USA e NATO contro Russia e Cina: una guerra ibrida permanente

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Pepe Escobar – The UNZ Review – 26 marzo 2021

 

Iniziamo dalla parte comica: il “leader del mondo libero” si è impegnata a fare in modo che la Cina non diventi la nazione leader del pianeta. E per adempiere ad un compito così gravoso la sua “aspettativa” è di correre di nuovo per la presidenza nel 2024. Non come ologramma e schierando lo stesso compagno di corsa.

Ora che il mondo libero ha tirato un sospiro di sollievo torniamo a questioni serie, come i contorni della Geopolitica “Shock and Awe” del 21° Secolo.

Quello che è successo nei giorni scorsi tra Anchorage e Guilin continua a fare scalpore. Se da un lato il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov ha fatto notare che Bruxelles ha “distrutto” le relazioni tra la Russia e l’Unione Europea, dall’altro ha anche affermato che la partnership strategica Russia-Cina sta diventando sempre più forte.

Una coincidenza non così casual,e dato che mentre Lavrov veniva adeguatamente ospitato dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi, nella città di Guilin (con pranzo scenico sul fiume Lin), il segretario di Stato americano Tony Blinken stava visitando il quartier generale (stile James Bond) della NATO nei pressi di Bruxelles.

Lavrov ha chiarito che alla base della relazione Russia-Cina c’è l’intenzione di creare un asse economico e finanziario per contrastare gli accordi di Bretton Woods. Ciò implica fare di tutto per proteggere Mosca e Pechino dalle minacce di sanzioni da parte di altri stati, dalla progressiva la de-dollarizzazione e dall’avanzamento delle criptovalute.

Questa tripla minaccia è ciò che sta scatenando l’ira senza limiti dell’egemone.

In uno scenario più ampio, la strategia della Russia e della Cina implica anche che la progressiva interazione tra la Belt and Road Initiative (BRI) e l’Unione economica dell’Eurasia (EAEU) continuerà ad avanzare verso l’Asia centrale, il sud-est asiatico, alcune zone dell’Asia meridionale e l’Asia sud-occidentale. Questi sono passi necessari per la creazione di un mercato eurasiatico finalmente unificato sotto una gestione sino-slava.

In Alaska il team Blinken-Sullivan ha imparato, a proprie spese, che non si scherza impunemente con un personaggio del calibro di Yang Jiechi. Ora stanno per imparare cosa significa scherzare con Nikolai Patrushev, capo del consiglio di sicurezza russo.

Patrushev, personaggio non minore di Yang Jiechi e maestro dell’understatement, ha consegnato un messaggio non molto criptico: se gli Stati Uniti cercheranno di rendere la vita dura alla Russia, potranno anche riuscirci, ma Washington dovrà assumersi la responsabilità delle conseguenze.

Cosa sta facendo realmente la NATO

Nel frattempo, a Bruxelles Blinken stava mettendo in scena una relazione da “coppia perfetta” con l’incredibilmente inefficiente Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea (CE). La recita è andata più o meno così: “Nord Stream 2 è davvero un male per voi. Un accordo commerciale e di investimenti con la Cina è davvero un male per voi. Ora siediti. Brava ragazza“.

Poi è arrivata la NATO che ha messo in scena un bellissimo spettacolo, completo anche di una posa da duro del ministro degli Esteri davanti al Quartier Generale. Questo faceva parte di un vertice che, come previsto, non ha “celebrato” il 10° anniversario della distruzione della Libia da parte della NATO o la clamorosa sconfitta che la NATO ha subito in Afghanistan.

Nel giugno del 2020 il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg (in realtà i suoi “pupari” negli Stati Uniti) ha esposto quella che ora è conosciuta come la strategia NATO 2030, che altro non è che un mandato politico-militare da parte del Robocop globale. Il sud del mondo (non) è stato avvertito.

In Afghanistan, secondo uno Stoltenberg assolutamente refrattario all’ironia, la NATO sostiene la necessità di infondere “nuova energia nel processo di pace”. Durante il vertice, i ministri della NATO hanno discusso anche del Medio Oriente e del Nord-Africa e, parlando molto seriamente, hanno valutato cosa potrebbe fare la NATO per riuscire a dare stabilità a quella porzione del mondo. I siriani, gli iracheni, i libanesi, i libici e i maliani amerebbero saperne di più.

Dopo il vertice Stoltenberg ha tenuto una conferenza stampa, tipicamente soporifera, il cui obiettivo principale erano, chiaramente, la Russia e il suo “schema comportamentale repressivo sia in casa che all’estero”.

Tutta la retorica della NATO sul “costruire stabilità” si dissolve quando si esamina cosa c’è veramente dietro il progetto NATO 2030, attraverso un corposo rapporto di raccomandazioni, scritto da un gruppo di “esperti”.

Qui sotto possiamo esaminare i tre elementi essenziali:

  1. L’Alleanza deve rispondere alle minacce e alle azioni ostili russe (..) senza un ritorno al solito modo di procedere, salvo variazioni nel comportamento aggressivo della Russia ed un suo ritorno al pieno rispetto del diritto internazionale”.
  2. La Cina è descritta come uno “tsunami di sfide alla sicurezza”: “L’Alleanza dovrebbe includere la sfida rappresentata dalla Cina in tutte le strutture esistenti e considerare l’istituzione di un organismo consultivo per discutere tutti gli aspetti degli interessi di sicurezza degli alleati nei confronti della Cina”. Il tema chiave è “difendersi da qualsiasi attività cinese che potrebbe avere un impatto negativo sulla difesa collettiva, sulla prontezza militare o sulla resilienza nella zona di responsabilità del Comandante Supremo Alleato in Europa (SACEUR)“.
  3. La NATO deve definire un progetto globale (il neretto è mio) per utilizzare meglio le sue partnership al fine di promuovere gli interessi strategici della NATO. Dovrebbe passare dall’attuale approccio basato sulla domanda ad un approccio basato sugli interessi (il neretto è mio) e considerare di fornire flussi di risorse più stabili e prevedibili per le attività di partenariato. La politica della porta aperta della NATO dovrebbe essere sostenuta e rinvigorita. La NATO dovrebbe espandere e rafforzare le partnership con l’Ucraina e la Georgia“.

Ecco la Tripla Minaccia. Però la parte migliore (di fatto, ricchi e abbondanti contratti per il complesso militar-industriale) è questa:

“La sfida geopolitica più profonda è posta dalla Russia. Mentre la Russia è, dal punto di vista economico e sociali, una potenza in declino, si è però dimostrata capace di aggressione territoriale ed è probabile che rimanga una minaccia primaria per la NATO nel prossimo decennio.”

Può darsi che sia la NATO a scrivere il testo, ma il copione principale viene direttamente dal Deep State – inclusa la “ricerca dell’egemonia” da parte della Russia, espandendo la guerra ibrida (il termine è stato coniato proprio dal Deep State) e manipolando “cyber assassini e cyber avvelenamenti di Stato – usando armi chimiche, coercizione politica e altri metodi per violare la sovranità degli alleati”.

Pechino da parte sua sta usando “la forza contro i suoi vicini, così come la coercizione economica e la diplomazia intimidatoria ben oltre la regione indopacifica. Nel prossimo decennio, la Cina probabilmente sfiderà anche la capacità della NATO di costruire una resilienza collettiva“.

Il Sud globale dovrebbe essere molto consapevole della promessa della NATO di salvare il “mondo libero” da questi mali autocratici. La definizione della NATO di “Sud” comprende il Nord Africa e il Medio Oriente, in realtà ovunque dall’Africa sub-sahariana all’Afghanistan. Qualsiasi somiglianza con il presumibilmente defunto concetto di “Grande Medio Oriente” dell’era Dubya non è un incidente.

La NATO insiste che questa ampio territorio è caratterizzato da “fragilità, instabilità e insicurezza” – ovviamente rifiutando di rivelare il proprio ruolo di responsabile seriale di instabilità in Libia, Iraq, parti della Siria e Afghanistan.

Perché alla fine… è tutta colpa della Russia: “A sud, la sfida include la presenza della Russia e in misura minore della Cina, che sfruttano le fragilità regionali. La Russia si è reinserita in Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale. Nel 2015, è intervenuta nella guerra civile siriana ed è tuttora presente. La politica mediorientale della Russia rischia di esacerbare le tensioni e le lotte politiche in tutta la regione, mentre fornisce una quantità crescente di risorse politiche, finanziarie, operative e logistiche ai suoi partner. Anche l’influenza della Cina in Medio Oriente sta crescendo. Ha firmato una partnership strategica con l’Iran, è il più grande importatore di petrolio greggio dall’Iraq, si è inserita nel processo di pace in Afghanistan ed è il più grande investitore straniero nella regione“.

Qui, in poche parole, e non esattamente in codice, c’è la lista dei compiti della NATO fino al 2030 per disturbare e cercare di smantellare capillarmente l’integrazione dell’Eurasia, soprattutto in quei settori direttamente legati ai progetti di infrastrutture/connettività delle Nuove Vie della Seta (investimenti in Iran, ricostruzione della Siria, ricostruzione dell’Iraq, ricostruzione dell’Afghanistan).

Il progetto si basa su un “approccio a 360 gradi alla sicurezza” che “diventerà un imperativo“. Traduzione: la NATO sta puntando grandi porzioni del Sud globale, con la scusa di “affrontare sia le minacce tradizionali provenienti da questa regione, come il terrorismo, sia i nuovi rischi, tra cui la crescente presenza della Russia, e in misura minore della Cina“.

Guerra ibrida su due fronti

E pensare che in un passato non molto lontano c’erano ancora sprazzi di lucidità provenienti dall’establishment statunitense.

Pochi ricorderanno che nel 1993 James Baker, ex segretario di Stato sotto papà Bush, avanzò l’idea di espandere la NATO alla Russia, che all’epoca, sotto Eltsin e una banda di liberisti alla Milton Friedman, era devastata, ma governata dalla “democrazia”. Però era già al potere Bill Clinton, e l’idea fu debitamente scartata.

Sei anni dopo, nientemeno che George Kennan – quello che mise al primo posto il contenimento dell’URSS – stabilì che ammettere nella NATO gli ex satelliti sovietici era “l’inizio di una nuova guerra fredda” e “un tragico errore“.

É decisamente illuminante rileggere e ristudiare l’intero decennio tra la caduta dell’URSS e l’elezione di Putin alla presidenza attraverso il libro del venerando Yevgeny Primakov, “Russian Crossroads: Toward the New Millenium”, pubblicato negli Stati Uniti dalla Yale University Press.

Primakov, il massimo insider dell’intelligence che aveva iniziato come corrispondente della Pravda in Medio Oriente, ex ministro degli Esteri e anche Primo Ministro, ha osservato da vicino l’anima di Putin, ripetutamente, e gli è piaciuto quello che ha visto: un uomo integro e un professionista consumato. Primakov era un multilateralista ante-litteram, l’ispiratore concettuale del RIC (Russia-India-Cina) che nel decennio successivo si è evoluto in BRICS.

Erano i giorni – esattamente 22 anni fa – in cui Primakov era su un aereo diretto a Washington quando ricevette una chiamata dall’allora vicepresidente Al Gore: gli Stati Uniti stavano per iniziare a bombardare la Jugoslavia, un alleato russo slavo-ortodosso, e l’ex superpotenza non poteva farci nulla. Primakov ordinò al pilota di invertire la rotta e tornare a Mosca.

Oggi la Russia è abbastanza potente per portare avanti il proprio concetto di Grande Eurasia, che andando avanti dovrebbe bilanciare – e completare – le Nuove Vie della Seta della Cina. È il potere di questa Doppia Elica – che è destinata ad attrarre inevitabilmente settori chiave dell’Europa occidentale – che sta creando disorientamento e confusione nella classe dirigente dell’Egemone.

Glenn Diesen, autore di “Russian Conservatism: Managing Change Under Permanent Revolution”, che ho analizzato in Why Russia is Driving the West Crazy, e uno dei migliori analisti globali dell’integrazione dell’Eurasia, ha così riassunto il tutto: “Gli Stati Uniti hanno avuto grandi difficoltà a convertire la dipendenza degli alleati in materia di sicurezza in lealtà geo-economica, come è evidente dagli europei che comprano ancora tecnologie cinesi ed energia russa”.

Da qui il “Divide et impera” permanente, con uno dei suoi obiettivi chiave: persuadere, forzare, corrompere e tutto quanto sopra per far sì che il Parlamento europeo interrompa l’accordo commerciale/di investimenti Cina-UE.

Wang Yiwei, direttore del Centro per gli Studi Europei alla Renmin University e autore del miglior libro scritto in Cina sulle Nuove Vie della Seta, legge chiaramente nella spacconata “l’America è tornata”: “La Cina non è isolata dagli Stati Uniti, dall’Occidente o dall’intera comunità internazionale. Più [gli Stati Uniti] si mostrano ostili, più sono ansiosi. Quando gli Stati Uniti mandano i propri rappresentanti in giro per il mondo per chiedere frequentemente il sostegno, l’unità e l’aiuto dei propri alleati, questo indica che l’egemonia degli Stati Uniti si sta indebolendo“.

Wang arriva persino a prevedere cosa potrebbe accadere se all’attuale “leader del mondo libero” venisse impedito di compiere la sua eccezionale missione: “Non fatevi ingannare dalle sanzioni tra la Cina e l’UE, che sono innocue per il commercio e i legami economici, e i leader dell’UE non saranno così stupidi da abbandonare totalmente l’accordo globale Cina-UE sugli investimenti, perché sanno che non avrebbero mai ottenuto un accordo così buono quando Trump o il trumpismo torneranno alla Casa Bianca.”

La geopolitica “shock and awe” del XXI secolo, come configurata in queste due ultime e cruciali settimane, mostra chiaramente che il “momento [della potenza] unipolare” è sepolto. L’egemone non lo ammetterà mai; da qui il contraccolpo della NATO, che è stato pre-progettato. In definitiva, l’egemone ha deciso di non impegnarsi in un accomodamento diplomatico, ma di condurre una guerra ibrida su due fronti contro una partnership strategica inesorabilmente demonizzata di concorrenti alla pari.

E come segno di questi tempi tristi, non ci sono più James Baker o George Kennan a sconsigliare tale follia.

 

Fonte: https://www.unz.com/pescobar/us-nato-vs-russia-china-in-a-hybrid-war-to-the-finish/

Scelto e tradotto da Francesco Paparella per ComeDonChisciotte

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