CARENZE DI CIBO E IMPENNATE DEI PREZZI: UNA MINACCIA PER L'UMANITA'

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blankDI NAOMI SPENCER
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Secondo un recente rapporto della FAO, l’aumento vertiginoso dei prezzi alimentari in tutto il mondo è stato accompagnato da una drastica diminuzione delle derrate alimentari. Lo scorso 17 dicembre, l’organismo internazionale ammoniva la popolazione mondiale circa un deficit alimentare “estremamente grave e senza precedenti”, in agguato per miliardi di persone.

I prezzi alimentari stimati dalla FAO sono incrementati quest’anno del 40%, oltre il già elevato 9% stimato l’anno scorso e, nei paesi più poveri, le importazioni sono aumentate del 25%. I prezzi delle coltivazioni primarie quali grano, riso, mais e soia, hanno tutte subìto un drastico aumento nel 2007, facendo lievitare anche i prezzi di carne, uova e prodotti caseari, con il risultato di una inflazione di tutto il mercato alimentare.

Comprendere simili meccanismi significa addentrarsi in un sistema complesso di sviluppi quali la rapida urbanizzazione delle popolazioni ed una costante crescita della domanda di derrate alimentari nei paesi in via di sviluppo che giocano un ruolo chiave, quali Cina e India, la speculazione nei mercati, le condizioni climatiche ed altri disastri naturali associati ai cambiamenti climatici.
A causa della natura composita e a lungo termine di tutti questi fattori, i problemi dell’aumento dei prezzi e della minore disponibilità di derrate alimentari, non sono di tipo temporaneo o una tantum, e non possono essere interpretati come fluttuazioni cicliche dell’offerta e della domanda.

Le riserve mondiali di cereali stanno gradualmente diminuendo. Lo scorso anno le riserve di grano sono scese all’11%. Secondo la FAO si tratta del livello più basso sin dal 1980, e secondo il Dipartimento dell’Agricoltura degli USA (USDA) le riserve di grano mondiali sono diminuite fino ai livelli minimi registrati nell’arco di 47 anni. Dai numeri evidenziati dalla FAO, il decremento è pari al valore di 12 settimane di consumo a livello mondiale.

Il Dipartimento ha allertato sul fatto che i coltivatori di grano negli USA hanno già venduto più del 90% rispetto al quantitativo previsto da destinare alle esportazioni fino a giugno 2008. Il che si traduce in conseguenze molto gravi per i paesi più poveri, le cui diete alimentari si basano essenzialmente sulle importazioni di grano e cereali provenienti dagli USA e da altri produttori maggiori.

Più di 850 milioni di persone al mondo soffrono di denutrizione cronica e di altre carenze associate, dovute alle condizioni di estrema povertà. Secondo la FAO, 37 paesi — di cui 20 in Africa, 9 in Asia, 6 in America Latina e 2 nell’Europa dell’Est — si trovano attualmente ad affrontare insufficienze nelle produzioni di derrate alimentari.

I più colpiti vivono nei paesi largamente dipendenti dalle importazioni. I più poveri, le cui diete consistono prevalentemente di derivati del grano e che già spendono gran parte del reddito per i beni primari – fino all’80% in alcune aree, sono i più vulnerabili. I prezzi sempre in aumento porteranno un notevole deterioramento nelle diete di questi settori della popolazione

La crisi del settore alimentare amplifica ulteriormente il malcontento della società ed aumenta le possibilità di sommosse civili. Osserva poi la FAO: in paesi quali Marocco, Uzbekistan, Yemen, Guinea, Mauritania e Senegal si è andata sviluppando una forma di irrequietezza politica “direttamente collegata ai mercati alimentari”. Lo scorso anno, i prezzi dei cereali hanno scatenato rivolte in diversi altri paesi, compreso il Messico, dove i prezzi delle tortilla erano aumentati fino al 60%. In Italia, l’aumento dei prezzi della pasta, ha suscitato le proteste nazionali. Il malcontento in Cina è stato collegato alle carenze dell’olio da cucina

Oltre al costo delle importazioni, guerre e sommosse civili, molteplici anni di siccità ed altri disastri naturali, l’impatto dell’AIDS, costituiscono tutti fattori che hanno contribuito ad arrestare il meccanismo delle derrate alimentari.

Sia l’Iraq che l’Afghanistan si trovano entrambi ad affrontare delle gravi carenze a causa dell’invasione americana e della costante occupazione. I paesi dell’Africa del Nord sono severamente colpiti da questa fluttuazione dei prezzi poiché numerose derrate alimentari di prima necessità dipendono fortemente dalle importazioni del grano.

Lo stesso dicasi per i paesi dell’ex Unione Sovietica. Il popolo russo spende più del 70% del reddito per mangiare. Il prezzo del pane in Kyrgyzstan quest’anno ha segnato un aumento di più del 50% ed il governo si è trovato obbligato ad attingere alle riserve di emergenza per fare fronte alla crisi nelle aree più povere.

In Bangladesh, i prezzi alimentari, da luglio, aumentano mensilmente dell’11%. Lo scorso anno, il riso ha registrato un aumento di quasi il 50%.

Nei paesi del Centro America, osserviamo un aumento del 50% del grano e del mais. Anche diversi paesi del Sud America sono stati colpiti dall’aumento dei prezzi, costringendo i governi nazionali ad esonerare le importazioni dal pagamento delle tasse. Il governo boliviano, per esempio, ha schierato le forze militari per gestire produzioni alimentari del pane su scala industriale.

Tutti i governi nazionali sono vivamente consapevoli della possibilità di disordini civili in caso di carestie e molti hanno adottato misure, seppure minime, tese ad affrontare la crisi a breve termine, come per esempio la riduzione delle tariffe sulle importazioni o l’applicazione di restrizioni alle esportazioni. Il 20 dicembre, la Cina si è sbarazzata degli sconti sulle esportazioni alimentari con l’intento di evitare carenze alimentari a livello nazionale. Anche Russia, Kazakistan, e Argentina hanno avviato controlli sulle esportazioni.

Tuttavia, tali politiche non sono in grado di far fronte in modo adeguato alla crisi del sistema alimentare poiché esse affrontano le cause soltanto al manifestarsi di sintomi immediati. Dietro il fenomeno dell’inflazione vi sono dei meccanismi intermedi molto complessi insiti nei mercati globali, nonché una incompatibilità di base tra il sistema capitalista e le necessità di miliardi di poveri e delle classi dei lavoratori.

La volatilità dei mercati finanziari, guidata dalla speculazione su capitali e titoli, si va ad intersecare con i mercati aventi un peso diretto sul settore agricolo. Mentre il mercato immobiliare statunitense è al collasso, con problemi connessi nel mercato finanziario e minacce di recessione, la speculazione si è spostata al mercato esacerbando l’ inflazione dei beni di prima necessità e le materie prime. Il mercato alimentare internazionale è particolarmente incline alla volatilità poiché i prezzi correnti sono largamente influenzati dalla speculazione finanziaria sui prezzi futuri, cosa che innesca un meccanismo a circolo vizioso: più volatilità, più speculazione.

I futuri prezzi del grano sono un esempio lampante di tale ciclo disastroso. Il 17 dicembre le speculazioni sul quantitativo di grano e riso destinato alla distribuzione nell’anno fiscale fino a marzo 2008 ha spinto i prezzi ai massimi storici, come da registrazioni del Board of Trade di Chicago. Il prezzo del grano è salito a più di $10/bushel, in previsione di future carenze e dell’inflazione, il doppio rispetto all’inizio del 2007.

Il Giappone, il più grande importatore di grano in Asia, il 19 dicembre ha annunciato la possibilità di un aumento dei prezzi del grano pari al 30%. Lo stesso giorno, i funzionari del governo indiano allertavano sull’imminenza di seri problemi nell’approvvigionamento di derrate alimentari, dovuti, stando alle affermazioni del Primo Ministro Manmohan Singh, a “nubi sui mercati finanziari globali conseguenti alla crisi del mercato sub-prime”.

Anche i prezzi del mais e della soia hanno subìto degli aumenti vertiginosi ripercuotendosi, naturalmente, sul prezzo dei biocarburanti. Come affermava il Financial Times in un articolo del 17 dicembre, tutto questo si traduce in una “inflazione in crescente aumento e una minore capacità delle banche centrali nel mitigare la flessione economica”.

I prezzi più elevati dei carburanti, infine, comportano prezzi alimentari più alti, in virtù anche dei maggiori costi di spedizione, in particolare per quei paesi che importano i più grandi quantitativi di derrate alimentari. I costi di spedizione sono aumentati di circa l’80% dall’anno scorso, registrando un aumento del 57% dal mese di giugno (dati del Baltic Dry Index).

Secondo alcuni dati FAO, l’incremento dei costi di spedizione ha avuto l’effetto di dis-integrare il mercato mondiale in alcune aree poiché molti paesi importatori hanno scelto di acquistare da fornitori più vicini, dando luogo a “prezzi a livelli regionali o locali non in linea con i livelli mondiali”.

L’aumento del prezzo del petrolio non ha colpito soltanto i costi dei trasporti e delle importazioni. Ha avuto inoltre un impatto diretto sui costi nei processi di lavorazione del settore agricolo. Infatti, si sono registrate impennate dei prezzi anche per quel che concerne i fertilizzanti, il cui ingrediente principale, l’azoto, deriva dal gas naturale. Aumenta il prezzo del petrolio, aumentano – simultaneamente – la domanda di fonti primarie di biocarburanti quali soia, mais e canna da zucchero. Il tutto si traduce in una diminuzione delle riserve di cibo.

Negli USA, dal 2003, si è registrato un raddoppio dell’utilizzo del grano per l’etanolo e, secondo la FAO, se ne prevede un ulteriore incremento dai 55 milioni di tonnellate metriche ai 110 milioni entro il 2016. Il governo statunitense è più ambizioso. Il 19 dicembre, il Presidente Bush siglava una nuova proposta di legge sull’energia la quale prevede un mandato per l’espansione della produzione nazionale di biocarburanti cinque volte superiore nei prossimi 15 anni, fino ad oltre 36 miliardi all’anno. Negli USA, già un terzo dei raccolti di cereali è destinato alla produzione di etanolo, superando la quantità di quello destinato ai mercati alimentari mondiali.

Mentre negli USA sempre più terre da coltivazioni sono destinate alla produzione di cereali per etanolo, altre tra le più importanti regioni agricole si trovano a dover far fronte alle catastrofi naturali causate dai cambiamenti climatici. Australia e Ucraina, entrambi grandi esportatori di grano, hanno sofferto condizioni climatiche estreme che hanno danneggiato i raccolti. In Australia, una prolungata siccità ha costretto molti coltivatori a vendere le loro terre.

Secondo studi recenti, poiché si prevede nei prossimi 50 anni un aumento delle temperature di circa 1 – 2° C., i paesi più poveri potranno perdere 135 milioni di ettari (334 milioni di acri) di terra coltivabile a causa della siccità. Nuovi studi, pubblicati di recente nella rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences, evidenziano il carattere limitativo di tali stime nonché l’impatto dei mutamenti climatici sulla produzione alimentare sia stato probabilmente eccessivamente semplificato.

Secondo il ricercatore Francesco Tubiello, della NASA/Goddard Institute of Space Studies, le complicazioni causate dai cambiamenti climatici possono essere di gran lunga più serie: “Simili proiezioni evidenziano una curva piuttosto piatta, trattandosi tuttavia di una curva come mai ce ne sono state nella storia dell’umanità. Le cose – afferma Tubiello – accadono all’improvviso e, allora, possono prenderti davvero alla sprovvista”.

Lo studio di Tubiello si focalizza su eventi climatici estremi potenzialmente devastanti per i raccolti se in coincidenza con i periodi di germinazione e fioritura, come è stato il caso in Italia nel 2003. Tubiello osserva che i campi coltivati a grano, lungo la valle del Po, sono diminuiti del 36% in seguito ad un aumento di temperatura registrato in Italia pari a 6° rispetto alla media a lungo termine.

Oltre alla soglia di sopravvivenza delle piante, i ricercatori hanno iniziato a studiare gli effetti delle temperature più alte sulla fisiologia e sulle patologie del bestiame così come sul diffondersi di casi di peste, muffe e virus nelle zone tropicali. Secondo lo studio del Goddard Institute, la bluetongue, [Lingua Blu o febbre catarrale N.d.t.] una malattia infettiva che colpisce buoi e pecore, andrà oltre i confini dei tropici per arrivare fino ad altre aree, incluso il Sud dell’Australia. Secondo l’Earth Institute presso la Columbia University, le temperature più elevate porteranno ad un aumento della infertilità del bestiame e a ridotti rendimenti giornalieri nel settore caseario.

Quali sono i risvolti di tali studi? Certo, una maggiore capacità di adeguamento da parte del settore agricolo alle diverse condizioni potrà inizialmente servire da palliativo al surriscaldamento globale. Tuttavia, nei decenni a venire, l’impatto dei cambiamenti climatici sul mercato alimentare si intensificherà in modi improvvisi e catastrofici che l’intero sistema capitalista, in virtù proprio di una impreparazione da parte delle élite che ne fanno parte, non sarà in grado di prevenire.

Titolo originale: “Severe food shortages, price spikes threaten world population”

Fonte: http://www.wsws.org
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22.12.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CRISTINA POMPEI

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