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La Redazione

 

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VICINO AL FALLIMENTO IL PROCESSO PER GENOCIDIO AI KHMER ROSSI

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A cura di God
Il 2 Marzo 2007
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blankDI IAN MACKINNON
The Guardian

I diplomatici sostengono che il governo ostacola il tribunale per timore di rivelazioni imbarazzanti

PHNOM PENH (CAMBOGIA) – Con occhi tristi Om Som siede sulla propria sedia nella campagna cambogiana in attesa di risposte. La scalza settantenne si é aggrappata per metà della propria vita alla speranza di scoprire cosa accadde al suo adorato marito, e perché.

Ella prega inoltre di avere un po’ di giustizia per quell’uomo che non rivide più dopo che tre giovani membri dei Khmer Rossi lo sequestrarono, dopo averlo ingiustamente accusato del furto di un pollo. Questa madre di cinque bambini, incinta di sette mesi, fu poi frustata per aver osato protestare.

Ventotto anni dopo la caduta del brutale regime di Pol Pot, la prospettiva di un processo per genocidio, a lungo atteso, nei confronti dei suoi anziani leader offre un debole barlume di speranza per Om Som. Con la propria famiglia fu evacuata da Phnom Penh quando la città venne sgombrata dai Khmer Rossi nell’ “Anno Zero” [riferito alla data in cui avvenne la deportazione, 17 Aprile 1975, ndt], soffrendo la fame e dovendo lavorare nei campi.Riuscì a resistere alla vista di quei prigionieri legati e trasportati sui carrocci verso una pagoda buddhista [luogo sacro di preghiera a forma piramidale, ndt] vicino al suo villaggio e sentì le urla di tortura propagarsi attraverso la brezza della notte dal campo di sterminio provvisorio dove morirono in 30.000.

“Non voglio alcuna vendetta, ma se il governo processa questi leader sarò contenta”, ha detto.

“Ciò che voglio sapere é quello che realmente é accaduto”.

Ma anche questa modesta speranza potrebbe svanire. Il processo per incriminare i leader dei Khmer Rossi per lo sterminio stimato di 1,7 milioni di Cambogiani nei “campi delle uccisioni” é sul punto del fallimento ancor prima che vega presentato l’atto d’accusa iniziale. Ora i familiari delle vittime, spaventati dalla crudeltà di Pol Pot, temono che i suoi invecchiati seguaci possano sfuggire alla giustizia e morire da uomini liberi, visto che la disputa tra i Cambogiani ed i giudici internazionali designati dalle Nazioni Unite sulle leggi da applicare in tribunale minaccia di interrompere il processo.

Due tentativi di risolvere tale disputa sono falliti. Un altro sforzo per rompere la situazione di stallo é previsto per una sessione speciale che avrà inizio il 5 marzo. Ma il giudice internazionale a capo del processo avvisa che un altro fallimento potrebbe essere fatale, costringendo lui ed i suoi colleghi a ritirarsi.

“Se il prossimo mese le nuove regole non saranno adottate, non andremo avanti, perché sarebbe inutile”, ha detto il giudice per le indagini francese, Marcel Lemonde. “In seguito dovremo prendere in considerazione la possibilità che i giudici internazionali chiedano alle Nazioni Unite chiudere il processo. Adesso o mai più”.

La crisi giunge un decennio dopo che il governo cambogiano si rivolse all’ONU per istituire un tribunale al fine di processare gli anziani leader dei Khmer Rossi per le torture, la fame e i massacri di massa di un quarto dei loro connazionali tra il 1975 ed il 1979. Contorti negoziati sulla libertà d’azione nelle udienze hanno portanto dopo tempo alla costituzione di una corte di giustizia ibrida con 17 Cambogiani e 12 giudici internazionali che hanno assunto l’ufficio lo scorso luglio – una complessità di gruppi sui diritti umani avevano preannunciato che tale combinazione sarebbe stata un disastro.

Due leader del regime sono morti – Pol Pot, “Fratello Numero Uno” [era l’appellativo di Pol Pot come leader dei Khmer Rossi], nel 1998 mentre era agli arresti domiciliari, e Ta Mok, il comandante dell’esercito, nel luglio dello scorso anno.

Solo uno é in custodia detentiva, “Duch”, vero nome Kak Kek Ieu. Egli fu l’inquisitore che comandava il famigerato centro di torture Tuol Sleng (*) di Phnom Penh, con il nome in codice S21, dove diresse il massacro di 10.499 “spie e traditori” e di 2000 bambini.

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[Fotografie di vittime al museo di Tuol Sleng sul genocidio. Fotografia: Francoise de Mulder/Corbis]

Altri, come Noun Chea, “Fratello numero due”, Ieng Sary, il ministro degli esteri del regime, e Khieu Samphan, il simbolico capo di stato, sono tutti ultra-settantenni a piede libero in Cambogia.

Non più di una dozzina di imputati, gli alti capi e “quelli più responsabili” per il genocidio, sono sotto processo in tribunale, il cui costo stimato si aggira sui 60 milioni di dollari (circa 30 milioni di sterline).

I giudici internazionali speravano di poter trovare un accordo sulle procedure giudiziarie con le loro controparti cambogiane lo scorso novembre, in modo che i processi – che protrebbero richiedere tre anni – potessero iniziare entro qualche mese. Un sub-comitato ha affrontato lo stesso problema sulle 113 norme giudiziarie lo scorso gennaio. Una delle questioni su cui non si trova accordo é il diritto degli imputati all’assistenza legale internazionale in tribunale. Il britannico Rupert Skilbeck, un avvocato per i crimini di guerra assunto dalle Nazioni Unite come difensore principale, ha già costituito un ufficio per coordinare gli avvocati della difesa una volta che verranno assunti.

Ma i giudici cambogiani, non abituati ad una vigorosa difesa, hanno mostrato riluttanza nel consentire ad avvocati internazionale di condurre una dura indagine minuziosa delle accuse.

“Tutti in Cambogia sono stati toccati dal regime di Pol Pot, quindi tutti hanno un’opinione”, ha detto Alex Bates, un altro assistente del pubblico ministero. “Dopo 28 anni tutti pensano di sapere chi sono i colpevoli. Perciò mettiamoli in prigione”.

Entrambe le parti sono inflessibili sul fatto che il processo debba essere trasparente ed equo, in linea con gli standard internazionali, invece di essere l’ombrello del sistema giudiziario cambogiano.

“E’ assolutamente fondamentale che questo processo sia del tutto equo”, ha detto Skilbeck. “Non solo nell’interesse degli accusati, ma del popolo cambogiano e delle vittime del regime dei Khmer Rossi. Altrimenti, metà della popolazione lo considererà come una frode. Non possiamo far parte di un processo show”.

I diplomatici che monitorano le trattative accusano il governo del primo ministro Hun Sen – un ex membro dei Khmer Rossi – di ostacolare deliberatamente il processo, tentando anche di danneggiarlo, nel timore che possano emergere rivelazioni imbarazzanti.

“Il governo vuole solo prendere parte ad un processo che può controllare”, ha detto uno dei diplomatici occidentali a Phnom Penh. “Non é che Hun Sen sarà accusato, ma uno o due alti generali potrebbero esserlo. Cosa dirà la gente in tribunale? I Cinesi supportavano i Khmer Rossi e sono vicini al governo di Sen. Faranno i loro opportuni calcoli su cosa può emergere riguardo a questo legame”.

I gruppi per i diritti umani sostengono che il governo stia manipolando i giudici cambogiani per bloccare il dibattito.

“Il sistema giudiziario cambogiano é notoriamente corrotto ed estremamente vulnerabile alla pressione politica proveniente dalle alte sfere del governo”, ha detto Sara Colm, di Human Rights Watch.

Vann Nath, 62 anni, i cui scritti e dipinti hanno acceso una luce sugli angoli buii degli orribili crimini del regime, si dispera dopo un’attesa di tre decenni. Egli é uno dei soli sette sopravvissuti a Tuol Sleng, e ha detto: “Questo va avanti e avanti ed io ho quasi perso la speranza che ci sarà mai giustizia”.

Background

I Khmer Rossi, guidati dal “Fratello numero uno”, Pol Pot, arrivarono al potere in Cambogia dopo aver deposto il leader Lon Nol ed il suo corrotto regime. Distrussero la città di Phnom Penh il 17 Aprile 1975, che fu dichiarato l’Anno Zero.

Il regime lanciò l’instaurazione di una radicale utopia di dominio contadino. La capitale e le città di provincia furono ripulite e gli abitanti costretti a marciare verso la campagna per lavorare 15 ore al giorno quasi senza cibo. Molti morirono di fame o malattia. Molte altre migliaia di intellettuali e religiosi furono torturati e bastonati a morte nei “campi delle uccisioni”. Si stima che morirono circa 1.7 milioni di Cambogiani.

I Vietnamiti invasero e misero fine al regime nel gennaio 1979. Pol Pot é morto nel 1998. (**)

Ian MacKinnon
Fonte: http://www.guardian.co.uk/
Link: http://www.guardian.co.uk/international/story/0,,2022001,00.html
27.02.2007

Note del traduttore:

(*) Tuol Sleng fu uno dei campi di prigionia usati dai Khmer Rossi. Da ex scuola divenne la Security Prison 21 (S-21). Il nome Tuol Sleng fu dato dai Khmer a significare “collina degli alberi velenosi”. Oggi é diventato un museo: http://www.tuolsleng.com/

(**) Per saperne di più sulla Cambogia, vi invito a guardare questo documentario di Tiziano Terzani che in soli 30 minuti delinea magistralmente la realtà Cambogiana durante il regime dei Khmer. Scoprirete perché nei villaggi la gente aveva paura dei bambini. http://video.google.com/videoplay?docid=1304328156150744816&q=terzani

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da MANRICO TOSCHI

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