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La Redazione

 

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AMBIENTE, GLOBALIZZAZIONE E GENOCIDIO

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A cura di Das schloss
Il 16 Maggio 2007
170 Views
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DI ROWAN WOLF
Uncommon Thought

Oggi l’ambiente costituisce il collegamento più diretto fra globalizzazione e genocidio. Le politiche e le pratiche degli attori della globalizzazione (come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale), e le attività volte a trasformare i paesi poveri tramite la “partecipazione” all’economia capitalista e ultraliberista della globalizzazione, portano alla distruzione dell’ambiente e dei nativi. Che si tratti del riscaldamento globale causato dalla “modernizzazione” che sconvolge l’artico e gli Inuit che vi vivono, o della tragedia dei Tuareg e dei Fulani del Niger, o della devastazione che colpisce sempre più zone in Africa, le pratiche e le conseguenze della globalizzazione moderna causano danni gravissimi.

Il conservazionista Michael Fay è abbastanza schietto riguardo queste questioni nell’intervista concessa a Sadia Lafti, nel corso della “Megatrasvolata dell’Africa”’ sponsorizzata dal National Geographic, al fine di documentare gli effetti delle “Orme Umane” (l’impatto umano sul pianeta):

“Fay ritiene che gli aiuti internazionali all’Africa dovrebbero essere organizzati in modo da preservare le risorse naturali del continente, anzichè per appropriarsene per ragioni economiche. Le risorse naturali e la gestione della conservazione dovrebbero essere parte del pensiero dei governi africani e della popolazione mondiale, al fine di aiutare quei paesi a diventare indipendenti, e per fare in modo che il mondo smetta di vederli come posti perennemente in crisi.

Fay ha dichiarato di aver visto fosse comuni nel Sudafrica piagato dall’AIDS , così come ippopotami disidratati e morti nel Parco Nazionale di Katawi in Tanzania, il che è una diretta conseguenza degli sforzi della Banca Mondiale di sviluppare le colture di riso, attività redditizia ma che toglie l’acqua agli animali selvatici…

“Il Darfur, nella mia opinione, è stato qualcosa che avremmo potuto vedere già 30 anni fa,” disse Fay, riferendosi alla regione nel Sudan dove sono morte più di 100.000 persone, e dove a milioni vi si sono rifugiate durante i due anni di combattimenti fra le tribù dell’Africa nera e le milizie arabe. Fay ha indicato i segnali di allarme ecologico: scarso spazio abitabile, scarsa produzione di beni e pesante impatto umano.

La carestia in Niger è causata dal rifiuto del governo locale e dell’ONU di fornire alla gente cibo gratis, per paura di creare problemi al nuovo capitalismo di mercato che si cerca di sviluppare. La tragedia dei Tuareg e dei Fulani è legata a questo, e alla siccità (influenzata dal riscaldamento globale?) che ha costretto queste tribù a viaggiare per centinaia di miglia alla ricerca di cibo per il loro bestiame. Questo ha causato la morte del 70% del bestiame stesso. Come si legge nel Medical News Today:

“Per questa gente, perdere i propri animali è come perdere la propria assicurazione sulla vita. Senza i loro animali, non hanno più mezzi di sopravvivenza. Dodici secoli di cultura nomade sono minacciati di estinzione, se questa gente non riceve aiuti a lungo termine per ricostruire i propri mezzi di sussistenza,” ha detto Natasha Kofoworola Quist, Direttore Regionale di Oxfam per l’Africa Occidentale.

Se ci si rifiuta di dare da mangiare alla gente, quando c’è cibo disponibile, per timore di “disturbare” l’economia capitalista, allora con quali probabilità potrà essere fornito cibo per la sussistenza di queste tribù? Nessuna. La catastrofe ambientale causata dall’uomo è peggiorata dagli effetti nefasti della globalizzazione, che possono determinare il genocidio di un popolo.

L’eliminazione delle basi per la sopravvivenza della gente fa parte degli “incentivi” ad “unirsi” alla “comunità globale.” La realtà della modernizzazione è incredibilmente distruttiva a livello ambientale. La globalizzazione impone alle nazioni di trasformare la propria economia in funzione dell’export (stornando e distruggendo terra e risorse in nome dello “sviluppo”), mina direttamente la capacità di sopravvivere al di fuori del “sistema”, e rende dura anche la sopravvivenza al suo interno. Per popoli isolatissimi come i nordici Inuit ciò significa un riscaldamento globale che distrugge l’ambiente da cui loro e la loro cultura dipendono. Per i Tuareg e i Fulani, significa la morte attraverso un disastro provocato.

Credo che la distruzione sia intenzionale, o che comunque sia un “prezzo” noto del processo di globalizzazione. La distruzione delle basi per la sopravvivenza delle persone fa storicamente parte del processo di conquista. Un esempio è il deliberato sterminio dei bisonti da parte del governo americano, in modo da eliminare le tribù delle Grandi Pianure. In seguito, fu l’industria a entrare in gioco. Il pellame dei bisonti venne usato per i giunti che permettevano il funzionamento dei macchinari durante Rivoluzione Industriale. Queste pratiche spazzarono via la capacità di sopravvivenza dei nativi e la loro cultura. Quando non ci sono più i mezzi stessi di sopravvivenza, e quando gran parte della popolazione si estingue, allora la gente è costretta a conformarsi al paradigma dominante per sopravvivere. Le tribù americane vennero costrette nelle riserve, e a dipendere dagli “aiuti” governativi (che vennero spesso negati, come lo sono ancora oggi). Ed è probabile che sarà così per i Tuareg e i Fulani, poiché è la loro stessa sopravvivenza ad essere minacciata. I sopravvissuti di quelle che un tempo erano delle orde si uniranno alle masse di poverissimi rifugiati nel Niger.

L’ideologia prevalente è che la direzione da seguire sia quella dello “sviluppo” e della “modernizzazione.” Per gli USA, e credo anche per la maggior parte delle nazioni più importanti, questa gente vive una vita primitiva ed arcaica, e ha bisogno di entrare nel 21esimo secolo “per il suo bene.” Alla fine (se sono fra i pochi scelti), ciò che rimarrà di loro sarà il ricordo di un popolo decimato, idealizzato della cultura dominante con l’attribuzione del loro nome a una macchina o a un’arma. I Tuareg hanno raggiunto questo status quando la Volkswagen ha giustificato il nome del suo nuovo Suv come un “omaggio” a un popolo fiero e orgoglioso.

La decimazione delle popolazioni indigene, come il resto della “natura” (con la quale sono categorizzati dalla cultura occidentale), è solo il prezzo della modernizzazione. Il cui fine è trasformarli in ciò che è “utile” e “profittevole.” È meglio per “loro” ed è meglio per “noi.” C’è ancora meno preoccupazione per un genocidio che per un ecocidio – anche se i due sono legati in maniera inestricabile. Comunque, i popoli “moderni” dovrebbero leggere un allarme nell’estinzione di interi popoli e dei loro modi di vivere. Coloro i quali vivono più vicini alla terra sono i primi a percepire gli effetti della sua distruzione, ma le basi per la vita di chiunque stanno venendo distrutte – ci vorrà solo un po’ più di tempo per colpire chi controlla le risorse.

C’è una triste ironia nel fatto che il percorso che ha portato il mondo a questa situazione non è riconosciuto come un paradigma fallimentare. Mentre il mondo si lamenta e persone e culture muoiono, la decisione è di continuare a dissodare il mondo a tutta velocità. Uno può sperare che la gente si ribelli in tempo per cambiare la rotta che stiamo seguendo, ma sarà comunque troppo tardi per migliaia di culture. Possiamo solo sperare che popoli come i Tuareg e i Fulani possano durare abbastanza per vedere questo cambiamento.

Altri articoli consigliati sugli effetti della carestia sui Tuareg e i Fulani:

BBC, Niger way of life ‘under threat’

Scotsman, Famine threat to 12 centuries of traditional nomadic life, warns charity

Rowan Wolf
Fonte: http://www.uncommonthought.com/
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24.04.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FYLO

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