DI EDWARD MILLER
Global Research
Gli scettici del clima hanno messo
la quinta alla propria campagna prima della Conferenza dell’UNFCCC
di Durban con un nuovo giro di email trapelate, con lo scopo di controbattere
l’ipotesi del cambiamento climatico provocato dall’uomo.
Come possono rispondere i giornalisti
e gli ambientalisti a queste ultime ipotesi per evitare di sabotare
gli sforzi fatti sinora?
Lo scandalo del “climategate”
è scoppiato una prima volta nel novembre 2009 poco prima del Copenhagen
Climate Change Summit delle Nazioni Unite con la pubblicazione di centinaia
di email e di documenti che riguardavano la divisione per la Ricerca
Climatica alla East Anglia University. Questi scambi sollevarono
interrogativi sulla forza delle prove scientifiche a sostegno dell’intervento
dell’uomo nel cambiamento climatico, e i media mainstream colsero
la palla al balzo. Gli scettici, appena in tempo per sollevare un polverone
su Durban, hanno colpito ancora con un nuovo mucchio di email trapelate
(1).
Gli scettici hanno alzato il tiro per
veicolare il proprio messaggio e questo nuovo attacco negazionista
fornisce loro un carico di munizioni per poter continuare l’assalto. Ma
le cose stanno a questo modo?
Climategate 1: come dare una spinta ai motori negazionisti
Gli informatori e i leaker hanno
contribuito a mantenere pulita e responsabile la società e, nel caso
ci sia un forte interesse collettivo in gioco, anche le iniziative illegali
possono essere giustificate. In questo caso le email pubblicate
descrivono quattro scienziati che travisano dati, ne nascondono altri
e tentano persino di distruggere materiale soggetto a richieste effettuate
in base ai principi della libertà di informazione. Queste iniziative
rappresentano una evidente omissione della deontologia scientifica,
e un ripudio assoluto della propria responsabilità sociale. Dati i
costi sociali ed economici richiesti da una strategia che abbia lo scopo
di mitigare gli effetti del cambiamento climatico, è cruciale che le
politiche siano fondate sui migliori dati a disposizione e per questo
la disponibilità di queste informazioni è fondamentale.
Malgrado questa bufera, la comunità
scientifica sembrava avere dei dubbi. Sei commissioni (la House of
Commons Science and Technology Committee, il Science Assessment
Panel, la National Science Foundation (britanniche), la
Pennsylvania State University, un gruppo di controllo indipendente
sul Cambiamento Climatico e l’Environmental Protection Agency
degli Stati Uniti) avviarono proprie indagini.
Pur avendo criticato la mancanza di
trasparenza riguardo i dati, il consenso scientifico sulla responsabilità
umana nel cambiamento climatico è rimasto invariato. La presenza
di un cambiamento climatico in corso ha centinaia di argomenti differenti
e prove a favore, e queste email ne toccavano solo alcuni. In
breve, poche delle conoscenze odierne della scienza del clima sono state
trattate da queste email.
La tempistica in questo caso è
stata fondamentale. Queste commissioni si sono prese del tempo per valutare
le prove a disposizione, e quando restituirono i risultati a Copenhagen
le negoziazioni erano già terminate. Anche se è impossibile dirlo con
certezza, c’è una certa possibilità che la saga del climategate
abbia fortemente indebolito gli Accordi di Copenhagen. È stato realizzato
un accordo che non ha alcun obbligo vincolante che possa farci uscire
dal percorso che conduce ai 4 gradi di aumento rispetto alla media dell’epoca
industriale, il doppio di quanto l’IPCC
ritiene capace di provocare “un pericoloso cambiamento climatico”.
Anche se gli scienziati non erano convinti,
la ricaduta sull’opinione pubblica dovuta allo scandalo è stata molto
più severa. Un resoconto (2) del George Mason University Centre
for Climate Change Communication ci dice che il Climategate
“ha aggravato e forse cementato il calo già
osservato nell’opinione pubblica del fatto che ci sia un riscaldamento
climatico, che sia causato dall’uomo, e che sia davvero preoccupante”,
e che ha anche eroso la fiducia nella comunità scientifica. Altri fattori,
come la rivelazione che nel report del 2007 dell’Intergovernmental
Panel on Climate Change ci fosse un’affermazione scorretta e proveniente
da una fonte impropria secondo cui i ghiacciai dell’Himalaya si sarebbero
completamente sciolti nel 2035, e gli eccessi episodici di tempo più
freddo hanno accelerato questa tendenza.
Come si può spiegare questa grande
discrepanza tra la comunità scientifica e la gente comune? Uno
studio (3) del Reuters Institute for the Study of Journalism
ci mostra che durante il Summit di Copenhagen la copertura dei media
ha dato poca voce alla scienza del clima. Analizzando più di 400 articoli
dei media di dodici nazioni, lo studio ha dimostrato che i pezzi
che riguardavano la scienza del cambiamento climatico rappresentavano
meno del 10% di tutti i reportage soggetti a scrutinio, e circa
l’80% degli articoli menzionati hanno riservato meno del 10% dello
suo spazio alla scienza del clima. I notiziari plasmano la comprensione
che abbiamo del mondo, e senza riconciliare le rivelazioni del climategate
con il punto di vista degli scienziati del clima, quelli che cercano
di portare in primo piano il cambiamento climatico hanno subito un duro
colpo.
Climategate 2: Tenere la macchina
ben oliata
Saltiamo al 22 novembre e improvvisamente
un’altra tranche di 5.000 email (scelte su un totale
di 220.000) sono state trafugate da un server russo. Come con i cablogrammi
di Wikileaks, senza un’analisi esaustiva di tutte le mail è difficile
sapere quali contengano le rivelazioni più importanti. La maggior parte
dei blog degli scettici del clima, che hanno prima venerato eccitati
queste mail, hanno ridotto le rimostranze a poche citazioni, come
“E se il cambiamento climatico
fosse solo una fluttuazione naturale multidecennale? Ci potrebbero uccidere“;
“Il risultato per la stabilizzazione
a 400ppm [parti per milione nell’atmosfera] mi sembra strano in molti
casi […] Se così fosse, dovremo cancellare i risultati dall’articolo
se dovesse essere pubblicato“; e
“Mi trovo nella strana posizione
di essere scettico sulla qualità di tutte le attuali ricostruzioni,
un po’ da fanatici dell’effetto serra!“
Prese isolatamente, queste citazioni
suggeriscono conclusioni molto gravi, proprio come le prime email.
Ma viste
nel proprio contesto, la
gran parte delle citazioni perde la propria forza controversa.
Comunque, considerando l’impatto
del primo climategate, la minaccia deve essere presa molto seriamente,
specialmente nel cammino verso Durban. Ne ho parlato con Richard Dent,
un consulente di politica e comunicazione per il cambiamento climatico
con il Climate Communications Forum. Ha affermato che, malgrado
la mancanza di prove scientifiche che smentiscano il cambiamento climatico,
le due saghe del climategate dimostrano palesemente come siano
schierati i media, con le grandi aziende che continuano a dominare
le nostre vite e ci rendono difficile ostacolare il cambiamento climatico.
Come forza sociale, i media
plasmano la nostra comprensione e la nostra risposta agli argomenti
sociali e ambientali, e quando gli eventi di questo tipo vengono attivamente
sensazionalizzati invece di venire valutati in base ai dati scientifici
riconosciuti, allora l’impulso ad agire viene meno. Ma anche se questo
potere di plasmare le idee può ostacolare la nostra reazione, Dent
riesce a vederci un’opportunità. Imbrigliare questo potere per realizzare
iniziative forti che si basino sulla scienza più che sulla retorica
allarmistica può attivare una risposta sociale di massa, che è necessaria
per far fronte a questo problema. Gli ambientalisti devono armarsi di
qualcosa che vada oltre la sola scienza; devono tenersi forte per l’inevitabile
scontro, imparando a gestire i media come riesce a fare (o anche
meglio) l’industria negazionista, e imparare a passare alla modalità
di limitazione dei danni prima che il circo dei media faccia
la sua comparsa.
Note:
2. Climategate, Public Opinion,
and the Loss of Truth.
countries in reporting of climate change.
Fonte: Climategate 2.0: Anatomy of a Media Distraction
29.11.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE