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DI MIKE WHITNEY
Uruknet

La notizia di ieri, sul Washington Post, per cui più di 650.000 Iracheni sono morti come risultato dell’invasione condotta dagli Stati Uniti, è solo l’ultima delle cattive notizie che colpisce l’amministrazione Bush. Infatti, è da un po’ di tempo che le poiane ronzano sulla Casa Bianca, e non se ne andranno presto.

Il rapporto dalla John Hopkins School of Public Health, sottoposto a peer review, ha seguito tutte le procedure standard per produrre uno studio del tutto credibile. Dopo aver intervistato quasi 2.000 residenti iracheni, controllando i certificati di morte e i registri all’obitorio, hanno compilato i loro dati e fatto i loro calcoli. “Gli stessi metodi di studio sono stati usati per misurare la mortalità durante i conflitti in Congo, Kosovo, Sudan ed altre regioni”.L’amministrazione Bush non ha mai messo in dubbio le conclusioni dell’organizzazione prima d’ora, hanno usato le stime del gruppo in Sudan per accusare il governo sudanese di “genocidio”. Se cioè è vero, allora l’Iraq deve essere un “triplo genocidio”; un termine completamente nuovo per la cancellazione premeditata della più antica civiltà del mondo.

Bush ha abilmente respinto il rapporto come insensato ed ha assicurato al popolo statunitense che gli Iracheni sono più che volenterosi di “tollerare” l’infinito spargimento di sangue per la loro neonata libertà.

Ad una conferenza stampa di ieri, Bush ha ripetuto il famigliare mantra per cui “la violenza viene causata da una combinazione di terroristi ed elementi del passato regime”. Blah, blah, blah.

Ha aggiunto che:

“Siamo in marcia; prendiamo provvedimenti; stiamo aiutano questa giovane democrazia ad avere successo”.

La propensione di Bush per la menzogna non è stata affetta dai suoi precipitanti tassi d’approvazione.

Inoltre, i media hanno protetto Bush dagli effetti dello studio distogliendo abilmente l’attenzione verso un incidente aereo a Manhattan, Così, la morte di un pitcher dei New York Yankees si è imposta sui titoli di tutta la nazione mentre la macelleria di 650.000 Iracheni è stata consegnata alle ultime pagine.

Tipico. I crimini di guerra degli Stati Uniti sono esclusivo interesse dei ricercatori e della sinistra, non della gran parte dell’umanità, da cui ci si aspetta che ammicchi alle nostre sanguinose avventure estere.

Sorprendentemente, lo studio della John Hopkins è stato velocemente seguito da altre due bombe che hanno aiutato a dipinge un quadro ancora più fosco della guerra in Iraq. Ad una conferenza stampa del Pentagono, il generale Peter Schoomaker ha dichiarato che “l’esercito degli Stati Uniti pensa di mantenere gli attuali livelli di soldati in Iraq fino al 2010”. I commenti di Schoomaker non solo hanno annullato le speranze per un ritiro a breve, ma hanno lasciato molti a chiedersi come il già ultra-ridotto esercito pensi di andare incontro ai propri obblighi negli anni a venire. Come hanno fatto notare i critici, l’attuale progetto è “insostenibile”.

Appena alcune ore dopo le dichiarazioni di Schoomaker, il Capo delle Forze Alleate in Iraq, il generale George W. Casey ha detto “la violenza in Baghdad ha raggiungo i livelli più alti nelle ultime settimane, nonostante il dispiegamento di migliaia di altri soldati statunitensi ed iracheni nella capitale”.

Dunque, per riassumere, in un periodo di 24 ore, abbiamo scoperto di aver ucciso il 2.5 % dell’intera popolazione irachena, che manterremo gli stessi livelli di truppe per i prossimi 4 anni (come minimo) e che i nostri tentativi di creare la sicurezza hanno solo aumentato la quantità di violenza.

Questo è male. Questo è davvero male.

Secondo tutti i rapporti la guerra sta fallendo miseramente, ma ancora i media continuano ad insabbiarla.

Quanto a lungo può continuare?

Ci sono indicazioni che si stia sviluppato un abisso tra le élite, visto da alcuni come un segno di speranza. Le ultime 3 settimane hanno prodotto un progressivo bombardamento di cattive notizie per la troupe di Bush, a partire dalla National Intelligence Estimate (NIE), secondo la quale 16 agenzie di spionaggio statunitensi credono che la guerra in Iraq abbia reso gli Statunitensi “meno sicuri” e dato vita ad un’intera nuova generazione di potenziali terroristi.

Il rapporto del NIE è stato seguito dal best-seller di Bob Woodwar, “State of Denial”, il quale mostra che l’amministrazione non abbia fatto piani per l’occupazione, la pacificazione, la ricostruzione o qualunque altra cosa e che abbia consistentemente fuorviato l’opinione pubblica sull’intensità della violenza sul campo. Il titolo del libro si riferisce al fatto che Bush & Co. sono in totale smentita su una guerra, che da ogni standard oggettivo è stata persa, a favore di un’emergente resistenza nazionalista irachena. Anche se non sorprende, il libro di Woodward è riuscito a mettere il punto esclamativo sul “più grande disastro strategico nella storia statunitense”. Non è un compito da poco.

Il debutto del libro di Woodward è stato seguito dal pacchiano scandalo sessuale di Foley, svelato in contemporanea con il conteggio dei morti in Iraq, che sembra aumentare in numero e ribrezzo ogni giorno che passa.

Questo progressivo stillicidio di cattive notizie è una mera coincidenza o è stato forse organizzato da membri della élite al potere, furiosi nel vedere il loro stato-trofeo ridotto in macerie dai dilettanti nella Casa Bianca?

Da molti punti di vista, il diluvio di notizie anti-Bush ricorda il famigerato “urlo di Dean”; quel bizzarro incidente quando l’ “urlo di gioia” del candidato Howard Dean fu isolato dal rumore della folla (con un microfono speciale) e mandato in onda sulla TV nazionale oltre 900 volte in 48 ore. Questo urlo fece sembrare Dean come un folle furioso e silurò le sue magre speranze di vincere la nomination del partito.

E’ Bush ad essere in trappola ora?

Di nuovo, questo non dovrebbe implicare che i media non siano solidamente nella sfera di Bush. Lo sono. Ma sembra anche che la divisione tra le élite stia man mano crescendo.

Lo “Iraq Survey Group” di Jim Baker è, forse, il miglior esempio della divisione nella classe dominante. Ci si aspetta che Baker pubblichi il suo rapporto in seguito alle elezioni di medio termine di novembre. Indiscrezioni sul rapporto indicano un significativo cambiamento nella politica che probabilmente si rifarà al “ritiro in fasi” del Vietnam. Baker era favorevole ad invadere l’Iraq e guida un gruppo di conservatori della vecchia guardia (Scowcroft, Bush Sr, Larry Eagleburger, etc), i quali (sembrano) star cercando una via per uscirne. Baker potrebbe essere la loro ultima miglior occasione per una veloce strategia di uscita, nonostante egli abbia cautamente frammentato la sua retorica in termini di “sarebbe un errore ritirarsi immediatamente”.

Il compito di Baker è convincere Bush che l’idea di “mantenere la rotta” e la “pace con onore” è possibile solo se ritiriamo velocemente le truppe statunitensi. (Il linguaggio del Vietnam suonerà famigliare in modo impressionante a molti lettori)

Baker è un mellifluo avvocato e un abile diplomatico, ma ci sono ragioni per essere pessimisti sulle sue prospettive di successo. La sua visione non è condivisa da Rumsfeld o Cheney, e questo fa tutta la differenza. Tanto Rummy quanto Veep credono che possiamo prevalere in Iraq e hanno ancora la massima influenza su Bush. Le manovre dietro le quinte di Baker con i suoi compagni al CFR, AIE e altri santuari di ricchezza e privilegio probabilmente ammonteranno ad un nulla. Siamo in Iraq per rimanerci.

Anche se i Democratici raccolgono entrambe le camere, a novembre, è dubbio se questo Congresso indebolito avrà il potere di confrontare l’onnipotente, “unitario” esecutivo. Ora Bush ha tutto il potere; e quello che dice, si avvera.

Gli Stati Uniti sono attualmente in una lunga spirale verso il basso. Potrebbero volerci anni prima di toccare il fondo. Il nostro esercito si sta polverizzando, le nostre alleanze sono sempre più consumate e tenue, mentre l’opinione pubblica ha iniziato a calare. Le placche tettoniche di buona sorte hanno iniziato a muoversi. Non ci saranno altre “buone notizie” dall’Iraq.

Eppure, davanti ad una crescente pressione e un diffuso disagio pubblico, Bush ha ordinato la dislocazione di una flotta nel Golfo; a gonfie vele verso un confronto apocalittico con l’Iran. Quando il momento sarà giusto, darà il segnale e le bombe inizieranno a bersagliare come una grandinata in Texas.

E’ un comportamento suicida.

Bush sta scoppiettando inesorabilmente verso Teheran e siamo tutti sballottati nel tragitto. E’ come un’ultima folle corsa nel Titanic prima di colpire l’iceberg e inabissarci lentamente tra le onde.

Glub, glub!

Mike Whitney
Fonte: http://www.uruknet.info
Link: http://www.uruknet.info/?p=27422
13.10.2006

Scelto e tradotto da CARLO MARTINI per www.comedonchisciotte.org

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