Ritiro strategico per perpetuare l’occupazione
DI DAVID BLOOM
Il governo statunitense, sotto la spinta dei governi europei, ha richiesto che Israele si impegni in un ultimo tentativo per un accordo bilaterale con l’Autorità Palestinese. Se, entro la fine dell’anno, gli Stati Uniti e Israele concorderanno sul fatto che non esiste nessun “partner” palestinese “adatto per fare la pace”, il Primo Ministro israeliano Olmert e il governo traballante guidato da Kadima continueranno il processo di separazione unilaterale degli israeliani dai palestinesi nei territori occupati della Cisgiordania e probabilmente parte di Gerusalemme est occupata. Si prevede che questo processo duri quattro anni.Durante la recente visita di Olmert, il presidente statunitense Geroge Bush ha elogiato il suo piano per una separazione unilaterale dai palestinesi come una “mossa audace” per la pace.
In ogni caso, prima che Olmert venisse negli Stati Uniti, Israele aveva accantonato la sua richiesta per l’approvazione immediata del suo piano di separazione, chiamato in quel momento piano di “convergenza”, insieme alla richiesta di 10 milioni di dollari per finanziare il reinsediamento di migliaia di coloni da un parte all’altra dei territori occupati della Cisgiordania occupata, cosa che, all’interno del muro di separazione di Israele che deve ancora essere completata, è stata dichiarata illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia a L’Aia nel luglio 2004. In base al servizio di Aaron Klein del 15 maggio comparso sul sito di destra del WorldNetDaily.com, gli Stati Uniti finora si sono rifiutati di accettare.
Il gioco dei numeri
Gideon Levy sull’Ha’aertz del 28 maggio scrive che i coloni che verrebbero mandati via dalla parte orientale del muro sono ora al massimo 40.000, rispetto ai 70.000 annunciati nel piano di “convergenza” di Olmert. Il piano aggiornato quindi adotta anche un nuovo eufemismo: “riallineamento”.
Secondo il Jerusalem Post del 19 maggio, sono 70.000 i coloni che vivono attualmente nella parte orientale o “palestinese” oltre il muro, sostenendo che bisogna lasciarne 30.000 nella parte est. Questi dovrebbero essere inclusi nella parte occidentale “israeliana” di Israele, dopo le estensioni del muro che ancora devono essere annunciate. Questa notizia data per sondare il terreno prima del viaggio di Olmert a Wasington, dal suo consulente per gli insediamenti Uzi Karen, membro della Knesset (= MK) del partito Kadima che il 29 maggio in un articolo del Jerusalem Post assume che circa 55 dei 262 insediamenti totali saranno oltre il muro, ma solo “20-30” saranno rimossi.
Si stima che ci siano 445.000 coloni israeliani, definiti come tutti i cittadini israeliani che vivono nei territori occupati palestinesi, includendo l’illegale annessione dell’area est di Gerusalemme, e il loro numero è da poco cresciuto dopo che circa 9.000 di loro sono stati mandati via dalla striscia di Gaza la scorsa estate. In base all’attuale piano solo 40.000 coloni saranno effettivamente spostati in qualche altro posto e in generale, il governo di Kadima, sostiene che essi saranno spostati nei “blocchi” degli insediamenti ad ovest del muro, quindi ancora all’interno dei territori occupati. L’esercito israeliano intende continuare ad operare ancora nell’area dove i coloni sono destinati ad essere rimossi.
L’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem sostiene che il numero degli insediamenti “approvati” dal governo israeliano è di 152 (per la legge internazionale sono tutti illegali). Inoltre ci sono 105 “avamposti”, insediamenti “illegali”, così come sottolineato dalla relazione di Talia Sasson, procuratrice nominata dal governo isaraeliano. Il 29 maggio il Jerusalem Post ha detto che 24 di questi avamposti “illegali” sono stati programmati per essere evacuati e il destino degli altri 81 va “riconsiderato” in base al piano di “riallineamento”.
Il MK Keren ha detto che il “Beit El Group” di insediamenti, che includono Ofra e Shilo, attualmente ad est dei confini stabiliti per il muro, erano stati inclusi nel recinto. Comunque, anche senza questi aggiustamenti, secondo B’Tselem, il 9,5% della Cisgiordania sarebbe incluso nella parte “israeliana” del muro. Questa percentuale non include la Valle del Giordano, che da sola rappresenta un terzo della Cisgiordania, ma ne è tagliata fuori da una serie di checkpoint (invece che da un muro formale) e non è chiaro quale sarà il suo destino. Nella percentuale non è inclusa neanche Hebron. Il Jerusalem Post riportava il 26 maggio che il MK di Kadima Otniel Schneller, coinvolto nella stesura del piano di “riallineamento” propone di includere gli insediamenti ebraici all’interno di Hebron, che sarebbero collegati al vicino insediamento di Kiryat Arba: “Hebron e Kiryat Arba vengono considerate parte dello stato d’Israele”, ha detto Schneller. 450 coloni ebrei che vivono nella cosiddetta “H2”, zona di Hebron controllata dagli israeliani, hanno reso la vita quasi impossibile ai circa 20.000 palestinesi residenti nella zona, che stanno per essere di fatto “sfrattati” dall’aerea, dalla violenza dei coloni.
Anche senza includere Hebron e la Valle del Giordano, B’Tselem dice che 490.500 palestinesi saranno direttamente colpiti dalla presenza del muro – 42 comunità, con oltre 245.500 abitanti, compresa Gerusalemme est, saranno “rinchiusi” nella parte israeliana. Cinquanta comunità, con oltre 244.000 abitanti, saranno circondate su almeno tre lati ad est del muro.
Ma quel 9,5%, o quell’8% in malafede, che cita David Makovsky del Washington Institute for Near East affairs (WINEP), che non include Gerusalemme est, non dicono tutta la verità di questa storia. Nel documento che esprime la posizione del WINEP, Makovsky lamenta il fatto che i palestinesi tenderanno a vedere il bicchiere vuoto dell’8% invece di vederlo pieno al 92%.
La parte vuota del bicchiere – anche se finisce con l’essere vuota solo dell’8% – è quella che però contiene la maggior parte delle terre fertili palestinesi e tutte le sue risorse d’acqua.
Controllo dell’acqua
In base agli accordi di pace di Oslo, quattro quinti delle risorse d’acqua della Cisgiordania sono stati lasciati sotto il controllo israeliano, e dopo l’innalzamento del muro il controllo è salito al 100%. Per esempio, tutti e sette i pozzi che appartenevano al villaggio agricolo di Jayyous, come pure il 95% delle sue terre coltivabili, sono dalla parte occidentale del muro. Come riportato dalla rivista New Scientist, Israele intende fornire ai palestinesi della Cisgiordania acqua desalinizzata del Mediterraneo, con un progetto interamente finanziato dagli Stati Uniti, tenendo la parte migliore delle risorse naturali della Cisgiordania per Israele e i suoi insediamenti. Così i palestinesi che siedono su una quantità d’acqua sufficiente per essere autosufficienti, dovranno completamente dipendere da Israele per quanto riguarda l’approvigionamento dell’acqua.
Israele a sua volta sta progettando di diventare “una superpotenza mondiale in tecnnologie idriche”. Il 23 maggio il Jerusalem Post cita le parole di Uri Yogev, presidente della Waterfronts Israel Water Alliance “Israele è in un’ottima posizione di apertura per lanciarsi verso opportunità internazionali. Lo sviluppo di nuove tecnologie, e la parallela crescita dell’industria dell’acqua, faranno di Israele uno dei mercati dell’acqua più redditizi e creeranno opportunità di sviluppo di un’industria orientata all’esportazione”.
Yogev stima che entro 10 anni le esportazioni dell’industria dell’acqua in Israele raggiungeranno i 10 miliardi di dollari “e a quel punto Israele sarà considerato un centro mondiale per lo sviluppo di tecniche d’avanguardia nell’industria dell’acqua e nelle tecnologie”.
La cifra 9,5% include l’accerchiamento del muro della parte occidentale di Ma’ale Adumim, insediamento satellite di Gerusalemme, che arriva fino a 10 km oltre il confine giordano, tagliando di fatto fuori dal resto il terzo meridionale della Cisgiordania e bloccando l’accesso a Gerusalemme est. Israele ha proposto di scavare un tunnel sotto il “corridoio E-1” per i palestinesi, l’area che ha intenzione di annettere per connettere Ma’ale Adumim a Gerusalemme, collegando l’area sud della Cisgiordania con il resto. L’Autorità palestinese ha chiarito che considera l’E-1 come una “linea-rossa” che impedisce la costituzione di uno stato palestinese realizzabile.
Al momento l’Israeli Committee on Housing Demolitions (ICAHD, comitato israeliano per le demolizioni delle case) riferisce che i bulldozer non stanno lavorando nell’area E-1, sebbene i coloni stiano completando una stazione di polizia per conto del governo israeliano. Due sezioni separate del muro annunciate, che racchiudono gli insediamenti ebraici di Ariel e Kedumim taglierano fuori dal resto il terzo settentrionale della Cisgiordania, e se Israele conserva la via di uscita verso la Valle del Giordano, la Cisgiordania verrà di fatto frantumata in almeno tre parti non comunicanti, con il controllo continuo di Israele dei movimenti palestinesi fra queste regioni.
La valle del Giordano
Il ministro della Difesa, supposta colomba, Amir Peretz, nuovo capo del partito laburista, ha approvato l’espansione di quattro insediamenti, come riportato il 21 maggio da Ha’aretz. Una delle espansioni è verso l’insediamento di Maskiyot, nella Valle del Giordano, dove il governo progetta di spostare i coloni evacuati la scorsa estate dall’insediamento irriducibile di Shirat Hayam, nella striscia di Gaza.
StopTheWall.org il 29 maggio ha riportato che a Wadi al-Maleh sono stati sequestrati 3000 ettari (850 acri) di terre palestinesi per far spazio all’espansione di Maskiyot, e che 40 famiglie sono state cacciate via.
L’opionione dei più, della destra e della sinistra, e degli osservatori, è che Israele non potrà a lungo mantenere questa posizione con un diktat unilaterale. Jeff Halper di ICAHD ha creduto che fosse intenzione di Ariel Sharon costruire ed edificare nella Valle del Giordano e poi gettare “una generosa offerta” al governo palestinese.
Meno è ostacolato l’accesso alla Giordania, più lo stato giordano può assorbire le dislocazioni economiche, demografiche e politiche di quello che rimane della Cisgiordania, proprio come Israele vorrebbe vedere l’Egitto, con il suo confine semiaperto con Gaza, assorbire le pressioni della striscia di Gaza. In ogni caso, Israele ha accelerato il passo nel cementare il sulla Valle del Giordano a partire dall’inizio della seconda Intifada. Come riporta anche Amira Hass su Ha’aretz il 13 febbraio, l’esercito israeliano, nel marzo 2005 ha emanato un decreto che impedisce a chiunque di entrarci, tranne ai 50.000 palestinesi che risiedono nella Valle del Giordano e a quelli che lavorano negli insediamenti ebraici. Da allora Israele ha costruito chekpoint permanenti sulle strade principali per bloccare l’accesso e le Forze di Difesa Israeliane (IDF) sta conducendo raid notturni per fare uscire i palestinesi non registrati dalla zona controllata. Questa consolidazione della valle rispecchia il piano del 1967 dell’allora ministro della Difesa Yigal Allon di mantenere il controllo dell’area.
Autostrade su due livelli e checkpoint permanenti
Il piano riportato più recentemente per il sistema stradale della Cisgiordania prevede un sistema di autostrade su due livelli, secondo il quale gli automobilisti israeliani dovrebbero viaggiare sulla parte di sopra e i palestinesi su quella di sotto, per il 20% delle strade cisgiordane percorse da israeliani. Sei dei dodici piani di interscambio programmati sono già stati costruiti. In base a questo disegno ai palestinesi non verrebbe impedito di viaggiare su alcuna strada in Cisgiordania, ma il progetto li incoraggerebbe ad utilizzare le strade previste per il traffico verso e dai loro centri abitati.
Israele sta costruendo 11 checkpoint permanenti in tutta la Cisgiordania, alcuni con la funzione di far passare il traffico internazionale. Il checkpoint Qalandia, che separa Ramallah da Gerusalemme est, espone un cartello con la scritta “La speranza di tutti noi” in ebraico, arabo ed inglese e un disegno di un fiore.
Un gruppo di attivisti ebrei contro l’occupazione ha scritto con uno spray “Arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi), che il regime nazista aveva scritto all’entrata del campo di concentramento di Auschwitz.
Il gruppo, che si chiama “Ebrei contro il genocidio” ha scritto sul cartello anche “destino manifesto”. I diplomatici statunitensi hanno accettato la proposta di Israele di visitare il nuovo complesso Qalandia, che ora Israele chiama “Atarot crossing”, ma gli europei si sono rifiutati. Insieme al checkpoint di passaggio permanente che Israele ha costruito tra Gerusalemme est e Betlemme, il check point di passaggio Atarot interferisce con il flusso libero di merci e con le persone lungo tutto l’asse Ramallah-Gerusalemme-Betlemme, che contribuiva a circa il 40% dell’economia palestinese cinque anni fa, prima che scoppiasse la seconda intifada.
La parte nord del muro di separazione, da Jenin fino a Ramallah, la parte sud che divide la zona di Betlemme dall’insediamento israeliano Gush Etzion e il mantenimento della Valle del Giordano, separa il resto della Cisgiordania da praticamente tutti suoi terreni agricoli coltivabili, privando un futuro stato palestinese di qualsiasi capacità di autosufficienza. Il muro ha già avuto come risultato anche una migrazione dalle zone agricole verso i centri urbani aldilà del muro stesso.
L’agenda industriale
Nel piano di “riallineamento” è inclusa anche la costruzione di zone industriali sui terreni agricoli confiscati ai palestinesi. Due anni dopo che questo piano è stato annunciato, nessun residente della città circondata di Qalqilya ha accettato “delle quote” nella zona sulla quale Israele ha intenzione di costruire sui terreni che appartengono a Qalqilya dall’altra parte del muro, dove il capitale israeliano può sfruttare la mano d’opera palestinese senza che i palestinesi entrino realmente in Israele. Se l’idea era di evitare che i palestinesi discriminati si ribellassero, potrebbe rivelarsi essere un fallimento – le zone industriali di Erez e Karni nella punta della striscia di Gaza sono soggette a continui attacchi della resistenza palestinese, e Shimon Perez MK di Kadima (ed ex primo ministro) il 24 maggio ha annunciato che alcuni progetti per ulteriori zone industriali – da realizzare insieme all’Autorità Palestinese – al confine con Gaza sono stati annullati per questioni di sicurezza.
Che le ragioni del piano di riallineamento siano politiche e non di sicurezza è confermato anche da Martin van Creveld, considerato uno dei massimi esperti della storia militare israeliana. Quando questo giornalista gli ha chiesto se c’era qualche giustificazione di sicurezza per costruire il muro a quattro miglia dalla Linea Verde a Jayyous, Van Creveld ha risposto: “A mio parere, in quanto israeliano preoccupato per il futuro del suo paese, il muro dovrebbe seguire i confini del 1948. Ma è comunque meglio avere un qualsiasi muro che neanche uno”.
Nel suo libro Difending Israel: A Controversial Plan Towards Peace (St. Martin’s Press 2004) Van Creveld conclude: “dal punto di vista della sicurezza, l’intero piano di insediamento non ha alcun senso”.
David Bloom
Fonte: http://ww4report.com/
Link: http://ww4report.com/node/2023
25.06.2006
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GENNARO SEVERINO
REFERENZE:
“The Choice Is Now,” Angela Godfrey, Challenge magazine, May 29
http://electronicIntifada.net/v2/article4750.shtml
“Countdown to Apartheid,” Jeff Halper, Counterpunch, May 26
http://www.counterpunch.org/halper05252006.html
“Israel Lays Claim to Palestine’s Water,” New Scientist, May 27, 2004
http://www.newscientist.com/article.ns?id=dn5037
For a map of the Allon plan, see:
http://www.mideastweb.org/alonplan.htm
VEDI ANCHE:
“Bitter Fruits Of Jordan Valley Apartheid,”
by Sarkis Pogossian
WW4 REPORT #118, February 2006
http://www.ww4report.com/node/1533
“Update From Jayyous: Israeli Settlement Seizes Palestinian Farmland,”
by David Bloom
WW4 REPORT #105 December 2004
http://www.ww4report.com/105/palestine/jayyous
“Israel to UN: Drop Dead!”
by David Bloom
WW4 REPORT, #101, August 2004
http://ww3report.com/hague.html
“Israeli army attacks protest, girls school,” May 16
http://www.ww4report.com/node/1976