ROBERT FISK
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Sarà l’ultima battaglia? Per tre anni, Idlib è stata la discarica di tutte le milizie islamiche in ritirata dalla Siria, l’ultima ridotta di tutti quei combattenti che avevano preferito continuare a combattere piuttosto che arrendersi all’esercito siriano, alle forze aerospaziali russe, agli Hezbollah e , in misura minore, agli Iraniani.
Il Brigadiere Generale Suheil al-Hassan, la “Tigre” dei miti e delle leggende militari siriane, che sa recitare memoria i versi del poeta Mutanabi, ma che preferisce essere paragonato a Erwin Rommel piuttosto che a Bernard Montgomery, porterà sicuramente con sé la “Forza Tigre” per la resa dei conti finale fra il regime di Damasco e gli Islamisti di ispirazione salafita, armati dall’Occidente, che avevano tentato, per poi miseramente fallire, di abbattere il governo di Bashar al-Assad.
Grazie a Donald Trump, ora per i “ribelli” siriani è tutto finito, dal momento che sono stati traditi dagli Americani, sicuramente e definitivamente dallo stesso Trump nei famosi colloqui segreti con Vladimir Putin di Helsinki, forse le più importanti delle discussioni “in incognito,” quelle che si svolgono alla presenza dei soli interpreti.
Tre settimane prima, gli Americani avevano comunicato ai ribelli della Siria sud-occidentale, ai piedi delle Alture del Golan occupate da Israele, che avrebbero dovuto cavarsela da soli e di non aspettarsi più assistenza militare. Anche i Caschi Bianchi, eroici soccorritori o propagandisti di guerra dei ribelli (scegliete voi, ma sicuramente verranno presto presentati come “controversi”), sono stati esfiltrati dalle aree occupate dai ribelli, insieme alle loro famiglie, con l’aiuto degli Israeliani e portati in salvo in Giordania.
Gli Israeliani sono un po’ seccati per non essere stati ringraziati dalle unità di difesa civile dei Caschi Bianchi per la loro assistenza umanitaria, ma che cosa si aspettavano, dopo aver passato tutto il tempo ad attaccare durante la guerra gli Iraniani, gli Hezbollah e i Siriani, dopo aver fornito assistenza medica ai combattenti islamici di al-Nusra che erano passati dietro le loro linee, senza mai, ma proprio mai, bombardare l’ISIS? Credono forse che i Caschi Bianchi vogliano essere associati ad Israele proprio adesso?
Ma gli Israeliani hanno ottenuto quello che veramente volevano: la promessa russa che gli Iraniani si terranno lontani dalle Alture del Golan siriane occupate da Israele. La cosa è assai strana, perché in Siria le truppe iraniane sono poche e preziose (dimenticatevi le frottole che raccontano gli “esperti” di Washington), ma combacia alla perfezione con la convinzione macabra e teatrale di Benjamin Netanyahu che l’Iran è un “cappio di terrore” attorno al collo di Israele. In ogni caso, qualcosa sulla guerra in Siria la conosce anche Putin: le bombe sono importanti, ma anche i soldi.
Per quale altro motivo allora Putin avrebbe annunciato investimenti per 50 miliardi di dollari nel settore energetico iraniano? E’ semplicemente un anticipo per gli investimenti fatti dall’Iran nella guerra siriana? Un regalo del genere “grazie, ma ora potete andare” di Mosca per poter avere in cambio una parata a Teheran, senza dubbio trionfale, delle forze iraniane che ritornano “vincitrici” dai loro doveri islamico-rivoluzionari in Siria?
Dopo aver incontrato Putin al Kremlino meno di due settimane fa, Ali Akbar Velayati, consigliere anziano per gli affari esteri del “Leader Supremo” Khamenei, ha ammesso che i loro colloqui “si erano concentrati sulla cooperazione russo-iraniana… ma anche sulla situazione nella regione, compresi gli ultimi sviluppi in Siria.” E questo è quanto. L’economia iraniana è sistemata, ma gli ordini di marcia per la Siria li prende da Putin.
Mai troppo presto per gli Iraniani, senza dubbio. E’ stato abbastanza scioccante per me vedere, il mese scorso, i più ricchi e benestanti iraniani del ceto medio arrivare in massa a Belgrado, portando contanti e gioielli in Occidente tramite una delle poche nazioni occidentali che ancora consentono l’ingresso senza visto agli Iraniani colpiti dalle sanzioni. Voli low-cost da Teheran e da altre città iraniane atterrano tutti i giorni in Serbia e gli hotel di Belgrado sono stipati di clienti che parlano Farsi, pronti, presumibilmente, ad iniziare una nuova vita in Occidente. L’Unione Europea, non c’è bisogno di ribadirlo, sta minacciando Belgrado di abolire il regime visa-free di cui godono i cittadini serbi nel resto d’Europa, se non bloccherà l’afflusso dei remunerativi “turisti” iraniani.
Nel frattempo, l’esercito siriano, che sta combattendo contro gli ultimi, irriducibili, gruppuscoli di Islamisti vicino a Daraa, si riporterà ai bordi della zona smilitarizzata controllata dalle Nazioni Unite, dove si trovava già prima dello scoppio della guerra civile nel 2011. In altre parole, il problema del “Fronte Sud” sarà risolto e rimarrà solo la ridotta di Idlib, insieme alla città di Raqqa, nelle mani delle milizie ancora fedeli (non certo ancora per molto, dato che Trump li sta tradendo) agli Stati Uniti. Putin, probabilmente, è in grado di risolvere questo problema, se non lo ha già fatto durante il suo incontro con Trump.
Ma Idlib è più importante. Senza dubbio, assisteremo ad ulteriori colloqui di “riconciliazione” fra le autorità siriane e le formazioni ribelli all’interno della provincia. Ci saranno accordi, pubblici e privati, in base ai quali tutti quelli che vorranno ritornare nel territorio controllato dalle forze governative potranno farlo. Ma, dal momento che a Idlib ci sono quegli Islamisti, con le loro famiglie, che avevano già rifiutato simili offerte in altre città (molti di loro erano arrivati con gli autobus dalla zona di Ghouta e Yarmouk, presso Damasco, da Homs e dalle altre città dove si erano arresi, direttamente nella provincia di Idlib), il loro futuro sembra abbastanza fosco.
Naturalmente a tutti piacciono le guerre con una “battaglia finale”. Strano a dirsi, Gerusalemme e Baghdad erano state le uniche capitali nemiche ad essere invase dagli Alleati durante la Prima Guerra Mondiale. E sappiamo che la presa di Berlino da parte dei Russi aveva posto termine alla parte europea della Seconda Guerra Mondiale. Lasciamo perdere, per ovvie ragioni, la caduta di Saigon (aveva vinto la parte sbagliata) e le varie “capitali” conquistate in Medio Oriente (Gerusalemme nel 1967, Beirut nel 1982, Kuwait City nel 1990 e Bagdad nel 2003), perché hanno lasciato retaggi di sangue che si trascinano fino al giorno d’oggi.
Ma dobbiamo ricordare una cosa. L’esercito siriano è abituato a combattere. La stessa cosa vale per l’aviazione russa. E’ sicuro che, quando comincerà l’ultima battaglia, difficilmente verrà dimenticato l’assedio di al-Nusra all’ospedale militare governativo Jisr al-Shugour di Idlib e il massacro di molti dei suoi difensori e delle loro famiglie, tre anni or sono. Mosca non darà il benvenuto a casa, in Cecenia, agli Islamisti. E Ankara non vuole sparpagliare i veterani di Idlib nelle pianure dell’Anatolia, visto che Erdogan è ancora ossessionato dal tentato colpo di stato “islamico” di due anni fa, con decine di migliaia di presunti fiancheggiatori che ancora marciscono nelle sontuose galere turche.
L’Occidente non darà certamente una mano. C’è il vecchio mulo dell’ONU che, credo, potrebbe farsi coinvolgere in una “temporanea” missione di pace a Idlib, ma non avrà certo il sostegno di un presidente siriano che intende riportare ogni chilometro quadrato della nazione sotto il controllo esclusivo del governo. Potrebbe rendersi disponibile una discarica ancora più piccola, se i ribelli di Idlib venissero trasferiti più a nord, nell’enclave di Afrin, già ampiamente popolata e controllata dai vecchi amici della Turchia, provenienti dalle file dell’ISIS. E’ certo che l’Occidente non vorrà i rimasugli di quella armata islamica che aveva contribuito ad armare.
Presumibilmente, l’asilo politico concesso ai Caschi Bianchi sarà il massimo della sua generosità, insieme al normale aiuto ai rifugiati.
Ma dobbiamo anche ricordare che quelle nazioni che per così tanto tempo avevano cercato di rovesciare Assad, ora cercheranno, anche se lentamente, di ristabilire relazioni di qualche genere con il governo di Damasco. Diplomatici francesi, manco a dirlo, stanno facendo i turisti in Siria dal Libano da almeno un anno. La stessa cosa hanno fatto, in maniera discreta, inviati di altre nazioni europee. Gli Americani vorranno la loro particina, per quanto strano (o trumpiano) possa sembrare, e, in quel momento cruciale, Putin sarà a disposizione.
Ma, che cosa sarà dei cinque milioni di rifugiati siriani le cui nazioni ospitanti, Europa, naturalmente, ma anche Turchia, Libano, Giordania, Iraq, Kuwait, Egitto, non vedono l’ora che tornino a “casa?” E qui, forse, si trova la chiave per interpretare questa “fine della guerra.”
I Russi sono pronti a garantire ai rifugiati la possibilità di ritornare sani e salvi alle loro case (che cosa valgano queste promesse è un’incognita, visto che migliaia di senzatetto temono il regime) e sembra che inviati di Mosca siano già arrivati in Libano, che ospita un milione e mezzo di Siriani, per parlare di logistica. Gli Stati Arabi del Golfo, in modo particolare il Qatar, sembra siano interessati a finanziare la ricostruzione della Siria. Perciò, se non sarà possibile far arrendere con le armi i “ribelli” di Idlib, si potrà almeno corromperli? Tra l’altro facendolo fare alle nazioni arabe che li hanno sostenuti fin dall’inizio. E’ ancora presto. Ma tutte le guerre arrivano alla fine. Ed è da qui che ricomincia la storia.
Robert Fisk
Fonte: independent.co.uk
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27.07.2018
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org