Terre di faglia

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DI CARLO BERTANI

carlobertani.blogspot.it

Basta osservare la cartina geologica, per capire chi è messo meglio e chi peggio: in Italia, i terremoti altamente distruttivi – solo dall’età Moderna in poi – sono stati perlomeno una ventina, nemmeno si contano quelli minori, tanto per capirci quelli dell’Aquila o di Amatrice. Solo “roba grossa”, come l’Irpinia (1980) o Avezzano (1915), per quel che possiamo ricordare personalmente o da qualcuno che ce ne ha parlato.

Sempre dall’età Moderna ad oggi, in Germania sono avvenuti circa 8 terremoti, di magnitudo minore, nemmeno paragonabili a quelli italiani o balcanici: basti pensare che, in Germania, non si contano vittime per terremoto dal lontano 1629.

Allo stesso tempo, vivere in una zona di “faglia”, per gli aspetti socioculturali, ci deve far pensare che Lampedusa si trova più a Sud di Tunisi e fa già parte della “zolla” geologica africana: un centinaio di km dalla Tunisia e 200 dalla Sicilia.

Per quanto riguarda la “faglia” socioculturale, invece, la Germania ha sempre potuto (oltre che saputo) regolare i flussi migratori secondo le richieste del suo apparato produttivo. Dal dopoguerra, mezza Turchia si è trasferita in Germania.

I morti per terremoto, nei secoli – in Italia – sono stati centinaia di migliaia: e i danni?

Non si possono quantificare i danni dei terremoti più antichi (ed altamente distruttivi): per avere qualche ragguaglio, basti pensare che “modesti” (su scala storica) terremoti come L’Aquila hanno condotto a danni per 14 miliardi di euro, mentre un “grande” terremoto come l’Irpinia (1980) causò danni pari (attualizzati) a 66 miliardi di euro, anche se – quasi certamente – vi furono eccessi e ruberie di varia natura.

La domanda che si pone è, allora (visto che facciamo parte dell’UE): una “Unione” – termine vago, che non precisa nulla – come può decidere, in termini economici, che una singola Nazione sovrana debba sottostare a dei vincoli comuni di bilancio? Soprattutto alla luce delle grandi differenze, sia in termini geologici, sia in termini di politica dell’accoglienza (solo per citare due esempi calzanti).

Vediamo i due tipi di Stato più comunemente citati: lo Stato Federale e quello Confederale.

La confederazione si basa sul principio della “rappresentanza degli Stati”, non dei cittadini, e attribuisce infatti il voto solo agli Stati, escludendo in tal modo il popolo dalle decisioni che riguardano i rapporti interstatali.

l’Unione europea è già qualcosa di più di una confederazione, in quanto i suoi cittadini sono rappresentati al Parlamento europeo ma, dato che i suoi stati membri hanno ancora poteri in politica estera e nella difesa (che non sono neppure coordinate dall’Unione stessa, ma sono lasciate completamente agli stati), non è ancora la Federazione europea auspicata dai movimenti federalisti in Italia come nel resto d’Europa. In realtà è una via di mezzo tra confederazione e Stato federale.” (Wikipedia)

Si deve però aggiungere, alla definizione di Wikipedia, che il Parlamento Europeo ha sì potere legislativo, ma lì s’arresta tutto: nessuna “legge” può essere emanata direttamente dal Parlamento Europeo, perché i veri “padroni del vapore” sono i Commissari, nominati dai vari Paesi pesando tutti gli interessi nazionali con il bilancino del farmacista.

Quindi, l’UE è più correttamente una Confederazione di Stati Sovrani, un po’ come la C.S.I. del dopo URSS: una specie d’insalata mista, condita con misure di bilancio da gulag.

Perché l’UE non può essere considerata uno stato federale? Poiché lo stato federale ha, oltre i bilanci dei singoli Stati, un bilancio federale, mentre quello confederale non ce l’ha.

A cosa serve il bilancio federale?

Dal punto di vista puramente teorico, per le esigenze comuni di politica estera e difesa, ma così non è.

Ad esempio, il governo federale USA ha concesso recentemente uno stanziamento di 35 milioni di $ alla Aeros Craft per la costruzione del dirigibile Pelican, ritenendo il progetto d’importanza nazionale. A New Orleans, dopo l’uragano Katrina, Obama dichiarò lo stato di emergenza federale che consentiva lo sblocco di fondi federali per destinarli all’area colpita. Ci sono molti di questi esempi: identica situazione in altri, grandi stati federali quali la Russia o la stessa Germania (che, al suo interno, è diventata sempre meno “federale”).

Come si può notare, non è solo politica estera e difesa: lo Stato, centrale o federale, interviene in economia quando vuole imprimere una “accelerazione” in determinati settori, oppure rimediare a catastrofi naturali le quali, domani, assorbirebbero ugualmente risorse, depauperando aree della Nazione, anche se federale, poiché concepita di parti, ma di un solo insieme.

Oggi, (lunedì 23 gennaio 2017) Romano Prodi ha dichiarato che la Germania potrebbe anche “voler fare da sola” e per qualcuno sarebbe, questa, la sibillina risposta alle disperate grida d’aiuto del PD, che ha dovuto sfoderare addirittura un Gentiloni “nipote” per restare, almeno, a galla nel panorama politico internazionale. Oramai, conta la buona discendenza, lo ius sanguinis: sono veramente alla frutta.

Lasciando però perdere queste marcescenti vettovaglie, da mercato rionale della politica nostrana, si potrebbe ipotizzare un’uscita della Germania, prima o dopo: qui sta il punto. Potrà tirare la corda ancora, per essere ben certa che i competitori – Italia e Francia, soprattutto – siano ben cotti e stracotti: la Francia non lo è ancora, De Gaulle seppe imporre la potenza nucleare anche per la nazione sconfitta fra le vittoriose.

Ma è su quanto abbiamo prima sottolineato che l’Europa con tedeschi/senza tedeschi ha fallito e si è ritrovata in un cul de sac: perché l’Europa, è soltanto un’imputazione geografica.

Oh sì…ci hanno detto e ridetto che, con la riunificazione tedesca, un’Europa disunita sarebbe finita, inevitabilmente, verso le III Guerra Europea, con o senza partecipanti di corollario.

Fu una balla colossale: quel pod/simulatore nucleare, agganciato centralmente ai Mirage – che chiunque sia stato un poco in Francia non ha potuto fare a meno di notare – è ciò che garantisce da una futura “Sedan” nucleare.

La vera “ruina” – impossibile da scapolare – è stata l’impossibilità di un bilancio federale, ossia quello che avrebbe considerato l’Appennino Centrale Italiano una zona ad alto rischio sismico e pertanto – inevitabilmente – apportatore di sciagure “europee”, non solo italiane.

Sono trascorsi circa 20 anni dal terremoto in Umbria e Marche del 1997, ed il movimento delle faglie ha colpito quasi ovunque, da Perugia all’Aquila, in un territorio abitato da milioni di persone.

Come, del resto, è molto improbabile che i migranti che partono dall’Africa raggiungano su quei gusci di noce Kiel, Brema o Rotterdam: più facile che trovino approdo a Lampedusa, Pantelleria, oppure in Sicilia. O, ancora, in Grecia.

Sembrerebbe quasi una difesa, postuma, di Matteo Renzi: non è così. Nessuno doveva andare col cappello in mano ad elemosinare qualche 0, per un terremoto o per l’invasione da parte di 180.000 migranti in Italia e di 170.000 in Grecia: in totale, 350.000 persone che hanno preso terra in Europa, nel solo 2016.

Qualcuno, invece, doveva avere il coraggio di sbattere la porta ed andarsene, affermando a chiare lettere che quel concetto di “Unione” è vago e, sottilmente, fraudolento, perché non indica a chiare lettere qual è il significato di essere “uniti”.

Romano Prodi può sì lamentarsi perché l’Europa non sa parlare una sola lingua in politica estera ma, di controbalzo: sa parlare una sola lingua in politica interna? Facendo finta che quelle 350.000 persone siano approdate nella mitica Shangri-là, oppure che a tremare sia la catena degli Appennini Atlantidei?

Oltretutto, questo strano sovra-stato confederale costa, e costa parecchio. L’Italia (fonte: l’Inkiesta) paga a Bruxelles quasi 15 miliardi l’anno e ne riceve, sotto varie forme, 11. Quindi, ci costa 4 miliardi l’anno solo per il suo funzionamento: accipicchia che “paghetta”!

Un altro capitolo a tinte fosche è, invece, in parte italiano ma anche europeo: ci riferiamo ai famosi “finanziamenti” che riceviamo, ossia il Fondo di Sviluppo Regionale, Fondo di Coesione ed il Fondo Sociale Europeo.

Le istituzioni europee versano i fondi a strutture politico/amministrative italiane, le quali devono poi fornire rendiconti di come sono stati spesi: circa la metà ritorna in Europa, perché non viene spesa. Perché questa stranezza?

Poiché i fondi per i quali non si trova l’accordo politico di spartizione, semplicemente, tornano al mittente.

Personalmente, ho avuto esperienze del genere e mi è stato detto, sulla faccia: “Voi potrete chiedere quanto volete, ma noi avremo il finanziamento, voi no”. Era il solito presidente di cooperativa, mezzo bianco e mezzo rosso, che aveva tutti gli intrallazzi necessari. Seppi in seguito che, con i finanziamenti del FSE, furono acquistate anche due Jaguar d’epoca…eh…magari servivano per rappresentanza! So anche di stazioni radio-televisive mobili (furgoni attrezzati), mai usate da chi doveva adoperarle, e (penso) dormienti in qualche garage abbandonato: già, ma per i cingolati da neve i soldi non ci sono…eh, che sfortuna…

Ogni volta che qualcuno si reca presso associazioni di categoria con idee da realizzare, riceve sempre ampie rassicurazioni: la legge c’è…appena arrivano i fondi…i quali, appena giunti, finiscono subito perché già “prenotati” da chi aveva santi in paradiso. Capito mi hai?

L’Europa, fa finta d’esser pura come una vergine: siamo certi che sono molto, molto dispiaciuti quando tornano loro i miliarduzzi non usati dall’Italia…oh, come soffrono…

Senza considerare che le banche europee sono controllate con il contagocce da Francoforte, e non smenano un centesimo senza il placet dei soliti noti: sono queste le cose da sapere quando si disserta di Europa…restiamo, andiamo via…questa è materia nella quale il M5S dovrebbe fornire risposte precise, parole chiare, altrimenti è la solita fuffa. Solo dall’euro o via dall’Europa? Chiarezza ci vuole.

L’Europa dei mercanti anseatici, se questo è ciò che sottende la sigla “UE”, non c’interessa: ha già dato abbastanza prove fallimentari di se stessa: ora, è il tempo di richiudere le frontiere, di lasciar “lavorare” i dazi doganali e le limitazioni alla circolazione dei capitali, che ci hanno regalato – quelli sì! – cinquant’anni di pace e di prosperità, dal 1945 in poi.

L’Europa dei mercanti anseatici non c’appartiene, non è per noi: latini e luterani possono convivere, ma ciascuno a casa propria. A meno che qualcuno, per appoggiare Berlino, non sventoli ancora lo spauracchio, le vecchie bandiere di una guerra europea senza nessun senso, che soltanto delle menti malate possono concepire, un babau per allocchi.

Lasci perdere, Prodi, sarà stato un sogno per qualcuno ed una colossale truffa per altri, ma l’unica cosa saggia è metter fine a questa commedia europea: facciamolo tutti insieme, come fecero in Cecoslovacchia, senza sparare un colpo, senza inutili tiritere. Basta riabbassare la sbarra e non permettere le “giravolte” dei capitali.

Errare humanum est: perseverare, diabolicum.

 

Carlo Bertani

Fonte: http://carlobertani.blogspot.it

Link: http://carlobertani.blogspot.it/2017/01/terre-di-faglia.html

24.01.2017

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