DI MIGUEL MARTINEZ
Kelebek
Un cittadino italiano sta morendo in un carcere marocchino, tra l’indifferenza generale.
Quest’uomo non ho avuto la pubblicità di cui hanno potuto godere – per fortuna – Ingrid Betancourt o le infermiere bulgare in Libia.
Però quest’uomo è, 1 – innocente e 2 – un cittadino dell’Unione Europea.
Putroppo per lui, è musulmano. Ci chiediamo: Roma e Bruxelles ascolteranno la voce di sua moglie Khadija, che combatte quasi da sola per salvare la vita di Kassim, prima che sia troppo tardi?[1]
Quattro giorni fa, Khadija scriveva…
Oggi fanno trenta giorni che Kassim Britel rifiuta il cibo: giorni senza riposo, di silenzio, di sofferenza, di attesa.
Ad Ain Bourja, Kassim cerca di tenersi ritto mentre prega, ignorando i battiti affrettati a tagliare il respiro, la testa pesante, il ventre spalancato a reclamar pienezza, le viscere doloranti e acquose, la schiena che pare spezzata, …
Così ieri è svenuto, i suoi compagni l’hanno aiutato, il medico gli ha contato le costole: è molto dimagrito, eppure di ora in ora cresce la sua determinazione, una determinazione che nulla può scalfire.
Ci sentiamo al telefono, umiliata io, una volta di più dal silenzio del nostro Paese, dal fluire delle mie giornate di lavoro come se nulla fosse, con il tarlo della sua possibile morte eppure solidale con lui fino in fondo, perché quest’ingiustizia che ci ha privato della vita deve finire, in un modo o nell’altro.
E gli racconto come meglio posso del bene che avremo, e lui ha un pensiero di fede, una parola buona che solleva la pena taciuta e nascosta. Con lui sono calma, so che non ci succederà nulla che non ci sia stato destinato.
Nella nostra casa vuota, lavoro come sempre per la vita di mio marito, pena e collera sono intollerabili, Kassim ha già patito troppe violenze e privazioni, so che non resisterà a lungo, già ora si poggia ad un bastone per muovere qualche passo, ieri non è stato in grado d’incontrare sua sorella…
Per il rispetto dovuto ad ogni vita, per la giustizia dovuta alla vittima innocente di una “guerra” non sua, per la nostra famiglia separata da quasi sei anni, che il Governo italiano si decida finalmente a portare a casa questo cittadino! khadija
Nota:
[1] Il cappello introduttivo viene, con qualche modifica, dal sito di Tlaxcala.