DI DAVE LINDORFF
Counterpunch
Il declino dell’impero statunitense
Potrebbe non essere percepito come ovvio al giorno d’oggi, sicuramente per via del modo in cui i media riportano la situazione, ma il 13 marzo 2009 sarà molto probabilmente visto dai futuri storici come l’inizio di un inesorabile declino dell’imperialismo statunitense. In questo giorno il premier cinese Wen Jiabao annuncia la preoccupazione da parte del suo paese per l’oltre 1 miliardo di dollari di azioni in titoli del tesoro statunitense e chiede che gli Stati Uniti garantiscano alla Cina il mantenimento del credito e che vengano “onorate le promesse”, e pretende di essere rassicurato a proposito della “sicurezza degli asset cinesi”.
Non c’è modo per cui gli Stati Uniti possano accontentare il Premier Wen e continuare a finanziare e a mantenere operativo un sistema militare globale con più di 1000 basi oltreoceano, enormi gruppi tattici di portaerei e con centinaia di migliaia di uomini e donne armati fino ai denti con le ultime attrezzature militari più high-tech. Tutto questo senza menzionare le guerre senza fine che, da tempo, porta avanti dall’altra parte del globo.La Cina sta togliendo il terreno da sotto ai piedi del dominio globale militare statunitense durato sei decadi. Non è una coincidenza che il weekend precedente all’affermazione fatta da Wen, un vascello cinese abbia aggredito la “Impeccable”, una nave dell’intelligence statunitense che operava nel mare a sud della Cina.
La minaccia implicita nel commento apparentemente moderato di Wen è che se gli Stati Uniti non dovessero riuscire a dare un taglio alla loro spesa in disavanzo, rimettendo in sesto la situazione economica (il che significherebbe ridurre drasticamente la qualità della vita americana e diminuire le esorbitanti spese militari) la Cina taglierebbe semplicemente i finanziamenti al disavanzo americano, forniti con l’acquisto di Titoli di Stato statunitensi, un’azione che di per sé causerebbe il collasso del dollaro e di ciò che rimane dell’economia statunitense.
Il declino economico e militare degli Stati Uniti non è certo una cosa che può verificarsi dal giorno alla notte, poiché la Cina deve continuare a vendere la sua manodopera al mercato statunitense (il più esteso al mondo) e per farlo, deve continuare a ri-immettere i dollari spesi in beni di manifattura cinese sul mercato statunitense, il che finora si è tradotto con l’acquisto di titoli del debito pubblico.
Tra gli altri modi per riciclare i dollari verso il mercato statunitense vi è l’investimento in asset propri degli Stati Uniti. Finora, la Cina ha fatto ciò cautamente, anche per evitare l’insorgere di complicanze di ordine politico all’interno degli Stati Uniti. L’acquisto di titoli di capitale è sempre avvenuto tramite l’acquisizione di partecipazioni minoritarie, come è successo nel caso della Blackstone Group, una società di private equity. Ma se la Cina decidesse di smettere di finanziare l’enorme disavanzo statunitense, le cose potrebbero cambiare.
La Cina potrebbe decidere di lasciar scendere il dollaro per avvantaggiarsi della caduta del valore degli asset statunitensi e iniziare a comprare gli Stati Uniti a poco prezzo.
Si parla già di compagnie automobilistiche cinesi che acquisiranno General Motors e Chrysler, e perché no? Potrebbero ottenere queste aziende, per non parlare della maggior parte delle banche nazionali, attualmente acquistabili per quattro soldi. Ma la Cina non ha nessun obbligo di limitarsi (né lo farebbe) a comprare compagnie morenti, ma potrebbe tranquillamente concedersi General Electric, Boeing e IBM, asset in agricoltura e miniere, compagnie petrolifere e giacimenti di petrolio.
Infatti, la Cina ha usato le sue riserve di valuta in Dollari e Euro, ottenute col surplus commerciale, per mettersi sotto chiave convenienti contratti a lungo termine per quanto riguarda il petrolio e altri beni critici. Questo non è che l’inizio. Sarebbe ironico e incredibilmente stupido se gli Stati Uniti dopo aver speso diverse centinaia di miliardi di dollari in prestiti, (che diventerebbero poi 3000 miliardi di dollari se considerassimo gli interessi maturati) lo avessero fatto solo per ottenere la conquista e il controllo dell’Iraq, con l’obiettivo di garantirsi il controllo del petrolio, dal momento che la Cina ha ottenuto gli stessi fini in maniera molto più pacifica e molto più economica, semplicemente comprando a mano a mano i contratti forniti.
E’ plausibile oltretutto che l’India, la cui economia è anche più solida di quella cinese al momento, faccia lo stesso. Ne risulterebbe un vasto e permanente indebolimento degli Stati Uniti, poiché è inevitabile che l’economia di questa federazione diventi sempre più subordinata agli interessi dei suoi nuovi proprietari.
Vi è un’ironia deliziosa in tutto ciò, poiché gli Stati Uniti hanno fatto esattamente lo stesso per decenni con tutti i paesi in via di sviluppo di cui hanno comprato le industrie e le risorse, manipolandone e controllandone i sistemi politici a loro vantaggio e piacimento, sempre col supporto, e quando ritenuto opportuno, l’uso minaccioso della sua potenza militare.
Ora, quelli che una volta erano i potenti Stati Uniti (ricordate il “world’s lone superpower” di Dick Cheney e il “New World Order” di George H.W. Bush?), adesso si ritrovano a implorare le Cina di lasciare in pace le loro navi da guerra, ridotti a un mendicare privi di ogni dignità, come esternato da una delle prime dichiarazioni di Hillary Clinton in veste di Segretaria di Stato in cui chiedeva alla Cina di continuare a comprare i titoli statunitensi.
Dal punto di vista della maggioranza della popolazione mondiale, che ha vissuto per troppo tempo sotto la dittatura statunitense, questo è tutto positivo, ma costringere la “nuova Roma” a ritirarsi all’interno dei suoi stessi confini, potrebbe risultare positivo anche per noi, cittadini americani, che abbiamo sempre dovuto pagare per tutte queste avventure militari in nome dell’impero e del profitto aziendale, con il nostro sangue e le nostre tasse.
Il nostro problema, comunque, è che tutte queste meritate rivalse militari ed economiche saranno accompagnate da un’amara dose di realtà quotidiana che vedrà il livello della nostra qualità della vita scemare. Finché Cina, India e tutti i paesi produttori di petrolio hanno voluto acquistare Titoli di Stato americani per finanziare tutti i nostri eccessi multi-generazionali, è stato possibile per il governo statunitense continuare a mantenere tutti noi cittadini grassi e felici, creando una serie di bolle economiche, alzando i nostri salari e il valore delle nostre case a livelli assurdi, mentre i tassi d’interesse rimanevano rassicurantemente bassi e il Dollaro, valuta di riserva del mondo, rimaneva abbastanza alto da permetterci di continuare a comprare i beni la cui produzione veniva progressivamente spostata oltroceano.
Improvvisamente però, con questa breve asserzione, il Premier cinese Wen ha reso evidente quanto non siano più gli Stati Uniti a tenere le redini. Nessuno lo dice forte qui in America ma, dietro le quinte, è palese quanto la politica economica statunitense sarà dettata d’ora in poi dai governi con sede a Pechino, Tokyo, Nuova Delhi e Brasilia. Gli stessi posti che avranno sempre più potere decisionale sulle modalità e sull’eventualità dell’uso del nostro, un tempo “magno”, potere militare.
Considerata la storia del nostro secondo dopoguerra, non può essere una cosa negativa.
Dave Lindorff è un giornalista e colonnista di Philadelphia.
Il suo ultimo libro è: “The Case for Impeachment” (St. Martin’s Press, 2006, ora disponibile in edizione tascabile).
Contatto: [email protected]
Titolo originale: “Who’s Calling the Shots Now?”
Fonte: http://www.counterpunch.org/
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18.03.2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di RAMONA RUGGERI