampliarono l’economia e avviarono progetti di
spesa pubblica per favorire una politica del pieno impiego che era diventata
la pietra di volta della politica economica norvegese. Il successo del
Partito Laburista e il protratto attivismo dei lavoratori permisero
regolari incursioni contro i privilegi dell’1 per cento, fino al punto
che la maggioranza delle proprietà delle grandi aziende fu rilevata
nell’interesse pubblico. (C’è un articolo anche su questo argomento
nel Global
Nonviolent Action Database).
L’1 per cento perse pertanto il potere
storico di dominio sull’economia e sulla società. Solo tre decenni
più tardi i Conservatori poterono tornare in un governo di coalizione,
avendo accettato le nuove regole del gioco, una quota elevata della
proprietà pubblica dei mezzi di produzione, una tassazione estremamente
progressista, una forte regolamentazione dell’economia per il bene
comune e la letterale abolizione della povertà. Quando i Conservatori
tentarono alla fine un flirt con le politiche neoliberiste, l’economia
generò una bolla, dirigendosi verso il disastro. (Suona familiare?)
I Laburisti sono quindi entrati in
campo, hanno preso le tre banche più grandi, licenziato i top
manager, lasciato gli azionisti senza un centesimo e si sono rifiutati
di salvare alcuna delle banche più piccole. Il purificato settore finanziario
norvegese non è stato uno di quelli che hanno vacillato nella
crisi del 2008; attentamente regolato e in gran parte nazionalizzato,
il settore era solido.
Sebbene i norvegesi non ve lo diranno
la prima volta che li incontrerete, rimane il fatto che l’alto livello
di libertà e di prosperità ampiamente condivisa della loro società
è iniziato quando i lavoratori e gli agricoltori, insieme agli alleati
della classe borghese, hanno intrapreso una lotta non violenta che ha
dato potere alla gente di governare per il bene comune.
Fonte: How Swedes and Norwegians broke the power of the ‘1 percent’
25.01.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI