DI MAURO BOTTARELLI
rischiocalcolato.it
False flag doveva essere e false flag, forse, è stato. E in grande stile. Alla vigilia di un incontro preparatorio al vertice trilaterale previsto per il 27 dicembre a Mosca fra Russia, Turchia e Iran per il futuro della Siria, a cui avrebbe partecipato anche il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, l’ambasciatore russo ad Ankara, Andrey Karlov, è stato ucciso in un attentato a colpi d’arma da fuoco, mentre presenziava alla mostra fotografica “La Russia vista attraverso gli occhi dei turchi”. Altre quattro persone sono rimaste ferite ma, almeno in due casi, non pare in maniera fatale.
Un testimone oculare dell’agenzia RIA Novosti ha così raccontato l’accaduto: “L’ambasciatore stava tenendo un discorso per l’apertura della mostra e, improvvisamente, durante l’orazione, si è sentito gridare “Allah Akbar” e qualcuno ha cominciato a sparare. L’obiettivo era l’ambasciatore, perché dopo gli spari, l’attentatore ha lasciato uscire le altre persone dalla stanza”. Un fotografo dell’Associated Press, anch’egli presente sulla scena, ha confermato che l’attentatore ha sparato più volte, otto o più colpi. In un video della sparatoria,
https://youtu.be/O5BkEuGcLIU
L’uomo, come nella migliore tradizione, compiuto il suo lavoro, è stato ucciso dalla polizia turca. Quindi, non potrà parlare: di lui sapremo ciò che Ankara vorrà farci sapere. Il grande tradimento di Erdogan? O forse, piuttosto, la prova che le purghe messe in atto dopo il tentato golpe del 15 luglio non sono state sufficienti a sradicare la rete di collegamento tra estremismo islamico, servizi di sicurezza, parte dell’esercito e i servizi d’intelligence occidentali che hanno come unica priorità la deposizione di Bashar al-Assad in Siria? Che si tratti del classico attentato ad orologeria, utilizzando l’utile idiota fanatico di turno, ci vuole poco a capirlo: con la tensione presente sul caso siriano, l’ambasciatore russo in Turchia viene protetto così poco durante un’uscita pubblica?
Poi l’urlo “Allah Akbar” e il proclama su Aleppo e la Siria, con il rappresentante diplomatico di Mosca utilizzato come bersaglio simbolico della vendetta: gli spari, in rapida sequenza, letali pare solo per l’ambasciatore e, poi, il beau geste di lasciare andare via gli altri presenti all’evento. Infine, i colpi di arma da fuoco che hanno chiuso per sempre la bocca al vendicatore islamico. Pare che l’attentatore si sia identificato come un funzionario di polizia all’ingresso della mostra, stando a una fonte militare turca citata da Interfax: “Abbiamo informazioni, da un testimone, che l’attentatore si sia presentato come un funzionario di polizia, mostrando un documento all’entrata. Stiamo controllando la validità di questa informazione”. Il quotidiano Yeni Safak lo ha identificato come un uomo nato nel 1994, le cui iniziali sarebbero M.M.A. e che avrebbe frequentato l’accademia di polizia nella città di Izmir.
Non so voi ma quell’attentatore mi ricorda, terribilmente, Gavrilo Princip, l’anarchico serbo bosniaco che uccise l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria-Ungheria e sua moglie Sofia, durante una visita ufficiale a Sarajevo il 28 giugno 1914. Se ben ricordate, fu il prologo, il casus belli, il flash-point, per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. E si gela il sangue a pensare a cosa ha detto, non più tardi di tre giorni fa, Barack Obama nel suo ultimo discorso di fine anno da presidente degli Usa: “Il sangue dei siriani è sulle mani di Assad, della Russia e dell’Iran”. E ancora: “Ben poco succede in Russia senza il consenso di Vladimir Putin, voglio mandare un messaggio chiaro a Mosca e ad altri, non continuate a fare questo perché possiamo cominciarle a farlo anche noi”. Certo, il presidente parlava di hackeraggio ma ha anche parlato di altri tipi di risposta, “non obbligatoriamente pubbliche”. La rete di Fethullah Gulen si è premurata di fornire la logistica, facendo ora ricadere la colpa sull’Isis o su qualche cellula islamista impazzita?
E se la pista fosse interna, ovvero scaricare su Gulen e gli Stati Uniti quella che invece è una scelta folle di Ankara per non perdere la Siria? Immediatamente dopo la notizia della morte dell’ambasciatore, il sindaco di Ankara, Melih Gokcek, ha definito l’assassino “un gulenista”, di fatto suggerendo che la Turchia è pronta a gettare ogni responsabilità sul governo ombra e in esilio guidato dal predicatore che vive da anni in Pennsylvania. Dal canto suo, il Dipartimento di Stato si è limitato ad avvertire i cittadini americani di stare lontani dall’ambasciata ad Ankara. Poi, l’accusa di Mosca: “Consideriamo l’assassinio dell’ambasciatore un grave fallimento della misure di sicurezza della Turchia”. C’è poi la terza ipotesi: accreditare la destabilizzazione interna, dimostrando al mondo come le purghe post-golpe di Erdogan siano state necessarie e non ancora sufficienti ma, nei prossimi giorni, rendere note – o fabbricare – prove che inchiodino il suo governo o apparati ad esso vicini all’attentato. Sarebbe entrare nel campo del diabolico ma ormai non mi stupisco più di nulla. Di certo ci sono due cose: primo, come ci mostrano questi grafici,
la reazione del mercato. La lira turca è sprofondata con un tonfo peggiore di quello seguito al rialzo dei tassi della Fed, mentre gli indici statunitensi hanno virato al ribasso e l’oro è schizzato all’insù. Tutti segnali che prefigurano una crisi seria. Secondo, questo attentato è un chiaro segnale a Mosca: non pensare di essere player unico per la Siria e il Medio Oriente, a partire dal trilaterale del 27 dicembre prossimo, il quale facilmente sarà spostato a data da destinarsi. Chi ha armato la mano di quell’uomo voleva spezzare innanzitutto la fragile fiducia che Vladimir Putin aveva ritrovato in Recep Erdogan, dopo il caso del Mig abbattuto, la palese ambivalenza e opacità tenuta dal presidente turco nei confronti dell’Isis e la decisione di entrare in territorio siriano con le proprie forze armate, ufficialmente in chiave anti-curda.
Non a caso, poco fa il ministero degli Esteri russo ha dichiarato di ritenere quanto accaduto “un atto terroristico” e che solleverà il caso al meeting del Consiglio di sicurezza dell’ONU di lunedì prossimo. In serata e nei prossimi giorni ne sapremo di più ma, se Erdogan si dimostrerà innocente, c’è la possibilità – folle – che qualcuno abbia voluto attivare il “Archduke moment”, ovvero l’opzione Sarajevo 2.0, prima che Donald Trump arrivi alla Casa Bianca e stabilizzi davvero le relazioni con Mosca. Se così fosse, vuol dire che il Deep State è davvero al controllo del Paese. E quindi nulla è più da escludersi, persino un ribaltone da parte dei Grandi Elettori che oggi sono chiamati, guarda caso altra coincidenza, a ratificare la vittoria del tycoon alle elezioni dello scorso 8 novembre. Mala tempora currunt. Stavolta davvero.
Mauro Bottarelli
Fonte: www.rischiocalcolato.it
Link: http://www.rischiocalcolato.it/2016/12/turchia-archduke-moment-destabilizzazione-interna-certo-ricorda-sarajevo-nel-1914.html
19.12.2016