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ANDREMO VERSO UNA CARESTIA PLANETARIA?

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A cura di supervice
Il 9 Gennaio 2012
81 Views

DI GERMÁN GORRAIZ LOPEZ
Syr y Sur

Ogni anno il mondo fagocita la metà
delle riserve di un paese petrolifero importante e le energie alternative ancora hanno bisogno di enormi sussidi come poter essere utilizzate nei paesi in via di sviluppo.

Tutto ciò, insieme al fatto che la
tecnologia dell’idrogeno (una sorta di pietra filosofale che risolverà i problemi energetici dell’Umanità) è ancora agli inizi e che l’inerzia delle ricchezze petroliere non permetterà che le grandi compagnie abbandonino i propri investimenti e l’infrastruttura attuale, farà sì che l’economia mondiale continui a essere dipendente dal petrolio.
Il gas si presenta come l’unico sostituto

che possa contrastare una presunta scarsità di petrolio, ma anche

questa risorsa segue lo stesso percorso di instabilità e il suo declino

avverrà solamente con alcuni anni di ritardo rispetto al petrolio,

visto che alcuni paesi stanno già consumando le proprie riserve strategiche

– da destinare esclusivamente alle situazioni critiche – per garantire

il consumo interno di un paio di mesi, e altri hanno appena introdotte

timide misure per il risparmio energetico.

Così, il presidente statunitense Barack

Obama ha annunciato che il governo nordamericano ridurrà le emissioni

di gas serra del 28 per cento entro il 2020 (raggiungendo l’obbiettivo

prefissato, si dovrebbero risparmiare 250 milioni di barili di petrolio)

e in Cina è stato introdotto il Piano Energetico Quinquennale che nel

2012 vuole ridurre la dipendenza dal carbone e dal petrolio, anche se,

secondo Greenpeace, con un “insufficiente incremento delle energie

rinnovabili pari all’1%” in un paese dove il carbone copre il

70 per cento dei bisogni energetici e dove, se dovesse proseguire la

tendenza attuale, il consumo attuale di carbone verrà raddoppiato nel

giro di 15 anni.

In Russia, secondo Reuters, la produzione

petrolifera è salita dell’1,2% nel 2011 per raggiungere 10,27

milioni di barili al giorno (bpd) e il principale impulso a questo rialzo

è dato dal nuovo campo petrolifero di Vankor sviluppato da Rosneft,

il maggiore produttore del paese, dove l’anno scorso è stata

raggiunta una produzione di 15 milioni di tonnellate (300.000 bpd),

facendolo diventare la principale fonte dell’export russo tramite

oleodotti verso la Cina, grazie al collegamento Siberia-Oceano Pacifico

(ESPO) (300.000 bpd di petrolio da Skovorodino a Daqing); per questo

motivo l’UE – che consuma il 30 per cento del petrolio russo – dovrà

abituarsi al ricatto energetico di Putin.

In quanto all’Iran, possiede, secondo

gli esperti, le terze riserve certificate di petrolio e di gas dietro

Arabia Saudita e Iraq, ma apparentemente non ha la tecnologia sufficiente

per estrarre il gas dai giacimenti più profondi. Inoltre, l’industria

petrolifera iraniana ha bisogno di un urgente investimento multimiliardario

dato che corre il rischio di dover subire una contrazione di produzione

irreversibile e, in accordo al quinto piano quinquennale (2010 –2015)

introdotto dal regime, il Governo è obbligato a investire circa 155

miliardi di dollari per lo sviluppo dell’industria industria petrolifera

e gasistica, ma il contenzioso nucleare con gli Stati Uniti e le possibili

sanzioni sotto forma di stretta finanziaria dall’estero potrebbero

far diventare obsoleto questo piano.

Le esportazioni di greggio e di prodotti

petroliferi dell’OPEC verso gli Stati Uniti rappresentano il 38% del

totale degli acquisti effettuati da questo paese e il Venezuela ne fornisce

il 21,6% (1,5 milioni bpd), portandolo al secondo posto tra i fornitori

membri dell’OPEC per ragioni di vicinanza geografica (la navigazione

delle petroliere verso gli USA dura cinque giorni, quella verso l’Europa

14 e verso l’Estremo Oriente 45, e per questa ragione i noli diventano

proibitivi) a dispetto della drammatica diminuzione del volume totale

delle esportazioni (secondo i dati pubblicati dal Ministero dell’Energia

e del Petrolio, le vendite del paese sono calate del 6,3% e nel 2011

sono stati venduti 2,3 milioni di barili al giorno).

Nuova crisi petrolifera? L’OPEC, da

parte sua, mantiene intatta la sua stima sulla domanda mondiale nel

2012, pari a 89,01 milioni di barili giornalieri (mbd) malgrado le incertezze

che incombono sul mercato, e per questo la previsione sulla crescita

della domanda petrolifera mondiale nel 2012 rimane invariata a 1,2 mbd

(l’1,36 per cento di aumento annuo), segnala l’OPEC nella sua relazione

mensile del novembre del 2011.

In ogni caso, il recupero e la domanda

saranno guidati dai paesi emergenti come la Cina, perché la sua

richiesta di petrolio non ha mai smesso di crescere, arrivando a circa

8.200 mb/d (9,72%) di fronte ad una produzione di 3.860 mb/d, e per

questo è ora un importatore netto per 4.340 mb/d (circa il 10% della

quantità scambiata sul mercato). Nel 2012 la Cina avrà incrementato

la sua domanda petrolifera di 560.000 bpd, che rappresenta il 50% dell’incremento

mondiale del consumo petrolifero di quest’anno, portando la Cina al

secondo posto per consumo a livello mondiale.

Tuttavia, la stagnazione del prezzo

del greggio nel biennio 2008-2010 ha impedito ai paesi produttori di

ottenere prezzi adeguati (attorno ai 90 dollari) agli investimenti necessari

nelle infrastrutture e nella ricerca di nuovi giacimenti, e per questo

non è da escludere una possibile contrazione della produzione mondiale

di petrolio per il 2015, al concatenarsi della ripresa economica negli

Stati Uniti e nell’UE con i fattori di squilibrio geopolitico.

Così, Iran, il secondo maggiore produttore

dell’OPEC, potrebbe tentare di ostacolare il traffico attraverso lo

Stretto di Hormuz se gli Stati Uniti dovessero ricorrere all’azione

militare contro la Repubblica Islamica nell’ambito del controverso

programma nucleare e, secondo una stima dell’AIE (Agenzia Internazionale

dell’Energia), al momento sono 13,4 milioni al giorno i barili cha transitano

nel canale sulle petroliere (pari a circa il 40% del petrolio scambiato

in tutto il mondo).

Tutto ciò darà presumibilmente

il via a una psicosi di scarsità e all’incremento spettacolare

del prezzo del petrolio fino ai livelli del 2008 (portandolo intorno

ai 150 dollari) e ciò avrà come riflesso un selvaggio rincaro dei

noli per il trasporto e dei fertilizzanti agricoli che, assieme alle

inusuali siccità e alle inondazioni nei tradizionali granai mondiali

e alla conseguente applicazione delle restrizioni all’esportazione di

queste commodities da parte di questi paesi per garantirsi l’accesso

a queste materie, finirà per produrre un esaurimento nei mercati mondiali,

l’incremento dei prezzi fino a livelli stratosferici e una conseguente

crisi alimentare globale.

Così, la carestia dei prodotti agricoli

di base per l’alimentazione (grano, mais, riso, sorgo e miglio) e il

forte incremento dei prezzi di questi prodotti nei mercati mondiali,

che ha avuto il suo picco nel 2007, andrà presumibilmente “in

crescendo” nel prossimo decennio fino a raggiungere il suo zenit

nel 2016, a causa della concatenazione dei seguenti fattori:

– sviluppo economico suicida dei paesi

del Terzo Mondo con crescite smisurate delle metropoli e dei megacomplessi

turistici, e la conseguente riduzione della superficie destinata alla

coltivazione agricola.

– cambiamento di modelli di consumo

dei paesi emergenti dovuto al notevole aumento della classe media e

del suo potere d’acquisto, unito alla debolezza del dollaro e alla diminuzione

dei prezzi del greggio con la conseguente deviazione degli investimenti

speculativi verso il mercato delle materie prime (commodities).

A ciò dobbiamo aggiungere l’incremento

dell’utilizzo da parte dei paesi del primo mondo di tecnologie predatrici

(biocombustibili) che, fregiandosi dell’etichetta BIO rispettosa dell’ecosistema,

non hanno esitato a fagocitare enormi quantità di mais destinate all’alimentazione

per la produzione di biodiesel.

La fame nera colpirebbe specialmente

le Antille, Messico, America Centrale, Colombia, Venezuela, Bolivia,

Paraguay, Egitto, India, Cina, Bangladesh, Corea del Nord e Sud-est

Asiatico, accanendosi con speciale virulenza contro l’Africa sub-sahariana,

facendo passare la popolazione che deve gia subire l’inedia dal miliardo

attuale a 2 miliardi secondo una stima di alcuni analisti.

**********************************************

Fonte: ¿Hacia la hambruna mundial?

06.01.2012

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE

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