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La Redazione

 

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AUSCHWITZ 2007

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A cura di God
Il 31 Agosto 2007
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blankA CURA DI: SVOLTE EPOCALI

Immagini da B’Tselem

Fonte: Khalid Amayreh, Gaza: The Auschwitz of our Time – Largest detention camp in the World, Palestinian Information Center, 09.08.2007

La Striscia di Gaza è il più grande campo di concentramento del mondo, dove attualmente Israele sta relegando un milione e mezzo di palestinesi, in un inferno che ricorda a tutti gli effetti il ghetto di Varsavia. Campo che oltre ad essere circondato da un muro, possiede anche ogni sorta di strumento di repressione e controllo, comprese recinzioni elettriche e torri di guardia da cui i soldati israeliani, proprio come faceva la Gestapo, sparano a chiunque violi i confini, chiedendo solo successivamente il motivo della violazione.

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La barriera di separazione a Qalqilya e una torretta d’osservazione delle IDF

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Un segmento della barriera di separazione ad a-Ram, nord di Gerusalemme

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Una madre aspetta con il suo bambino vicino ad un cancello della barriera di separazione, vicino ad Umm al-Fahm

Sebbene i bambini palestinesi continuino a giocare vicini alle recinzioni, molti di loro vengono costantemente uccisi da pallottole o ridotti in pezzi dall’esercito “più morale nel mondo”. Il risultato di questo genocidio è che migliaia di loro muoiono di stenti e di malattia, e quelli che sopravvivono sono costretti ad una dieta inadeguata a base di pane e thè. Uno studio di CARE international del 2002 rivela che il 17.5% dei bambini palestinesi fra i 6 e i 59 mesi soffrono di malnutrizione cronica. Il 53% delle donne in età riproduttiva e il 44% dei bambini soffre di anemia (e più del 30% degli ospedali palestinesi manca di ferro per curare questi bambini). Cifre impressionanti se si pensa che il 48.1% degli abitanti della Striscia di Gaza ha un’età compresa fra gli 0-14 anni. Bambini che non sono certamente immuni ai bombardamenti aerei, ma anzi sono i primi a farne le spese. É il caso di Maria Aman, paralizzata dopo un raid delle IDF, che dopo l’incidente non ha nemmeno potuto ricevere le cure mediche necessarie. Bambini che non hanno nemmeno la possibilità di ricevere un’istruzione, dato che o gli è impossibile raggiungere le scuole o i numerosissimi checkpoint israeliani (659 in tutta la West Bank) rendono il tragitto un inferno. Non potendo quindi fornire loro nessuna possibilità formativa, si corre il rischio concreto di farli diventare i guerriglieri di domani.

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Hamdi Aman: “Mia madre, Hannan, è morta. Mia moglie, Naima, e il mio figlio più grande, Muhanned, sono morti. Il mio figlio più piccolo, Mo’men, che aveva appena compiuto quattro anni la scorsa settimana, è stato ferito dallo shrapnel insieme a me. Mio zio è morto un mese e dieci giorni dopo per colpa delle ferite. Mia figlia Maria è stata buttata fuori dalla finestra. E’ diventata paralizzata dal collo in giù per vie dei danni cerebrali e alla spina dorsale”.

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Un bambino palestinese lascia la sua casa dannegiata al campo rifugiati di Jenin

La situazione è ancora più simile a quella del ghetto di Varsavia se si considera che i palestinesi non hanno praticamente la possibilità di lavorare (il 70% di loro è disoccupato), non possono viaggiare all’estero, non possono entrare in Israele per lavoro e non possono nemmeno procurarsi cibo pescando, dato che ogni barca che si trova più di un miglio a largo delle coste israeliane senza autorizzazione, viene affondata dalle Forze di Difesa (o meglio, di Attacco) israeliane. Lo scopo di tutte queste restrizioni è quello di impoverire ulteriormente i palestinesi, in modo da non permettere loro di acquistare cibo per il proprio sostentamento. Una pratica che non si limita ai mezzi di sostentamento, ma anche alle abitazioni dei civili palestinesi, distrutte arbitrariamente. Pratiche che videro la luce fin dal lontano 1967, giustificata e intesa come punizione collettiva dei parenti degli attentatori suicidi palestinesi, ma in pratica del tutto arbitraria, in quanto non è necessaria alcuna prova della loro complicità, e nemmeno di un processo. Ecco un rapporto del 1999 di Amnesty International, in cui la condanna alle Demolizioni è inequivocabile:

“Dal 1967, anno dell’occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gerusalemme est e di Gaza, migliaia di case palestinesi sono state distrutte[…] si tratta di abitazioni ammobiliate, occupate sovente da più famiglie con molti bambini, cui spesso vengono dati solo 15 minuti per raccogliere le proprie cose e andarsene. Ma la politica di Israele è basata sulla discriminazione. I palestinesi vengono colpiti per nessun’altra ragione al mondo a parte il fatto di essere palestinesi”
Amnesty International Reports, London. AI 12/1999 Israel and the Occupied Territories Demolitions and Disposession.

Il vero scopo delle Demolizioni delle proprietà palestinesi da parte israeliana è spiegato chiaramente da David Forman, sulle colonne del Jerusalem Post (noto quotidiano antisemita), il un articolo risalente al 26 febbraio del 2005 (Settlers, hands off the olive trees):

“Mi sono unito a un gruppo dell’organizzazione rabbini per i Diritti Umani durante una loro missione sulle colline del sud Hebron[…] La maggioranza dei campi coltivati palestinesi nell’area erano già stati espropriati dal governo (israeliano) per far posto ai coloni e con la scusa di creare “zone di sicurezza” su quello che ora è divenuto terreno di Stato. Sembra che vi sia un piano coordinato dal governo, delle IDF, dell’amministrazione civile (israeliana) e dei coloni per rendere la zona “non-araba”. Questa iniziativa comporta la distruzione delle case, delle tende e dei rifugi palestinesi, il blocco dei loro pozzi d’acqua, lo sradicamento dei loro orti, l’avvelenamento dei loro campi per il pascolo e la proibizione per gli arabi di coltivare la propria terra e di allevare il bestiame”.

La strategia che sta dietro questa pulizia etnica (e all’attuale determinazione di appoggiare la leadership Quisling di Abbas), è principalmente di carattere demografico. Israele sa che per puntellare il sostegno ad uno “stato ebraico” (oltre che affidarsi all’AIPAC, alla ZOA, all’AFSI, alla CPMAJO, all’INEP, alla JDL, al B’nai Brith e alla ADL) occorre nascondere la realtà che gli Ebrei non sono più la maggioranza di Israele, West Bank e Striscia di Gaza. Israele ha quindi bisogno della foglia di fico di uno stato palestinese sovrano per cancellare milioni di palestinesi dai suoi registri, e di cacciare i palestinesi dai propri territori. Espediente che ha già precedenti storici, come i Bantustan sudafricani, oppure una dottrina di 60 anni fa riassunta brevemente in questo estratto:

“Senza considerazione per le tradizioni e i pregiudizi, [il nostro popolo] deve trovare il coraggio di unire il proprio popolo e la sua forza per avanzare lungo la strada che porterà il nostro popolo dall’attuale ristretto spazio vitale verso il possesso di nuove terre e orizzonti, e così lo porterà a liberarsi dal pericolo di scomparire dal mondo o di servire gli altri come una nazione schiava”

La fonte è il Mein Kampf di Adolf Hitler. La conclusione di questo post è un estratto di un articolo di Ha’aretz:

“Per reprimere la resistenza palestinese, un ufficiale di alto rango ha sollecitato l’esercito[…] ad analizzare e a far proprie le lezioni su come l’armata tedesca combattè nel ghetto di Varsavia. A giudicare dal recente massacro dell’esercito di Israele nella Cisgiordania – ha colpito le ambulanze e i medici palestinesi, ha ucciso dei bambini palestinesi “per sport” (scritto da Chris Edges del NYT), ha rastrellato e ammanettato e incappucciato tutti gli uomini palestinesi dai 14 ai 45 anni, cui sono stati stampati numeri di riconoscimento sulle braccia (ricorda nulla?, ndt), ha torturato indiscriminatamente, ha negato l’acqua, l’elettricità, il cibo e l’assistenza medica ai civili palestinesi, ha usato dei palestinesi come scudi umani e ha abbattuto le loro case con gli abitanti ancora all’interno – sembra che l’esercito di Israele abbia seguito i suggerimenti di quell’ufficiale. Ma se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti, devono semplicemente smetterla di comportarsi da nazisti
Norman G. Finkelstein, First the carrot, then the stick: behind the carnage in Palestine, 14 april 2002.

“Adesso anche gli ebrei si sono comportati come nazisti e tutta la mia anima ne è scossa[…] Ovviamente dobbiamo nascondere al pubblico questi fatti[…] Ma devono essere indagati”
Trascrizione di una riunione di gabinetto israeliana del 17 novembre 1948, dagli archivi del Kibbutz Meuhad.

Fonte: http://svolte-epocali.blogspot.com/
Link: http://svolte-epocali.blogspot.com/2007/08/auschwitz-2007.html
13.08.2007

(Traduzione delle didascalie a cura di CARLO MARTINI per www.comedonchisciotte.org)

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