Virus e Caporetto: tragedie a confronto

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DI ALESSANDRO GUARDAMAGNA

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Quella che stiamo vivendo da un mese è una situazione epocale e tragica, destinata a lasciare un segno nella memoria collettiva e nella vita degli Italiani. A livello mondiale l’epidemia di Coronavirus sarà ricordata come la Seconda Guerra Mondiale, la Caduta del Muro di Berlino e l’11 Settembre. Ormai volenti o nolenti tutti abbiamo sentito parlare del Coronavirus e ne siamo stati condizionati. A rendere la tragedia personale sono gli effetti del contagio, perché alla data odierna in Italia ben 92.472 persone hanno contratto il virus. Di queste 10.023 sono decedute e 12.384 sono guarite. Da quando comparve ufficialmente a Codogno il 21 Febbraio 2020, col primo contagiato Italiano che non era stato in Cina, né in contatto con altri che da li provenivano, il virus ha fatto in un mese più vittime di quelle che in totale l’Italia ha subito dal 1945 a causa di terremoti, alluvioni e altri disastri naturali, gli anni di piombo, le stragi di mafia e le guerre in cui è stata impegnata. Il bilancio purtroppo solo provvisorio di quella che doveva essere una semplice “influenza stagionale” di cui non bisognava preoccuparsi troppo, lascia senza parole. Il peggio è che le previsioni attuali non vedono il contagio perdere forza, per cui il totale delle vittime è destinato a salire ancora e, realisticamente, in modo drastico.

Di fronte a un tale macello, perché di macello si tratta quando uno stato presentato come dotato del sistema sanitario migliore d’Europa si scopre dopo 10 giorni dall’emergenza carente di medici, infermieri e dispositivi essenziali per la prevenzione e la cura quali mascherine e unità di terapia intensiva, ci si chiede se tutto questo era in qualche modo evitabile e cosa fare per uscirne.

La rapida diffusione del virus, che miete vittime in modo esponenziale, all’interno di una società presentata inizialmente come sicura e ben difesa da un sistema sanitario che ora viene presentato come prossimo al collasso – ben 5 volte negli ultimi 10 giorni – ed ogni giorno resiste benché stremato, ricorda nella sua tragicità gli eventi dell’Ottobre del 1917, quando a Caporetto la seconda armata italiana fu travolta da un’offensiva austro-tedesca sul fronte del Friuli.

L’attacco nemico colse l’esercito di sorpresa, nonostante i servizi segreti avessero già dall’estate precedente fatto pervenire informazioni dettagliate sui preparativi di una grande offensiva. Luigi Cadorna, capo di Stato Maggiore, e gli alti comandi, avevano quasi tutti minimizzato o non considerato seriamente quei rapporti. Regnava una generale sicurezza di facciata che le difese Italiane, che peraltro Cadorna tendeva a trascurare in nome del suo approccio offensivo che qualche risultato aveva raggiunto anche se a prezzo di enormi perdite (la presa della città di Gorizia e della Bainsizza), avrebbero retto. In realtà la prima linea Italiana era troppo avanzata, esposta a possibili attacchi, e mal supportata da una seconda e terza linea sguarnite. A ridosso del fronte poi non vi erano riserve di truppe schierate su posizioni difendibili, che Cadorna non si preoccupò di approntare.

Quando poi l’offensiva si materializzò davvero, Cadorna non diede mai ai suoi tempestivi ordini di ripiegare per arrestarsi su linee meno precarie e maggiormente difendibili. Insistette invece perché mantenessero posizioni esposte ai formidabili attacchi nemici, e profuse grande attenzione, mentre evacuava il suo quartiere generale di Udine, nel mandare telegrammi a Roma dove accusava interi reparti di aver abbandonato aree vitali del fronte, laddove queste erano cadute o le truppe erano state costrette ad indietreggiare, contravvenendo gli ordini. Che le posizioni erano divenute indifendibili e che egli stesso e buona parte della catena di comando alle sue dipendenze, non aveva provveduto a dare ordini sensati, o non li aveva dati affatto, non gli sembrò nemmeno rilevante. Solo dopo 4 giorni di caos finì per disporre un ripiegamento lungo la linea del Tagliamento. Il tutto dimostra che il generale aveva perso il senso della realtà.

Nei giorni dell’offensiva di Caporetto, che si fermò solo di fronte alla linea del Piave, l’Italia ebbe oltre 300.000 tra morti feriti e prigionieri.

Ora va osservato che anche con un sistema difensivo migliore di quello delle fanterie Italiane in Friuli, l’attacco austro-tedesco avrebbe comunque fatto parecchie vittime e probabilmente flesso il fronte, ma il disastro che si profilò fu dovuto in primis all’incapacità degli alti comandi del Regio Esercito, che, con Cadorna in testa, avevano ancora una concezione ottocentesca ed anacronistica del modo di fare la guerra, credendo che fosse essenziale tenere le vette per assicurarsi il controllo del fronte. E così, ubbidendo agli input della propria visione limitata ed ignorando le notizie sui preparativi del nemico, nel pieno dell’offensiva ordinarono alle truppe di mantenere il controllo delle alture a qualunque prezzo, mentre lungo le valli i precursori del blitzkrieg, fra cui vi era il giovane tenente Rommel, dilagavano ovunque tagliando le comunicazioni nelle retrovie ed isolando reggimenti e divisioni, prima dell’avanzata della fanteria.

Quando la disfatta iniziò a profilarsi in modo chiaro, si impartirono ordini precisi di fucilare interi reparti di “sbandati” come presunti disertori e traditori della patria. Costoro, il loro “disfattismo” e rifiuto di rispettare gli ordini avevano causato il crollo del fronte e la ritirata generale che in molti casi si trasformò in una rotta. Così ufficialmente il fronte non si era disgregato per l’abilità austro-tedesca, favorita dalla pochezza di Cadorna, o di un Badoglio, ma per lo scarso valore di coloro che codardamente avevano voltato le spalle al nemico. Il nome di Caporetto da allora è rimasto nella memoria collettiva Italiana come sinonimo di sconfitta, disonore, e più in generale di una storia poco conosciuta e ancora meno capita. Se lo fosse ne emergerebbe un quadro diverso, fatto di un esercito che, abbandonato dai suoi leader, nella stragrande maggioranza dei casi combatté con coraggio fino all’ultimo contro un nemico che lo superava sul piano tattico, senza che i propri capi avessero fatto nulla per prepararlo alla difesa o cercato di colmare tale disparità, per quanto il compito potesse essere arduo.

Mario Draghi di recente ha parlato di guerra al virus, e l’espressione è corretta.

Infatti per la prima volta dopo 75 anni dall’ultimo conflitto mondiale l’Italia si è ritrovata in una situazione dove l’intera popolazione civile è potenzialmente esposta ad un attacco nemico, mortale, esattamente come in guerra, una guerra di massa per la quale lo stato Italiano si è rivelato impreparato. Impreparato perché questo conflitto, che si combatte nelle nostre città e non in un fronte lontano, ha come prima ed unica linea – perché non ne è stata predisposta una seconda per tempo – gli ospedali, definiti le nostre trincee. E come ogni conflitto ha le sue vittime, i suoi soldati e i propri eroi.

Le vittime sono naturalmente i morti e le loro famiglie, costrette a piangere gli scomparsi nel più totale isolamento, dopo averli visti per l’ultima volta entrare vivi in una struttura sanitaria da cui sono usciti in una bara destinata ad un crematorio. L’esperienza della società di massa, dei grandi numeri che sotterrano l’identità si conferma nei morti, il cui totale aumenta ogni giorno con cifre senza nomi, presentate dai responsabili della protezione civile nella conferenza stampa che ci aggiorna sull’esito delle operazioni contro il virus. I soldati siamo tutti noi, impegnati a salvare la nostra vita al meglio che possiamo, bunkerizzati nelle nostre abitazioni coi possibili confort, e con le dotazioni di mascherine, guanti e disinfettanti che siamo riusciti a reperire. Gli eroi sono i medici, i volontari, gli infermieri e tutti gli operatori del sistema sanitario – fra cui vengono spesso alla mente quelli della Lombardia, la regione che più ha sofferto in questa pandemia con quasi 6.000 morti e che, piegata, non si è spezzata di fronte al dilagare del contagio. Questi eroi, di cui i media esaltano la dedizione e lo spirito di sacrificio, senza sosta curano i contagiati, operando spesso scelte drastiche e dolorose, e cercano di mantenerli in vita intubandoli e girandoli periodicamente per giorni nei letti d’ospedale, nella speranza che si riprendano. Altra cura non vi è. Fra il personale vi è chi non si risparmia, con turni di 12, 14 e 16 ore per volta, pur di prestare l’assistenza necessaria, e fra costoro vi sono i martiri: 51 i medici morti finora dopo aver contratto il virus tentando di salvare alcuni di noi, e sono oltre 6.400 gli operatori sanitari contagiati.

È proprio di ieri una dura lettera della Fimmg Lombardia, la Federazione italiana dei medici di medicina generale, contro le istituzioni che stanno gestendo l’emergenza Coronavirus a livello regionale e nazionale. “I dati diffusi sono sempre più inattendibili, non sono reali. Non vorremmo che la confusione sui dati servisse a nascondere la responsabilità dei generali nella Caporetto della sanità pubblica italiana”.

Il teatro di guerra, fatto di strutture ospedaliere strapiene di pazienti, di reparti creati allargandone altri e trasferendo i contagiati in caserme e hotel, in ospedali da campo allestiti grazie ad aiuti americani e tedeschi, vede anche alleati inviati dalla Cina, che ha già mandato tre squadre di medici, da Cuba e dalla Russia, tutti paesi ex-comunisti o con regimi autoritari che nelle azioni hanno dimostrato quella solidarietà che l’UE per il momento manifesta solo a parole. E poi vi sono le armi, le attrezzature e i dispositivi con cui dobbiamo proteggerci, e che sono usate per curare i contagiati. Negli ultimi 3 giorni ne sarebbero state distribuite 9 milioni. Di queste solo 2.8 milioni sarebbero di tipo FFP1, dotate di filtro ed efficaci contro il virus. Dei molti milioni promessi a più riprese da Francia e Germania, sembra che le uniche certe che siano arrivate in Italia provengano dalla Cina. Con la pandemia in aumento a livello mondiale è logico che molti stati siano ora restii a cedere quello che dovranno consumare in modo continuo nelle prossime settimane. Quelle mascherine che Walter Ricciardi, inviato dell’OMS, fino a qualche settimana fa diceva in tutte le trasmissioni tv dove compariva per sostenere l’operato del governo essere inutili per proteggersi dal virus, nonostante in Cina siano state distribuite ed utilizzate in tutte le aree del contagio.

Ora le mascherine sono logicamente diventate essenziali nelle stesse disposizioni del governo Conte. E mancano, perché su 60 milioni di persone quelle distribuite sono meno del 15% del fabbisogno per darne una a ciascun cittadino. Milioni di noi le hanno ottenute solo tramite i propri datori di lavoro, che non hanno il compito di sostituirsi allo stato nel garantire la nostra salute. E qui si arriva all’altro livello; ogni guerra ha dei comandanti responsabili della gestione del conflitto. A Caporetto questi erano Cadorna e gli alti gradi dell’esercito; qui sono i membri dell’attuale governo guidato da Conte.

Come hanno agito costoro nel gestire questa guerra? Si è mosso bene il governo? Inizialmente no. Proprio come fece Cadorna nei mesi precedenti Caporetto, anche Conte, l’esecutivo e molti quadri ed amministratori legati ad esso hanno sottovalutato il pericolo. L’offensiva che il virus poteva scatenare era stata declassata a paura immaginaria o a rischio di scarsa importanza. Eppure non solo il governo avendo accesso ad informazioni di prim’ordine, a rapporti di specialisti e di servizi segreti era stato avvertito, ma le immagini che arrivavano dalla Cina con cui l’Italia aveva relazioni e scambi regolari erano inequivocabili.

Se utilizzando il semplice buon senso per analizzare i fatti, chi non è un esperto di pandemie, né uno scienziato e neppure un ministro, che si presume competente, aveva compreso quali erano i rischi che l’Italia correva, a maggior ragione avrebbero dovuto capirlo coloro che compongono il governo e che ricevono report dettagliati da quella vasta schiera di consulenti ed analisti che hanno a disposizione. All’inizio hanno ignorato gli avvertimenti ed “allontanato” il pericolo parlando di un sistema sanitario dotato di misure eccezionali, come fecero il ministro della sanità Speranza e lo stesso Conte, o lanciando campagne anti-razzismo (?), in cui si facevano fotografare mentre mangiavano involtini primavera nei ristoranti cinesi di mezz’Italia. Fra costoro si ricordano il ministro delle finanze Gualtieri e diversi amministratori locali, fra i quali il sindaco di Torino. Plateale per la dabbenaggine dimostrata fu l’uscita di Zingaretti, che gli è valsa una menzione nei notiziari di mezzo mondo mentre a Milano celebrava con un aperitivo le sane abitudini all’aggregazione degli Italiani. Erano i giorni in cui il segretario del PD e governatore del Lazio infatti rideva del virus e di chi invitata il governo a prendere misure rigorose, parlando del primo come di una semplice “influenza stagionale” e dei secondi come manipolatori delle paure collettive. In questo quadro dominato da menefreghismo politico, superficialità ed incapacità di capire, non si sa come si sia comportata Elly Schlein, la stessa che in un video di due minuti avrebbe smascherato l’assenteismo dei parlamentari leghisti a Bruxelles per discutere il trattato di Dublino.

Dopo la vittoria di Gennaio alle regionali in ER dichiarò alla stampa i suoi orientamenti sessuali, ma non risulta, nonostante la regione dove è diventata vice-presidente sia vantata come quella con uno dei sistemi sanitari migliori al mondo, che abbia speso tempo a verificare le scorte di mascherine disponibili per la popolazione. Queste finora in Emilia Romagna non sembrano essere state distribuite sistematicamente da nessuno a livello istituzionale. Come la maggioranza degli appartenenti al multiforme circo mediatico-politico, col virus è sparita. Almeno per ora.

Dopo la debacle iniziale il governo Conte ha posto in atto diverse azioni, considerate alternativamente adeguate o insufficienti. Alcune si sono accompagnate da uscite che ricordano un po’ i tentativi di Cadorna di trovare dei capri espiatori, come quando Conte a Febbraio affermava che l’Ospedale di Codogno non avrebbe rispettato i protocolli, favorendo la diffusione del virus, o quando dopo il decreto dell’8 Marzo si è sostenuto che il contagio era dovuto a coloro che non rispettando le regole uscivano di casa. Come avvenne a Caporetto, alla catastrofe contribuì anche qualche forma di ribellione e di insubordinazione, ma pensare come fece Cadorna che i soldati non combatterono e che questo causò la tragica sconfitta è  demenziale. Parimenti i tentativi di cercare debolmente dei capri espiatori nel mancato rispetto di un protocollo, poi rivelatosi infondato, o in coloro che se ne sono andati a zonzo dopo l’8 Marzo, lasciano il tempo che trovano. Ha fatto molto di più per diffondere il virus chi è andato avanti per settimane a dichiarare pubblicamente che le mascherine non servivano ad un accidente di niente e chi ha sottovalutato il problema sostenendo che da noi il rischio di contagio era pari a “zero” – basti ricordare Burioni e il già nominato Ricciardi – rispetto a chi è andato a spasso per qualche giorno, quando lo stesso governo emanava decreti senza curarsi di predisporre per tempo i controlli necessari per evitare spostamenti di massa, come si verificò alla stazione centrale di Milano Domenica 8 Marzo.

Il governo ha poi finalmente reagito e ha messo in atto misure di contenimento, seguendo in parte le richieste di quei governatori regionali, fra i quali Attilio Fontana della Lombardia. Molte attività sono state chiuse, i cittadini hanno l’obbligo di restare nelle proprie abitazioni da cui possono uscire solo per pochi e comprovati motivi necessari – lavoro, approvvigionamenti o cure. Vi è un sistema di controllo per verificare che vi rimangano e che finora ha prodotto diverse decine di migliaia di denunce, ed un severo sistema di sanzioni, con multe fino a 4mila euro per chi viene fermato a circolare senza una valida ragione e 5 anni di carcere se la persona in questione è in stato di quarantena. E’ stato anche varato un piano di aiuti per 25 miliardi di euro, che andranno in primis alla sanità e investiti per misure di cura, e poi a sostegno dell’economia. È un impegno concreto quello del governo teso a permettere agli Italiani di superare la crisi.

Vediamo però che lo sforzo, per quanto apprezzabile, è comunque insufficiente dato che l’Italia ha un PIL annuo che si aggira attorno ai 1.700 miliardi di euro. In termini pratici significa che ogni settimana il PIL Italiano produce qualcosa come 35 miliardi di euro. Quindi i 25 della manovra di Conte non coprono neppure una settimana. Intanto né imprese né famiglie hanno visto ancora un ghello, mentre altri stati stanno destinando centinaia di miliardi per far fronte all’emergenza. Dopo le dichiarazioni di Trump di 3 giorni fa, il senato ha varato uno stanziamento di ben 2.000 miliardi di dollari a sostegno della popolazione e dell’economia americana, la Germania di 550 miliardi di euro – qui si arriva a 25, e forse a 50 se va bene, che in termini finanziari ricordano un po’ gli 8 milioni di baionette con cui il fascismo tentò di far vincere all’Italia una guerra dove lo scontro corpo a corpo era stato ormai surclassato dal blitzkrieg, dall’impiego massiccio delle divisioni corazzate e dall’uso di radar e portaerei, tutti elementi che a noi mancavano disperatamente e che per miopia di chi comandava non furono mai realizzati o prodotti in numero insufficiente.

Però – e qui varrebbe capire se erano incapaci oppure anche farabutti – cercarono di convincere il popolo Italiano che il mero ardore patriottico e la baionetta avrebbero potuto fare dell’Italia una potenza globale. Serve anche capire da dove arriveranno i 25 miliardi, perché all’orizzonte si profila l’ipotesi di un prestito Made in Bruxelles, per garantire il quale, a sentire le recenti uscite di Zanda (PD), potremmo dare in pegno Montecitorio e Palazzo Chigi. In altre parole sono soldi nostri, versati nelle casse dell’UE che ora la leadership della stessa UE, ossia la ristretta cerchia di burocrati che la dirigono, ci permetterebbe di prendere a prestito. Tale debito poi sarebbe restituito da noi Italiani a scadenze determinate, dando come garanzie i pezzi restanti del nostro stato e della nostra economia, come è avvenuto per il piano di “aiuti” alla Grecia. Con tale aiuto, una goccia in un lago e, diciamocelo, totalmente inutile per risolvere la crisi economico-sociale che si prospetta, l’Italia potrebbe vedersi gli aeroporti gestiti dalla tedesca Fraport e i proventi ricavati dalle visite dei turisti al Colosseo e a Pompei che prendono la strada di Berlino.

Da un punto meramente logico, prima ancora che politico, ci si può fidare di chi, per superficialità o incapacità, ha contribuito alla crisi attuale e che ora propone con estrema disinvoltura un piano di aiuti, inadeguato, per uscirne?

Può anche essere che se al posto del governo Conte vi fosse stato un altro esecutivo l’epidemia non sarebbe comunque stata evitata, MA rimane il fatto che l’attuale compagine governativa non ha messo in atto tutto quello che poteva fare per prevenirla e ridurla per tempo. Anche se ora gli sforzi testimoniano impegno – e ci mancherebbe altro! – la situazione in cui l’Italia si trova è stata causata in primis ANCHE da questo esecutivo e non dalla presunta mancata osservanza del protocollo dell’ospedale di Codogno, o da chi non rispetta le leggi ed esce di casa, nonostante le decine di migliaia di denunce attestino che la categoria dei furbi non sia estinta. La parabola in cui è discesa l’Italia è stata dovuta ad un stupido e grave errore di valutazione del pericolo, non dissimile da quello con cui Cadorna sminuì la portata di un’offensiva nemica a Caporetto, e che fece pagare all’Italia un terribile prezzo di sangue.

Sottovalutare l’avversario in guerra porta spesso ad esiti catastrofici, come insegnano, oltre a Caporetto, le esperienze dei consoli Lucio Emilio Paolo e Varrone a Canne, degli austro-russi ad Austerlitz, di Custer al Little Big Horn, di Paulus a Stalingrado o di Westmoreland alla vigilia del Tet nel 1968. Dall’errore, pagato con le vite dei propri uomini, i comandanti devono imparare, se rimangono in vita.

Non farei conto su una giustizia rapida che al termine dell’emergenza scrutini l’operato del governo e di chi si era fatto delle risate sul Coronavirus. Conte e Zingaretti, anche se venissero accertare loro responsabilità, realisticamente non pagheranno mai per l’accaduto, così come non pagherà Ricciardi che per settimane ha detto che potevamo fare a meno delle mascherine, che ora il governo cerca di produrre febbrilmente. De facto non pagò neppure completamente Cadorna che fu responsabile con altri di aver causato un disastro che poteva costare all’Italia l’intera guerra. Però il giorno 8 Novembre 1917, esattamente 2 settimane dopo Caporetto, fu sostituito dall’assai più capace Diaz che seppe organizzare la difesa sul Piave e poi guidare l’esercito Italiano alla vittoria l’anno successivo. Non vi è la possibilità di sostituire al momento l’attuale esecutivo, ma che la risposta a questa situazione debba essere politica e data dagli Italiani quando la crisi sarà passata è la cosa da augurarsi.

Cosa avrebbe dovuto fare il governo Conte? Fin da Gennaio, invece di dichiarare eccellenze sanitarie virtuali, sarebbe stato necessario dare il massimo risalto ad uno stato di emergenza dichiarato e riconosciuto a livello internazionale. Serviva verificare da subito le reali scorte di dotazioni sanitarie e assicurarsi adeguati rifornimenti di mascherine, comprandone e producendone il più possibile. Per farlo era sufficiente riconvertire – come si è fatto solo negli ultimi giorni a contagio ormai dilagato – parte della produzione di aziende medicali nazionali, acquistando laddove possibile unità di terapia intensiva da chi le produce (USA, Germania e Danimarca) e respiratori, per produrre i quali possono essere utilizzate le catene di montaggio delle aziende automobilistiche. E naturalmente andavano chiusi da subito tutti i confini. Queste misure sarebbero state da sole, se non la difesa “migliore d’Europa” almeno una baluardo più solido che avrebbe impedito in parte al virus di dilagare con una drammatica escalation di morti. A questo scenario purtroppo hanno invece contribuito le scelte poco accorte di Conte e del suo entourage le cui assicurazioni non si basavano su una verifica che il sistema avesse almeno gli standard di base e i dispositivi necessari per resistere alla pandemia. Neppure Cadorna, nel suo delirio e pur disinteressandosi di rafforzare le difese, trascurò che i soldati avessero armi e munizioni per combattere gli austriaci.

A questo punto il virus è dilagato, come le truppe austro-tedesche nella pianura Veneta e se riusciremo a fermarlo, come fece l’esercito Italiano sul Piave nel 1917, dipende dallo sforzo collettivo dei soldati che stanno facendo il possibile in situazioni drammatiche. Vi è ora sicuramente consapevolezza da parte del governo della calamità costituita dalla pandemia e sono state messe in atto alcune misure efficaci per contrastarla, ma la lotta è in corso in un quadro che è stato compromesso da scelte di comandanti incerti, ed incapaci, che hanno guidato i propri eserciti secondo visioni non adeguate alle battaglie che devono combattere, alle quali spesso nella realtà gli stessi comandanti non si dimostrano interessati.

 

Alessandro Guardamagna

28.03.2020

Alessandro Guardamagna lavora come insegnante d’inglese e auditor qualità a Parma, in precedenza ha ottenuto un PhD in Storia e un Master in American Studies presso University College Dublin, in Irlanda, dove ha lavorato e vissuto per 10 anni. Da sempre sovranista, scrive articoli di politica e storia su ComeDonChisciotte dal 2017.

 

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