Pare proprio che la maggiore preoccupazione non solo delle élite tecnocratiche ma anche dei sacerdoti della geopolitica, sia che il conflitto ucraino segni la conclusione dell’età della globalizzazione dando luogo a incontrastabili destabilizzazioni, determinando, come ha denunciato Visco, “brusco rallentamento o un vero e proprio arretramento dell’apertura dell’interdipendenza” e con il “pericolo” di regredire a contesti più regionalizzati, a un decremento dei movimenti delle persone, delle merci, oltre che di capitali e con il rischio che si riducano gli investimenti produttivi con il conseguente rallentamento della crescita.
Ormai c’è poco da sperare nel pensiero dei ragionieri di governo e di opinione, ancora posseduti dal terrore che tramonti il sole dell’Occidente, che quel delirio di onnipotenza imperialista e colonialista si smonti miseramente con l’irruzione di soggetti sottovalutati, potenze capaci di introdurre modalità e canoni diversi se non alternativi, che potrebbero perfino tradursi in pratiche redistributive, in mutamenti dei consumi e degli stili di vita.
Tutto conferma che consistano in questo i rischi che paventano le oligarchie che dettano ormai i comandamenti cui dobbiamo attenerci per meritare l’accesso limitato al benessere sempre più condizionato dall’obbedienza, minacciato dall’eclissi del dollaro e dall’occupazione del mercato delle intermediazioni da quei soggetti che proprio loro hanno promosso e favorito e dei quali oggi denunciano l’infedeltà ai valori comuni e condivisi.
E è inevitabile ipotizzare che dopo l’uso strumentale dell’emergenza pandemica che ormai mostra perfino ai più renitenti il suo carattere autocratico e repressivo, ora l’intento di chi vuole che la guerra continui e si estenda a vari livelli di intensità, sia quello di condannare alla marginalità e alla definitiva uscita di scena l’Europa in favore di una provincia sottomessa completamente per necessità, percorsa da veleni, carestie, razionamenti, malattie e ignoranza, ricattata e umiliata proprio da quelle sanzioni che ha comminato su commissione e che di rivelano in tutta la loro potenza autolesionista, come era prevedibile succedesse in un conflitto geoeconomico.
Il Putin pazzo, irrazionale, misoneista che a detta dei detrattori a tutti i livelli sragione con lo scolapasta in testa credendosi di volta in volta Ivan i terribile, Pietro il Grande o Josip Stalin, dimostra che i progetti ma anche i riferimenti, i principi, i valori simbolici ai quali veniamo richiamati come abitanti della civiltà arruolati per difenderla, sono superati, che quella superiorità rivendicata di carattere militare, tecnologico, sociale, culturale e etica, segnata da stragi, sopraffazione, sfruttamento, omologazione, inquinamento, non ha la forza di contrastare una potenza antagonista dotata di immense risorse, inattaccabile del punto di vista tecnologico, energeticamente indipendente, un nuovo “continente” politico, produttivo, commerciale, multinazionale, multietnico, composto da Russia, Cina, India.
Dovremmo essere galvanizzati dalla cognizione della paura dell’establishment, di una sinistra che, mascherina, vaccino e elmetto, è fiera paladina della globalizzazione neoliberista, considerata fatale per l’assenza di una ragionevole alternativa e comunque portatrice di “progresso” malgrado le sue “storture”, dovremmo cominciare a legittimare la dimensione populistica del conflitto politico e sociale, come unica possibilità per la lotta di classe, la nostra.
Bisogna ricordarlo agli apostoli della fine della storia che continuano a recitare il de profundis convinti che di storia ce ne fosse una sola coincidente con l’ Occidente, cui leggi naturali, quelli del capitale e del mercato imponevano l’adesione a genti che solo così avrebbero meritato la promozione a popoli, ammessi a approfittare della carattere monopolistico e imperialistico trainante, di potenze che fondavano l’accumulazione di ricchezza sulla sistematica espropriazione delle risorse periferiche.
Ci hanno fatto credere che quel sistema rappresentasse il destino del mondo, che potesse sopravvivere perennemente accumulando spazio di conquista e di sfruttamento, da occupare e percorrere liberamente attraverso la mobilità di capitali, merci, consumi, persone, bisogni e desideri.
Che siamo di fronte a una contrapposizione feroce, con connotati ferini potrebbe essere rappresentato dal duello tra l’orso dell’Est e il toro che campeggia davanti alla sede della borsa di New York, a Wall Street. Non occorre essere putiniani per capire che l’orso è più “moderno” e consapevole di quel toto che incarna gli “spiriti animali” del capitalismo e della controrivoluzione neoliberista.
Spetta alle classi subalterne agitare il panno rosso per infilzarlo e punirlo dell’azione di demolizione del welfare, della precarizzazione del lavoro, delle privatizzazioni sistematiche. E ora della determinazione a farci precipitare in un baratro di miseria, demoralizzazione, perdita di beni, autodeterminazione, dignità.
Di Anna Lombroso per il Simplicissimus
Fonte: https://ilsimplicissimus2.com/2022/04/19/anche-i-ricchi-hanno-paura-162131/
19.04.2022
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org