DI HEATHER STEWART
Guardian.co.uk
Ecco il Futuro, è Già Scritto. Articolo del Guardian che descrive come la Grecia (Portogallo, Spagna anzi Italia prima di Spagna) stiano seguendo passo passo quasi alla lettera il percorso dell’Argentina, quasi secondo le stesse date, solo traslate di 10 anni. GZ (Cobraf)
Mentre era alle prese con un fardello impossibile da sostenere per i bailout del FMI, Buenos Aires sapeva che la sua unica speranza era quella di smettere di pagare per il suo debito e diventare un paria
I manifestanti che quest’estate hanno sfilato nelle strade di Atene con cartelli che mostravano il decollo di un elicottero in preda al panico. Non si parla di Saigon al culmine della guerra del Vietnam, ma di Buenos Aires nel 2001, quando Fernando de la Rúa volò dal tetto del palazzo presidenziale per fuggire dagli scontri in città.L’Argentina, inchiodata a una recessione durissima dal 1998, fece tutto quello che il Fondo Monetario Internazionale le chiese di fare. Dopo vari salvataggi, il governo impose una dopo l’altra una serie dolorosa di misure di austerità, come prescritto dal “Washington consensus” e cercò una ristrutturazione volontaria con i creditori del settore privato, una cosa che sembra davvero familiare anche ai greci.
Ma la crisi economica continuò a peggiorare.
Nel dicembre del 2001, mentre il governo pose un freno ai prelievi di cassa– il cosiddetto corralito – per prevenire una destabilizzante corsa agli sportelli, il FMI alla fine staccò la spina, affermando di non poter completare l’ultima della molte modifiche alle politiche economiche dell’Argentina, la condizione per continuare a ricevere il supporto finanziario. “Entro un mese da questo annuncio,” come scritto in un documento interno del FMI emesso poco dopo, “i dissesti economico, sociale e politico avverranno simultaneamente”.
Il popolo argentino scese in piazza a centinaia di migliaia, picchiando sulle padelle e sui barattoli, e si liberò del governo. Un presidente provvisorio, designato per succedere a de la Rúa, fu deposto nel giro di poche settimane, facendo strada a Eduardo Duhalde.
Per la gravità della sua crisi politica e sociale, l’Argentina sfidò la rabbia dei mercati finanziari mondiali e del FMI e andò in default sul suo debito, sospendendo i rimborsi di alcune delle sue obbligazioni. All’inizio del 2002, abbandonò il tanto amato agganciamento al dollaro statunitense.
“L’Argentina ha tracciato una linea nella sabbia”, disse Mark Weisbrot del Center for Economic and Policy Research (CEPR) di Washington: “Hanno detto che non hanno intenzione di aderire a qualsiasi iniziativa che li tenga nella stessa situazione per altri tre anni.”
Il peso precipitò a 0,25 dollari nel giro di pochi mesi, l’Argentina diventò un paria e l’economia crollò. Ma dal secondo quarto del 2002, era già in fase di crescita.
Aiutata dagli alti prezzi delle materie prime e da un boom di molti dei suoi partner principali, l’Argentina continuò a espandersi a un ritmo salutare, l’8% di media fino a che non ha dovuto subire una stretta
sul credito.
“Il default e la svalutazione hanno dato modo all’Argentina di rimettere l’economia in marcia e di dotarsi di un nuovo tasso di cambio e di nuove politiche monetarie, per essere in grado di agire in modo da servire i bisogni del paese invece di quelli dei mercati finanziari”, ha detto Alan Cibils, direttore del dipartimento di economia politica all’Universidad Nacional de General Sarmiento di Buenos Aires.
“È stato un default di successo” anche per Weisbrot. “La loro economia ha raggiunto il livello produttivo successivo alla crisi in tre anni, mentre alla Grecia ne saranno necessari dieci se sarà fortunata. E in questo periodo diventeranno poveri dagli 11 ai 12 milioni di cittadini.”
Come la Grecia, Buenos Aires si è nutrita delle analisi da manuale, in questo appoggiata dal FMI e dal consesso di economisti accademici e politici locali, che attribuivano i suoi problemi non alla ipervalutazione della moneta ai debiti insostenibili, ma alla troppa spesa pubblica.
Come hanno riportato gli economisti Roberto Frenkel e Martin Rapetti in uno studio sulla crisi argentina per il CEPR, la teoria indicava che “la disciplina fiscale implica una maggiore fiducia, e conseguentemente il premio per il rischio calerebbe facendo diminuire i tassi di interesse. Quindi, il livello di spesa sarebbe migliorato e avrebbe spinto l’economia fuori dalla recessione.
I tassi d’interesse più bassi e un aumento del PIL avrebbero, a sua volta, ripristinato un bilancio in pareggio e avrebbero chiuso un circolo virtuoso.”
Non è andata così. Infatti, i tagli drastici alla spesa pubblica hanno reso la flessione ancora peggiore, mentre la parificazione al dollaro impediva la svalutazione che avrebbe aiutato l’Argentina a rafforzare la sua competitività.
In modo simile, Atene, vincolata dall’euro, non può svalutare, o controllare i tassi d’interesse, e la soluzione invocata dai vicini dell’eurozona sarebbe nella privatizzazione, nella liberalizzazione e nei forti tagli alla spesa pubblica.
“I parallelismi sono davvero evidenti”, ha detto Peter Chowla del Bretton Woods Project, che monitora il FMI e la Banca Mondiale. “L’Argentina ha ricevuto un prestito del FMI, che ha imposto l’austerità, e ha fallito per più di un anno, poi hanno deciso di andare al raddoppio, dandogli un altro prestito domandando ancora più tagli.”
Ci sono state anche una serie di ristrutturazioni volontarie, simili allo schema che è stato proposto alla Grecia, che concesse un po’ di tempo al governo argentino prima che i mercati perdessero la pazienza e gli interessi sul debito schizzarono di nuovo verso l’alto.
In maggio Cibils ha viaggiato in Grecia
per parlare agli attivisti dell’esperienza dell’Argentina: “Mi
manda fuori di testa che queste politiche che hanno fallito miseramente
e ripetutamente vengano ora proposte dai paesi europei.”. Il suo
messaggio era che “il default non solo non è la fine del
mondo; il default è il primo passo per il livello successivo.
Quello che sta accadendo ora è insostenibile. Quando la BCE e i politici
francese e tedeschi dicono che il default sarebbe un disastro,
stanno parlando per conto dell’industria finanziaria.”
L’esperienza argentina dimostra comunque
che il default non è una passeggiata. Il “dissesto sociale”,
come viene definito dal FMI, è stato profondo. Nel frattempo, ci sono
voluti anni per negoziare un accordo con tre quarti dei possessori dei
bond, grazie al quale il valore di suoi debiti è stato depennato
di circa il 75%. Si sono dovuti imporre il cambio delle monete e un
controlli sui capitali per prevenire che i soldi fuggissero dal paese
– cosa che va completamente contro le regole del FMI– e per salvare
le banche locali e i proprietari di case, i cui debiti erano denominati
in divise estere.
Anche adesso alcuni dei creditori dell’Argentina
rimangono sulle loro posizioni e non è stato ancora possibile tornare
sui mercati finanziari. Ma la gran parte del suo deficit derivava
dagli interessi sul debito, e così ha potuto di nuovo prendere denaro
a prestito negli anni successivi alla crisi.
La Grecia avrebbe un deficit
anche se non dovesse pagare gli interessi; ma Weisbrot dice che sono
disponibili più risorse di capitale rispetto a un decennio fa. Alcuni
paesi che sono stati rifiutati dai prestatori occidentali, tra cui Venezuela
e Cuba, sono stati in grado di avere debiti dalla Cina negli ultimi
anni; e la Grecia è una piccola economia, e avrebbe bisogni di piccole
somme, su scala globale.
Le discussioni su un nuovo bailout
per la Grecia dal FMI e dall’UE sembrano aver fatto un buco nell’acqua,
con le banche incapaci di accordarsi sui termini di una possibile rinegoziazione,
mentre le agenzie di rating avvertivano che un tale accordo avrebbe
costituito un “default selettivo”, l’anatema della
Banca Centrale Europea. Intanto, la BCE ha dato forza al suo piano per
innalzare i tassi di interesse, ponendo un freno alle pressioni sulle
economie precarie dell’eurozona – che comprendono la Grecia – mentre
si levavano una serie di dubbi sulla concessione da parte del FMI della
tranche finale del salvataggio di emergenza dello scorso anno. Christine
Lagarde, il direttore del FMI, ha reiterato l’urgenza di Atene di
effettuare tagli alla spesa.
Anche con un nuovo pacchetto di salvataggio,
l’esperienza dell’Argentina suggerisce che i manifestanti nelle
strade hanno ragione nel vedere davanti a sé nient’altro che austerità,
austerità, austerità, e nel domandarsi se possa funzionare. Per ora
i mercati finanziari, pilotati dalle arroganti agenzie di rating,
stanno dettando il ritmo. Ma se i politici non prenderanno possesso
della situazione, avverte Weisbrot, la Grecia rimbalzerà da una crisi
all’altra: “Non vedo propria una bella fine.”
CRONOLOGIA DEL DECLINO
Aprile 1991 L’Argentina approva
la “legge sulla convertibilità”, agganciando la sua moneta al dollaro
USA
1995-99 Il dollaro si apprezza
in modo robusto, portando con sé il peso argentino sfasciando l’industria
del paese
1998 L’economia entra in recessione
Dicembre 1999 Fernando de la
Rúa viene eletto presidente e chiede un salvataggio del FMI
10 marzo 2000 Il FMI concede
un fondo di 7 miliardi di dollari a condizione di un rigido “aggiustamento
fiscale”
Gennaio 2001 Altro bailout,
questa volta fa parte di un pacchetto di 40 miliardi di dollari, dal
FMI e da altri prestatori
16 giugno Il governo annuncia
una ristrutturazione del debito per 30 miliardi di dollari, nella quale
le obbligazioni vengono scambiate con nuovi prestiti, assieme a una
svalutazione del 7%
19 luglio I sindacati indicono
uno sciopero generale per protestare contro i tagli
6 novembre Altro giorno, altro
swap sul debito, questa volta per 60 miliardi di dollari in obbligazioni.
Le agenzie di rating lo considerano un default
30 novembre Corsa agli sportelli,
de La Rúa pone restrizioni ai prelievi
5 dicembre Il FMI blocca l’ultima
introduzione del suo prestito di salvataggio
19 dicembre Scontri per la disoccupazione
in crescita e per i tagli alla spesa
21 dicembre De la Rúa si dimette
e scappa in elicottero; il presidente del Senato Ramón Puerta diventa
presidente ad interim per 48 ore
23 dicembre Altro presidente
temporaneo, Adolfo Rodríguez Saá, viene nominato fino alle elezioni
che si terranno a primavera
26 dicembre Saá annuncia che
i rimborsi sul debito dell’Argentina verranno sospesi
30 dicembre Saá viene costretto
alle dimissioni per le continue proteste sociali. Il parlamento elegge
Eduardo Duhalde per sostituirlo
6 gennaio Duhalde annuncia una
svalutazione per 1,4 pesos per dollaro
30 gennaio Viene annunciato che il peso potrà oscillare sui cambi delle divise
Fonte: http://www.guardian.co.uk/business/2011/jul/10/european-debt-crisis-argentina-imf
10.07.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE