DI RAMZY BAROUD
Asia Times Online
Il primo missile israeliano ha sfrecciato verso il suo obiettivo, bruciando la terra di Gaza e tutto quello che stava in mezzo. I palestinesi hanno raccolto i monconi dei cadaveri di due nuovi martiri, mentre i media israeliani hanno celebrato la morte di due terroristi.
Zuhair Qasis era direttore del Comitato di Resistenza Popolare. È stato ucciso mentre era con un ex prigioniero palestinese di Nablus, di recente liberato e deportato a Gaza.
Poi, è piovuta un’altra serie di missili, questa volta prendendosi Obeid al-Ghirbali e Muhammad Harara. Poi, una terza e una quarta e così via. La conta dei morti è iniziata il 9 marzo ed è salita col passare dei giorni. Il governo di Hamas ha esortato la comunità internazionale a prendere un’iniziativa. Le varie fazioni hanno giurato di vendicarsi.
In queste situazioni, i media occidentali sono spesso vaghi o complici. Qualche volta sia l’uno che l’altro. L’esercito israeliano è stato prontamente contattato da molte testate, senza frizioni.
La prima fase degli attacchi è stata giustificata perché si dice che lo scorso anno Qasis sia stato coinvolto nella pianificazione di un attacco che ha ucciso sette israeliani. L’esercito israeliano non si è sentito in dovere di giustificare quest’affermazione che ha provocato l’uccisione e il ferimento di molti palestinesi. Anche i media israeliani avevano concluso che l’attacco era arrivato dall’Egitto e che nessun palestinese era coinvolto.
Al Jazeera ha riportato che alcune delle vittime sono state decapitate, una consuetudine di molte delle imperdonabili atrocità di Israele.
Come ci si poteva aspettare, i palestinesi hanno risposto al fuoco. “Le brigate nazionali di resistenza, l’ala armata del DFLP [Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina], le brigate di Al-Aqsa [il Martire] e l’ala armata dei PRC [Comitati di Resistenza Popolari], le brigate An-Nasser Salah Ad-Din hanno tutte rivendicato la responsabilità per il lancio dei razzi”, così ha riportato l’agenzia di stampa Maan.
Le provocazioni incessanti di Israele non sarebbero state sufficienti per terminare la tregua che durava mesi. I palestinesi sanno che le provocazioni israeliane sono spesso, se non sempre, motivate politicamente. Questa volta, comunque, le persone uccise erano dirigenti di al-Muqawama, il partito della resistenza locale. Né la forza di Hamas né la diplomazia avrebbero potuto frenare le molte fazioni di Gaza. Israele lo sa perfettamente. Questa è la ragione per cui ha spedito messaggio di sangue inconfondibili. Gli israeliani hanno bisogno della risposta dei palestinesi, ne hanno urgenza.
Ma perché Israele ha deciso di infiammare ancora una volta la situazione?
Per rispondere alla domanda, bisogna fare una visita a Washington. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha di recente cercato un sistema per entrare in conflitto con l’Iran. Diversamente dalle iniziative per isolare, bombardare e invadere l’Iraq nel 2003, la campagna di guerra in Iran non sta andando secondo i suoi piani.
Gli israeliani vogliono vedere le installazioni nucleari iraniane bombardate dalle bombe “bunker buster”, che arrivano a pesare fino a 13.600 chili. L’ex capo dell’intelligence militare israeliana, Amos Yadlin, ha assicurato il “mondo libero” – un termine spesso manipolato da Netanyahu – che una serie di bombardamenti potrà avere successo se verrà seguita dalle misure corrette.
“L’Iran, come prima Iraq e Siria, dovrà riconoscere che è stato creato il precedente per l’azione militare, e che la cosa può ripetersi“, così ha scritto, come riportato dalla CNN il 9 marzo.
C’è un consenso sempre più diffuso in Israele che “qualcosa vada fatto“, almeno per riportare indietro di alcuni anni l’arricchimento di uranio iraniano, seguendo le rassicurazioni del vicedirettore dell’Istituto Israeliano per gli Studi di Sicurezza Nazionale, Ephraim Kam.
I candidati Repubblicani negli Stati Uniti, e persino il Presidente Barack Obama, sono d’accordo. Ma Obama, nonostante il suo servilismo alla recente conferenza dell’American Israel Public Affairs Committee, ha osato dubitare della tempistica e del modo con cui l’Iran deve essere messo in ginocchio. Il presidente degli Stati Uniti sta diventando sempre più isolato a Washington proprio per la sua posizione sull’Iran.
È anno di elezioni e Israele sa che l’opportunità non potrà durare a lungo. “La scorsa settimana Netanyahu ha vinto una battaglia cruciale a Washington. Nessuno ha parlato dei palestinesi. Netanyahu ha spostato con autorevolezza la conversazione sull’Iran“, ha scritto Jeffrey Goldberg su The Atlantic del 9 marzo. Ha ragione, ovviamente, ma solo nel contesto del “processo di pace” e della decisione di entrare in guerra.
Dei palestinesi si parla sempre in modo differente. Ephraim Kam, ad esempio, si aspettava una pioggia di migliaia di razzi su Israele da parte di Hezbollah, Hamas e dello stesso Iran. Associated Press del 20 febbraio ha citato il vice-Primo Ministro Dan Meridor: “Tutta Israele [è nelle mire di] decine di migliaia di missili e razzi dai paesi vicini. Se ci sarà una guerra […] non colpiranno i soldati israeliani. Il loro obbiettivo principale sono i civili.”
Con questa logica, l’unico modo per impedire la pioggia di razzi su Israele è un attacco all’Iran. Un commentatore israeliano indipendente, Yossi Melman, ha previsto che un Iran indebolito “avrebbe sicuramente effetto su Hamas e Hezbollah“. (CNN, 9 marzo).
Certo, i palestinesi sono stati subissati dalla retorica di guerra israeliana. Sono stati descritti come degli sciacalli che si gettano su Israele in difficoltà. Chi oserebbe sfidare questa stanca narrativa vittimistica? Chi avrebbe l’audacia di suggerire che Israele ha l’esercito più forte della regione, dotato di centinaia di testate nucleari perfettamente funzionanti, mentre i combattenti palestinesi – che ultimamente hanno rispettato la tregua, anche se l’assedio su Gaza non è mai stato rimosso – sono dotati solo di armi leggere?
Nessuno sui media mainstream, naturalmente. E, visto che la supposta minaccia ha raggiunto livelli senza precedenti, il portavoce di Hamas a Gaza, Fawzi Barhoum, ha detto ad AP: “Le armi di Hamas e quelle della resistenza palestinese, in genere, sono armi umili che puntano alla difesa e non all’attacco, e le abbiamo per difendere i palestinesi […] per questo non possiamo prender parte a una guerra regionale.”
Hamas sta facendo i propri calcoli indipendentemente dallo spirito belligerante di Israele. Ma la perdita di Hamas metterebbe a repentaglio l’equazione che Israele sta scrivendo da anni. La “fazione dura” deve essere sempre presente, per Israele. La polarizzazione politica causata dalla cosiddetta Primavera Araba non potrà mai mettere in pericolo la vulgata israeliana: i radicali, l’alleanza del male, la minaccia che il “mondo libero” deve affrontare. Sono state profuse grandi risorse per la creazione della storia perfetta adatta a giustificare una guerra preventiva.
Poi, venerdì 2 marzo, quando non erano ancora trascorsi due giorni da quando Barhoum parlò delle “armi umili“, a Gaza si è iniziato a contare i morti. Letteralmente. E la macchina dei media, imperterrita, ha ripreso il proprio lavoro.
“Il fuoco dei razzi di Gaza sconvolge la vita nel sud di Israele“, si legge su un titolo di Haaretz. “L’IDF bombarda i bersagli terroristi di Gaza dopo il fuoco di sbarramento dei razzi“, urla un altro sul Jerusalem Post. Siamo di nuovo in guerra. I civili israeliani corrono ai rifugi. Squillano le sirene. I media degli Stati Uniti parlano del destino degli israeliani “assediati” e dei “terroristi” palestinesi.
Gli importa poco che sia Israele ad aver provocato la situazione, ad aver rotto la tregua e ad aver soffiato sul fuoco.
Fonte: Bibi stirs trouble with attack on Gaza
12.03.2012
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE