A CURA DE: IL PRIMO AMORE
Mentre i capi di stato si ingegnano per arginare la valanga finanziaria globale, il metano intrappolato nel permafrost sotto l’Artico in liquefazione potrebbe trasformarsi un una bomba climatica devastante. Ma per scoprirlo bisogna leggere i giornali stranieri.
Non sono così idiota da non capire che l’importanza e la gravità della crisi finanziaria globale o – su scala minore – della crisi di Alitalia, il “benaltrismo” fa andare il sangue alla testa e sono sempre restio a classificare in ordine rigorosamente gerarchico le emergenze. Però a volte la lettura concomitante di due notizie genera strani cortocircuiti.
Così apprendo che, di fronte al terremoto finanziario, l’amministratore delegato della Francia ha lanciato l’idea di un vertice mondiale: il senso di urgenza che si respira è forte, le conseguenze della crisi in effetti sarebbero pesantissime per tutti, e mi spingo a dire soprattutto per i molti che stanno alla base della piramide. Subito dopo, cambiando lingua, scopro sull’Independent un articolo su un’altra specie di terremoto, che mi pare – eufemisticamente parlando – almeno altrettanto grave ma per cui nessun capo di stato ha espresso l’esigenza di convocare un summit internazionale urgente, foss’anche solo per dirci che non è vero. L’articolo si intitola “The methane time bomb”, “La bomba a orologeria del Metano”.
Né, bisogna dire, l’allarmismo ha contagiato i nostri media. Verrebbe da dire che in questo caso hanno conservato un aplomb britannico (a differenza del britannico giornale che ha invece dato grande risalto alla questione): qui da noi le tracce di questa notizia sono decisamente scarse.
Ma veniamo alla notizia. Sulla base di osservazioni e dati incrociati, si adombra la possibilità che il metano, imprigionato finora in enormi depositi sottomarini, stia salendo in superficie man mano che la calotta ghiacciata del Mare Artico si scioglie. Il metano, ricordano è un gas serra venti volte più potente dell’anidride carbonica. Il suo massiccio rilascio nell’atmosfera ne accelererebbe esponenzialmente la velocità di surriscaldamento, generando uno scenario molto peggiore delle peggiori previsioni.
Traduco qui il pezzo (pur con tutte le possibili imprecisioni dovute al maccheronismo del mio inglese, credo di avere salvaguardato il senso dell’articolo; ovviamente rimando alla lettura dell’originale):
«Gli scienziati hanno scoperto una prima prova del rilascio nell’atmosfera, da sotto il fondo marino artico, di milioni di tonnellate di gas serra 20 volte più potente dell’anidride carbonica.
(…) I risultati preliminari suggeriscono che massicci depositi di metano sottomarino stanno cominciando a gorgogliare in superficie, man mano che la regione dell’Artico diventa più calda e il suo ghiaccio si ritira.
I depositi sotterranei di metano sono importanti perché gli scienziati ritengono che, in passato, il loro rilascio improvviso abbia causato un rapido aumento delle temperature globali, cambiamenti drammatici del clima e persino l’estinzione di massa di intere specie. A bordo di una nave da ricerca che ha percorso in tutta la sua lunghezza la costa settentrionale della Russia, gli scienziati hanno scoperto intense concentrazioni di metano – talvolta fino a 100 volte i livelli normali – in diverse aree che coprono per migliaia di chilometri quadrati la piattaforma continentale siberiana.
Negli ultimi giorni, i ricercatori hanno osservato zone marine schiumare, con bolle di gas in risalita attraverso le “ciminiere di metano” (“methane chimney”) dal fondale oceanico. Essi ritengono che lo strato di permafrost sottomarino, che ha agito come un “coperchio” evitando la fuga del gas, si sia sciolto, permettendo così al metano di salire dai depositi sotterranei formatisi prima dell’ultima era glaciale.
Da qui il loro allarme: è verosimile che tutto ciò sia legato al rapido riscaldamento che la regione ha sperimentato negli ultimi anni.
Come gas serra, il metano è circa 20 volte più potente del biossido di carbonio, e molti scienziati temono che il suo rilascio possa accelerare il riscaldamento globale in un gigantesco feedback: l’aumento del metano atmosferico provocherebbe temperature più elevate e dunque una conseguente ulteriore fusione del permafrost, con la liberazione di quantitativi ancora superiori di metano.
Si calcola che la quantità di metano immagazzinato sotto l’Artico sia superiore alla quantità totale di carbonio contenuta nelle riserve mondiali di carbone, per cui vi è un grandissimo interesse per la stabilità di questi depositi, dal momento che la regione si riscalda a un ritmo più veloce che in altri luoghi della Terra.
Orjan Gustafsson dell’Università di Stoccolma, in Svezia, uno dei leader della spedizione, ha descritto la portata delle emissioni di metano in uno scambio di e-mail inviato dalla rompighiaccio russa Jakov Smirnickij.
“(…) Abbiamo trovato una vasta zona di intenso rilascio di metano. Su siti precedenti avevamo trovato livelli elevati di metano disciolto. Ieri, per la prima volta, abbiamo documentato un settore in cui la liberazione era così intensa che il metano non ha aveva il tempo di sciogliersi nell’acqua, ma risaliva sotto forma di bolle sino alla superficie del mare. (…)”.
In alcuni luoghi, le concentrazioni di metano hanno sopravanzato di 100 volte i livelli normali. Queste anomalie sono state osservate nel Mare della Siberia Orientale e nel Mare di Laptev, che coprono diverse decine di migliaia di chilometri quadrati, per un ammontare di milioni di tonnellate di metano, ha affermato il dottor Gustafsson. “(…) Nessuno sa quante altre aree di questo tipo esistano, nelle vaste piattaforme continentali della Siberia orientale.”
“Secondo quanto si pensa, il ‘coperchio’ di permafrost sui sedimenti sottomarini sulla piattaforma siberiana coprirebbe e tratterrebbe gli imponenti serbatoi di metano più superficiali. Le prove sempre maggiori dell’emissione di metano in questa regione inaccessibile possono far pensare che il coperchio di permafrost stia cominciando a perforarsi e quindi a perdere metano… Ora il permafrost ha piccoli fori. Abbiamo trovato livelli elevati di metano sulla superficie dell’acqua e ancor più appena sotto la superficie. È ovvio che la fonte è il fondale marino.”
I risultati preliminari dello studio (…), in corso di preparazione per la pubblicazione, da parte dell’American Geophysical Union, vengono esaminati da Igor Semiletov dell’Accademia russa delle Scienze. Dal 1994 ha condotto circa dieci spedizioni nel Mare di Laptev, ma nel corso degli anni Novanta non ha riscontrato livelli elevati di metano. Dal 2003, invece, ha segnalato un aumento del numero di “punti caldi” di metano, ciò che ora è stato confermato utilizzando strumenti più sensibili sulla Jakov Smirnickij.
Semiletov ha suggerito diverse possibili ragioni per le quali il metano viene ora rilasciato dall’Artico, tra cui la quantità crescente di acqua relativamente più calda scaricata dai fiumi siberiani a causa della fusione del permafrost in terraferma.
La regione artica nel suo complesso ha visto un aumento delle temperature medie di 4 °C nel corso degli ultimi decenni, e una drastica riduzione della superficie del Mar Glaciale Artico coperta di ghiaccio nella stagione estiva. Molti scienziati temono che la perdita di ghiaccio marino possa accelerare il riscaldamento del pianeta, perché un oceano senza ghiaccio assorbe più calore dal sole, rispetto alla superficie riflettente di un mare coperto
di ghiaccio».
[Vorrei qui ringraziare il giornalista e blogger Giuseppe Caravita, cui devo gran parte delle informazioni fresche su questi argomenti; il suo blog, attentissimo alle questioni ambientali, è sempre una fonte preziosa.]
Fonte: http://www.ilprimoamore.com/
Link: http://www.ilprimoamore.com/testo_1096.html
27.09.2008