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La Redazione

 

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Atollo nell’Oceano Indiano sospettato di essere teatro di abusi

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A cura di Olimpia
Il 9 Luglio 2005
38 Views

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Paradiso naturale o camera di tortura?

Centri di detenzione segreti: la CIA sotto tiro

Di Lynda Hurst – 4 Luglio 2005

Dalle foto satellitari, l’isola Diego Garcia sembra un vero paradiso.
Il piccolo atollo nascosto nell’Oceano Indiano, con le sue spiagge coralline, le acque turchesi e un’ampia laguna al centro, dista almeno 1600 km da terra in qualsiasi direzione.
Un rifugio perfetto. Ma a nessuno è permesso metterci piede.
Questo possedimento britannico poco conosciuto, noleggiato dagli Stati Uniti nel 1970, è stata una delle principali stazioni militari di passaggio nell’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq. Continua ad essere in effetti una portaerei galleggiante, che ospita personale composto da almeno 1700 persone, che lo chiamano Camp Justice (Campo di Giustizia, ndt.)
Ma gli analisti dell’intelligence dicono che l’isolamento geografico di Diego Garcia oggi viene sfruttato per altri scopi ben più oscuri.
Affermano che questa isola è solo uno dei campi segreti di prigionia che fanno parte di un’ampia rete gestita dalla CIA per interrogare terroristi sospetti di alto profilo al di fuori del raggio d’azione della legge americana o internazionale.
Questi prigionieri sono conosciuti come “detenuti fantasma” o i “nuovi desaparecidos”, e sono soggetti a trattamenti che fanno apparire gli abusi perpetrati nella prigione militare di Abu Ghraib vicino a Baghdad e nel campo di prigionia nella Baia di Guantanamo a Cuba ben piccola cosa, dicono gli analisti di intelligence.
L’anno scorso, il direttore del Federal Bureau of Investigation Robert Mueller, ha detto che le tecniche di interrogatorio della CIA “violano tutte le leggi americane contro la tortura”, e ha dato ordini agli agenti dell’FBI di uscire fuori dalle stanze quando entrano quelli della CIA.
Gli analisti dicono che nel mondo esistono diverse strutture come questa non riconosciute. Tra queste alcune in Afghanistan (una nota come “la buca”) e in Iraq, Pakistan, Giordania, poi in un settore riservato a Guantanamo e una, si sospetta, proprio a Diego Garcia, dove due navi prigione traghettano prigionieri dentro e fuori.
Questa settimana, le Nazioni Unite hanno detto che faranno indagini su un numero di accuse provenienti da fonti attendibili secondo cui gli Stati Uniti detengono terroristi sospetti in strutture di detenzione non dichiarate, compreso a bordo di navi che si pensa siano nell’Oceano Indiano.
“Diego Garcia è un posto ovvio per una struttura segreta”, dice l’analista di difesa americana John Pike. “Vogliono posti da cui sia difficile scappare, difficili da attaccare, non visibili a gli occhi dei curiosi e in cui si stiano svolgendo un sacco di altre attività. Diego Garcia è l’ideale.”
Il governo britannico ha negato del tutto che prigionieri vengano trattenuti segretamente sull’isola. L’anno scorso, quando gli fu chiesto, l’assistente Vice-Segretario di Stato Americano Lawrence Di Rita non lo aveva negato completamente, dato che aveva detto solo: “Non so. Semplicemente non lo so”.
Ciò che si sa sulle attività della CIA è che dal 2001 l’agenzia trasferisce o “restituisce” i sospetti ai paesi del III mondo perché vengano sottoposti a interrogatori aggressivi.
Maher Arar, cittadino canadese ma siriano di nascita, è stato rapito a New York e spedito in Siria, dove dice di essere stato torturato. Il mese scorso un giudice italiano ha ordinato l’arresto di 13 agenti e altri operativi CIA dietro l’accusa di aver sequestrato un religioso egiziano in una via di Milano 2 anni fa e di averlo trasferito in aereo in Egitto per interrogarlo.
La politica della restituzione ebbe inizio nel 1998 ad opera della Casa Bianca di Clinton, dopo che le ambasciate americane in Kenya e in Tanzania erano state fatte esplodere dai terroristi. Lo scopo, dice lo specialista di intelligence Wesley Wark, era di portare terroristi sospetti di Al Qaeda e Talebani negli Stati Uniti per essere processati.
“Era una forma di rapimento legalizzato” dice, “e in effetti alcuni furono presi e riportati indietro. Ma dopo l’11 settembre, questa politica fu cambiata nella formula “restituzione straordinaria” e i sospetti cominciarono ad essere inviati non più negli Stati Uniti cioè all’interno di un sistema legale, ma altrove. E questo sistema cominciò ad essere usato per tutta una serie svariata di persone”.
Dal 2001, secondo il New York Times, sono stati “riconsegnati” tra i 100 e i 150 individui all’Egitto, al Marocco, al Pakistan, Uzbekistan, Tailandia, Malesia e Indonesia: tutti paesi con precedenti quanto a uso della tortura.
Ma “restituzione” significa cedere il controllo ad un altro paese, dice Pike, il che a sua volta significa che solo persone sospette di poco valore vengono trasferite.
“La CIA si tiene quelli di alto livello per sé”, dice. “E se li lavorano”.
E’ noto che nell’Agosto 2002, la CIA ha approvato l’adozione di misure “ampliate” per gli interrogatori e di tecniche coercitive che inducono stress. Si pensa che queste comprendano l’“affogamento simulato” (letteralmente “sott’acqua legato ad una tavola”, ndt.), in cui la testa del prigioniero è tenuta a forza sott’acqua fino al punto di affogare; il rifiuto di somministrare cure contro il dolore e derisione.

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Un mese dopo, Cofer Black (nella foto), allora direttore delle operazioni alla CIA e ora capo dell’anti-terrorismo al Dipartimento di Stato Americano, ha detto al comitato dell’intelligence del Congresso che non poteva fare commenti su informazioni “classificate altamente riservate”: “Vi basti di sapere che c’è stato un ‘prima’ l’11 settembre, e un ‘dopo’ 11 settembre. Dopo l’11 settembre ci siamo tolti i guanti”.
A dispetto delle discussioni tra molti specialisti sul fatto che non ci sarebbero testimonianze valide sulla tortura, Pike dice che l’agenzia crede fermamente nel cosiddetto “interrogatorio ostile”.
“Sarebbe bello”, dice, “pensare che la tortura è disumana, illegale e inefficace, ma il punto è che ‘è’ efficace. La CIA lo sa dalle esperienze passate.”
Poiché l’agenzia opera fuori legge, facendo cose alle quali il governo non vuole essere pubblicamente associato, “non è legata ai trattati internazionali”, dice Pike, direttore di GlobalSecurity.org.
La Casa Bianca ha detto che non ritiene che nella guerra al terrorismo “i combattenti illegali” (di cui ora si parla in termini di “detenuti di sicurezza”) siano protetti dalla Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra, che vieta la “violenza contro la vita e la persona, il trattamento crudele e la tortura”.
Ma i critici sottolineano che la convenzione afferma anche che “nessuno nelle mani del nemico può trovarsi al di fuori della legge”.
Soprattutto, dicono che gli Stati Uniti sono anche legati dal Trattato Internazionale sui Diritti Civili e Politici che è stato ratificato una decina d’anni fa. Il trattato vieta la prigionia in regime di segregazione, richiede che i centri di detenzione siano riconosciuti ufficialmente, che le identità dei prigionieri siano registrate, che le famiglie siano avvertite della detenzione e che i tempi e i luoghi di tutti gli interrogatori e i nomi dei presenti siano documentati.
Nessuno di questi requisiti viene rispettato nei confronti dei “prigionieri fantasma”, dice David Danzig, portavoce di Human Rights First (Diritti Umani Prima di Tutto, ndt.), un gruppo di supporto legale che ha prodotto due relazioni sul trattamento riservato ai sospettati da parte degli Usa, sia all’interno del sistema militare che nello sconosciuto sistema fantasma. Danzig dice che la Croce Rossa Internazionale ha una lista di 36 persone, quasi esclusivamente prigionieri di alto livello, che gli Usa ammettono di avere in mano, ma senza dire dove.
“Ma le nostre conversazioni con gli ufficiali del governo, con ex-prigionieri e altri suggeriscono che si possa parlare di centinaia, anzi è più probabile che sia più accurato parlare di migliaia di persone trattenute segretamente”.
Tra loro, si dice, ci sono 3 alti ufficiali di Al Qaeda: Khalid Shaikh Mohammed (che Pike ritiene sia tenuto a Diego Garcia), Ramzi Binalshibh e Abu Zubaida. Il terrorista del sud est asiatico Nurjaman Riduan Isamuddin, noto come Hambali, è anch’egli uno degli scomparsi, secondo l’organizzazione di Danzig e altri gruppi di supporto.

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Non c’è quasi alcun dubbio che la segretezza che circonda la loro prigionia abbia reso l’uso della tortura “non solo probabile, ma inevitabile”.
In una relazione scottante, intitolata Beyond the Wire (Al di là del Filo spinato, ndt.), pubblicata in marzo, Human Right First ha delineato quello che si sospetta possa essere il vero scopo della rete globale dei centri di prigionia nascosti. “Il governo Usa sta trattenendo prigionieri in un sistema segreto di carceri remote, impossibili da raggiungere da parte di adeguati controlli come da parte della legge, e di cui è impossibile accertare le responsabilità”, si afferma. Poi riferendosi agli abusi del carcere di Abu Ghraib li definisce come “solamente la punta dell’iceberg”.
Fin dalle rivelazioni su Abu Ghraib l’anno scorso, ci sono state 3 relazioni principali da parte del Pentagono sul trattamento dei detenuti nelle prigioni militari, inoltre in aprile è stato introdotto un nuovo manuale sulle tecniche per gli interrogatori. Human Right First vuole un’indagine completa sul network delle prigioni della CIA nascoste e sull’uso della restituzione, e per mesi ha fatto domanda per un’inchiesta indipendente bipartisan analoga alla commissione per l’11 settembre.
Ma un velo di silenzio continua a coprire i detenuti fantasma, dice Danzig, capo della campagna dell’organizzazione intitolata “Basta con la tortura”.
“Sia l’amministrazione Bush che la CIA hanno alzato un muro e stanno bloccando gli sforzi per ottenere un’indagine credibile” dice. “Le relazioni del Pentagono sono sufficienti, dicono. Sebbene ci siano prove di una quantità di misfatti, i centri di prigionia della CIA sono un enorme buco nero”.
Ma Danzig dice “il panorama sta cominciando a cambiare”.
Richieste di formare una commissione si stanno facendo più numerose e provengono da vari ambiti del Congresso, ad esempio una figura di rilievo del partito Repubblicano, il senatore della Carolina del Sud Lindsey Graham, si è unito al gruppo la scorsa settimana.
Gli Usa hanno bisogno di “provare al mondo che siamo una nazione che vive sotto la legge”, dice.
Anche il commentatore televisivo conservatore della Fox News, Bill O’Reilly, di solito leale difensore delle politiche dell’amministrazione Bush, dice che dovrebbe essere istituita una commissione indipendente per investigare le politiche detentive americane “a tutti i livelli”.
“Il presidente deve andare all’attacco su questo, o altrimenti l’immagine del paese continuerà a soffrirne e gli jihadisti e i loro sostenitori otterranno un’altra vittoria”.
E’ allarmante, se non sorprendente, che si sappia così poco sui luoghi di detenzione segreti, dice l’avvocato Noah Novogrodsky, direttore del Programma Internazionale sui Diritti Umani dell’Università di Toronto, ma sul fatto che esistano non ha alcun dubbio. Quando un regime è minacciato da qualcosa che non è in grado di identificare, un nemico sconosciuto, reagisce cominciando a lanciare qualsiasi cosa, anche l’acquaio della cucina, dice.
“Sarebbe difficile fare sistematicamente uso della tortura in centri di detenzione riconosciuti, ma non si può controllare un mondo segreto. I luoghi segreti sono solo una parte di tutto questo quadro, il suo oscuro ventre molle, e sono assolutamente fuori legge”.

Tradotto da Paola Merciai per Radio K / Radio4Peace: [email protected]

Fonte: http://www.thestar.com/
Link: http://www.radiokcentrale.it/articolinuovaera/itapiece72.htm

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